FASCICOLO IX - MAGGIO 1924
S. ROWLAND PIERCE: Il Tempio di Giove Olimpico a Girgenti, Sicilia, con 8 illustrazioni
Questo restauro è il risultato della collaborazione dello scrivente con il professor Biagio Pace di Palermo: una tale associazione di archeologo ed architetto si è dimostrata ideale sotto molti punti di vista ed è un sistema di lavoro che non è stato forse sfruttato sufficientemente nel passato. Le soluzioni di molti problemi difficili furono trovate indipendentemente e quasi contemporaneamente, frutto questo di aver esaminato i problemi in discussione sotto due punti di vista. Non mi sarebbe stato certo possibile di aver portato quest'opera a compimento, senza l'aiuto dell'opera esauriente del prof. Pace, gran parte della quale era già in preparazione prima che io andassi in Sicilia; inoltre il Pace esegui alcuni piccoli scavi per chiarire alcune questioni rimaste in sospeso. Lo studio completo del monumento, da parte del prof. Pace, accompagnato dai miei disegni, è stato recentemente pubblicato (1), e ad esso rimando i lettori per tutti quei dettagli storici e tecnici che non si possono dare in questo articolo.
Il Tempio fu cominciato nel 480 a. C., nel periodo del massimo splendore della grande colonia greca di Acragas (Agrigentum): era ancora incompleto, cioè mancante di tutta la copertura, quando, 85 anni dopo, i Cartaginesi conquistarono definitivamente questa parte della Sicilia, saccheggiando, ed in parte distruggendo, la città ed i suoi templi. Così esso rimase una rovina gigantesca, l'ammirazione delle generazioni venture dei Greci e dei Romani, ed in tale stato ce lo descrive Diodoro (2), come una testimonianza dello splendore degli abitanti di Acragas. D'allora in poi, durante la caduta della potenza di Roma, e dell'invasione Saracena, fino agli inizi della prosperità moderna con l'occupazione di Girgenti da parte di Ruggero I e la fondazione del vescovado, il tempo e la natura hanno continuato la loro opera di distruzione, non senza l'aiuto dell'uomo durante il Settecento, quando si costruì il molo di Porto Empedocle in massima parte con le pietre del Tempio; finchè, al giorno d'oggi, a prima vista solo grandi cumuli di pietre e scarsi basamenti di muro stanno ad indicare il sito di quello che fu già il più gran tempio della Sicilia. Ma esaminando le rovine con attenzione, troviamo che un terremoto ignorato ha gettato all'infuori tratti interi delle mura laterali, che ora giacciono a terra nell'ordine che avevano quando stavano in piedi.
Nei cumuli delle macerie, tra cui vi sono alcuni blocchi che superano i tre metri di lunghezza, si possono vedere frammenti delle varie parti dell'ordine dorico, corone, triglifi, gocce, e capitelli; si trovano ancora in posizione i gradini e lo stilobate, il basamento delle colonne esterne e le mura, ed all'interno lo zoccolo e le basi dei pilastri. Presso il centro del tempio è uno dei capitelli dei pilastri che è stato collocato in posizione verticale per facilitarne l'esame, e lì vicino si sono ricomposti i frammenti di uno degli enormi telamoni che ornavano l'interno del tempio. Si sono scoperte le teste di dieci altri telamoni con molti frammenti dei corpi, ma è assai incerto se questo sia il numero totale di questi "giganti".
Vi sono delle particolarità costruttive, dovute in gran parte alle enormi dimensioni del tempio; ad esempio, le colonne sono costruite da piccole pietre e non a tamburi, che è il più consueto sistema di costruzione dorica; gli intercolunni del peristilio non erano aperti, ma chiusi con un muro, che dimezza le colonne e trasforma il tempio in pseudo-perittero, dovuto certamente all'impossibilità di avere un architrave monolito di sufficiente lunghezza per coprire l'intercolunnio; internamente erano dei pilastri in corrispondenza alle colonne. È quasi certo che l'ingresso fosse unicamente dal lato orientale, poiché ivi si trovano gli avanzi di una delle due porte che davano accesso alle parti laterali del tempio; non vi poteva essere una porta centrale poichè il centro della facciata è occupata da una colonna. L'impiego di un numero dispari di colonne sembra a prima vista assai strano; ma, come dimostra il prof. Pace (3), non è così insolito nell'architettura classica come lo si è creduto. Nel nostro edificio sembrerebbe indicare, con l'assegnazione di due intercolunni a ciascuna delle tre navate interne, che la navata centrale, mancante di ingresso sulla fronte, era di tipo diverso da quelle cui si accedeva dalle due porte. Questa navata che conduce al vero naos, all'estremità occidentale. I telamoni sono stati collocati sui muri laterali di questo cortile; ciò che si accorda in parte con le precedenti ipotesi di Maggiore, Durm e Choisy (4) ma è invece in contrasto con il restauro del Koldewey e Puchstein (5), dove sono posti negli intercolunni esterni, a sostegno della trabeazione, sopra uno zoccolo formato da una rientranza del muro. Quest'ultima ipotesi annullerebbe lo scopo del muro esterno, e creerebbe difficoltà sulla facciata orientale dove si aprono le porte: inoltre è dimostrata erronea dalle misure delle mezze colonne dell'ordine principale (vedi dettaglio alta fig. 8), dalle quali risulta che la colonna tra di pianta semicircolare, sia alla base, sia al collarino dove si unisce col capitello, donde si può dedurre che non vi era nel muro rientranza alcuna.
Benchè il tetto non fosse, mai costituito, esso è stato aggiunto nel presente restauro, secondo considerazioni di vario carattere (6).
Il tetto si sarebbe dovuto fare in legname nella maniera più semplice e logica, che è caratteristica di ogni opera greca e cioè con una tettoia ad un solo spiovente, sopra le navate laterali (fig. 4 sezione trasversale), invece della solita copertura di un tempio ipetrale, che è sorretta da sei file di sostegni invece di quattro. Le tettoie pendevano verso l'interno, come lo dimostra lo spessore maggiore dei muri esterni. Si osserverà pure che la larghezza del naos è all'incirca uguale, a quella delle navate laterali: poichè si sarebbe dovuto proteggere la statua della Divinità con una copertura, questa identità di larghezze non può essere occasionale, e si deve supporre che il tetto avrebbe continuato con la stessa pendenza intorno ai tre lati del tempio. Si sarebbe costruito questo tetto in modo da sostenere un soffitto in legno dipinto, forse a cassettoni. Una copertura ditale tipo dispensa, naturalmente, dall'uso di frontoni; essi si sarebbero elevati, senza alcuna ragione struttiva, sopra i tetti, e anzi sulla facciata orientale, non avrebbero coperto nulla: non è possibile attribuire ai Greci un sistema così illogico. La nostra opinione è rafforzata dal fatto che non si sono trovati frammenti che potessero appartenere ai frontoni e dalla ragione estetica che, in un edificio così diverso da tutti quelli vicini, sia per dimensioni sia per pianta, sarebbe stato meglio omettere i frontoni, dando cosi per contrasto a tutto l'edificio un'aria più imponente e più armoniosa. Le decorazioni scultoree, la "Gigantomachia" e "la presa di Troia", ricordate da Diodoro (7), che prima, senza ragione, si pensava fossero la decorazione dei frontoni, si sono poste invece nelle metope delle facciate orientali e occidentali, dove sono più in accordo con il testo di Diodoro.
I disegni originali di questo restauro sono a colori, e la colorazione si basa sopra uno studio della policromia architettonica greca, quale ci è dimostrato dai frammenti conservati nei musei di Palermo, Siracusa e Girgenti. Lo zoccolo policromo alla base del muro esterno è stato introdotto per ragioni estetiche, e ad imitazione del basso muro che correva tra le colonne del tempio a Selinunte (8). L'interno del tempio è stato ricostruito con il suo mobiglio, benchè non si sia scoperta alcuna base per altari o statue in situ; tra le macerie vi sono due piccole basi che forse fecero parte del tempio.
A m. 50,80 di distanza dallo stilobate del tempio, e parellelo ad esso, sono gli avanzi del grande altare di Zeus, che era lungo tanto quanta era largo il tempio, ma i soli avanzi di esso oggi visibili sono alcuni gradini e tracce delle fondazioni, nascoste tra gli ulivi.

S.ROWLAND PIERCE
Scuola Britannica di Roma
(Trad. BAGNANI)

(1) PACE: Il tempio di Giove Olimpico in Agrigento, in "Monumenti Antichi", vol. XXVIII, 1922.
(2) DIODORO XIII, 82.
(3) PACE: Op. cit., cf. appendice.
(4) PACE: Op. cit., pp. 22, 27, 30, ecc.: Cf. M. MAGGIORE: Nota sulla collocazione dei cosidetti giganti nell'Olimpico in Agrigento, 1834, pag. 21; DURM: handbuch der Achitektur 1910, pag. 389: CHOISY: Histoire de l'Architecture, pag. 435.
(5) KOLDEWEY and PUCHSTEIN: Die griechische Tempel in Unteritalien und Sicilien, 1399, pag. 153, e segg.
(6)PACE Op. cit., parte seconda.
(7)DIODORO: XIII, 82.
(8)FOUGÈRES and HULOT: Sèlinonte, pag. 247.
(9)KOLDEWEY and PUCHSTEIN: Op. cit., Vol. II, tavola 22. Pianta dello stato attuale.

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