FASCICOLO I SETTEMBRE 1924
ROUX SPITZ: Architettura francese contemporanea, con 16 illustrazioni
L’ARCHITETTURA MODERNA IN FRANCIA


Di Michele Roux Spitz questa Rivista ha già pubblicato qualche lavoro (n. 7 a. II e n. 8 a. III): egli un giovanissimo architetto, e l’attende una grande fortuna. E colto e appassionato dei problemi più vivi è palpitanti di arte. Ci ha promesso una serie di articoli che ci illustreranno le più caratteristiche ed eminenti personalità dell’architettura francese.
Fedeli al nostro programma, noi in quanto Comitato di redazione - non prendiamo posizione verso articoli, come questo del Rouz-Spitz, di vivace battaglia. Accogliamo tutte le idee e tutti gli indirizzi: non vogliamo, essere nè puramente stilisti, né avanguardisti: la nostra rivista, essendo la prima e la sola in Italia che si occupi di problemi di architettura, vuol essere eclettica: noi ci assumiamo soltanto: il compito di vagliare le idee e le opere d’arte dalle scorie. Come abbiamo illustrato nelle nostre pagine gli arditi voli delle nuovissime strutture tedesche e le singolari tendenze degli olandesi, così iniziamo oggi questa raccolta delle più recenti costruzioni francesi. Questo lavoro di ricercare quanto di più eletto nel nostro campo si pensi e si operi, andremo sempre più estendendolo a tutti i paesi più civili del Mondo, si che nello spazio di pochi anni - tre già son passati - avremo la soddisfazione di aver fatto conoscere ai nostri lettori te maggiori e le più significative currenti dell’architettura contemporanea universale.
Queste tendenze francesi sono in realtà molto audaci. Tra noi alcuni sono convinti ed entusiasti di tali nuove espressioni estetiche: altri gridano e si scandalizzano. È proprio questa battaglia che ci piace, e che vogliamo stimolare presso quei giovani architetti, che cominciano oramai ad adagiarsi troppo sulle serene conquiste neo-classiche, ripetendosi a sazietà, e rifuggendo da soluzioni più acute e più sincere dei. problemi più vivi della vita d’oggi.
Altrove questa fatica di ricerca si compie, e con ardore nuovo. Dovrebbe un simile fatto farci, seriamente meditare su queste nuove espressioni d’arte e di passione. Leggano attentamente i giovani queste pagine del Roux-Spitz : esse illustrano assai chiaramente le finalità degli architetti Perret: leggano senza prevenzioni ostili, senza troppo facili adesioni: riflettano che i punti di appoggio di queste concezioni sono totalmente cambiati. Come Claudio Debussy creò la nuova opera musicale impressionista, non più basata sulla successione di melodie né sul sinfonismo tematico, ma sul viluppo di sensazioni vaghe, atmosferiche, di ambiente;, così i Perret hanno veduto l’interno della loro Chiesa non come un avvicendarsi di piloni massicci e di archi possenti, risultato della statica muraria. di altri tempi, ma come un ambiente agile, svelto, come il cemento armato consente, e tutto soffuso di un’atmosfera mistica insieme e serena, iridata dalle vetrate dipinte da uno dei più suggestivi poeti del colore.
Il colore, in queste illustrazioni manca la vostra fantasia, o miei lettori, la crei.
M.P.


Viollet-le-duc, per il primo, osò contrapporsi alle idee generalmente ammesse dal di che la Francia s’era posta a copiare servilmente l’antico. La creazione dell’Accademia di Francia a Roma fu atto di lontane conseguenze. Questa accademia fu creata per “copiare”. Pittori, scultori, architetti andavano a Roma per svaligiare gli artisti celebri d’Iitalia, copiare le loro tele e statue, fare, i rilievi e le ricostruzioni -Dio sa come! - dei monumenti dell’antichità e della Rinascenza, Le conseguenze per la nostra arte Francese furono nefaste.
L'Architettura di tutti i tempi ha sempre detto la verità ed ha riflesso la civiltà d’un’epoca. Essa si è sempre adattata ai bisogni del tempo ed ha sempre espresso il genio della razza.
L’Accademia di Francia a Roma, esagerando ancora le tristi innovazioni portate dalla Rinascenza Francese alla professione dell’architetto, infranse la tradizione trascinando gli architetti alla copia dell’antico. E con questa scuola di architettura del XIX secolo ci dette tanti monumenti “nati morti” dalle fredde colonnate d’obbligo o dalle impasticciature di tutti gli stili e tutte le architetture.
La scienza che modifica ogni attività della vita moderna, non aveva alcuna influenza sull’architettura la quale si credeva di “modernizzare” solo che ponesse il riscaldamento centrale in un tempio romano o la elettricità nelle false candeliere Luigi XVI. Un sol tipo di monumento doveva insomma regnare, qualunque fosse il clima, o il rito, o i modi di costruzione.
Viollet-le-duc, dicemmo, aveva intravisto l’avvenire e già prevedeva che l’architettura si sarebbe trasformata in forza dei nuovi materiali. Egli fu anche il primo ad annunciare questa verità elementare cosi da gran tempo sconosciuta: che ogni edificio deve esprimere la sua vera destinazione. Ma queste non erano che teorie ed idee timide. I fatti, dopo qualche tempo, provocarono le più violente conseguenze.
In tutti i paesi del mondo il cemento armato, il béton, la intelaiatura metallica, la meccanica, il riscaldamento centrale, la luce elettrica, la chimica, la fabbricazione dei grandi cristalli i prodotti nuovi della pasta di legno, del fibrocemento, ecc,, ecc., han fatto dell’arte di costruire una vera scienza e non un’arte corrente ed empirica.
I nostri ingegneri ci han dato grandi lezioni realistiche. Battelli meccanici, areoplani, ponti, dighe, ecc,, ci hanno abituato ad altri rapporti, ad altre proporzioni che dànno all’architettura un respiro più ampio e un maggiore carattere.
Anche l’arte decorativa, sotto diverse influenze materiali e psicologiche, ha modificato il gusto delle folle. Cosi è prossima l’ora in poi trionferà una nuova architettura, quasi internazionalizzata e con poche variazioni da un paese all’altro, di cui l’unità sarà offerta dalla matematica e dalla intelligenza.
In Francia grandi nomi avevano preparato questo trionfo e degli altri hanno provocato ed aiutato questa nuova architettura a svilupparsi. Un piccolo gruppo d’artisti ha lottato e aperto gli occhi al pubblico e allo Stato, e perciò noi presenteremo al pubblico qualcuno di essi in alcuni articoli, preferendo a un articolo d’insieme una serie di studii che illustrino delle personalità, non avendo il nuovo movimento una completa unità di stile e di tendenze. L’unità è il suo sogno e la realizzazione è prossima.
Il teatro dei “Champs Élysées” - Noi diamo in questo primo articolo delle opere assai caratteristiche dell’arte dei due fratelli Perret: il Teatro “des Champs Élysées” costruito prima della guerra e la Chiesa del Raincy costruita nel 1923 e di recente ultimata. I fratelli Perret, figli d’intraprenditori, sono anch’essi impresarii del cemento armato. Essi fecero dei brillanti studii d’architettura alla Scuola di Belle Arti a Parigi e perciò, avendo le due attività di costruttore e di compositore, rappresentano il maestro d’opera ideale. In essi nulla vi è che separi il progetto eseguito sulla carta dalla sua realizzazione nel cantiere. Essi pensano nella loro materia e respingono le formule correnti.
Il teatro “des Champs Élysées” è una costruzione che segna una tappa nella storia dell’architettura francese. E la prima volta che un architetto osa impiegare in un pubblico monumento il cemento armato senza truccarlo, nè dissimularlo. Egli rompe con le ipocrisie delle impasticciature degli stili antichi ed osa gettarsi avanti.
“Comme tous les peuples vieux - scriveva P. Guadet nel 1913 - moins que l’Italie ou l’Espagne, plus que les peuples Germains, la France a un long passé artistique. De nombreux chefs d’oeuvre parent son sol. De cette abondance de merveilleux modèles est résultée une période de décadence, et pendant laquelle une trop grande et trop fàcile habilité manuelle a fait de nos artistes, des particheurs. C’est l’époque où presque tout l’effort intellectuel était appliqué au developpement de la science; c’est la période de progrès, de civilisation vraimente surprenante du XIX ème siècle. De nouvelles moeurs en sont nées, de nouveaux besoins aussi et une renaissance s’en est suivie. Par suite de la rapidité de ces transformations, quelques tatonnements se produisirent et aboutirent aux éphèmères manifestations qui usurpèrent les noms d’ “Art Moderne” ou de “Modem Style”. Tout cela s’ordonne et s’assagit maintenant”.
Ci si avvide che la direttiva era falsa, che il pasticcio del gotico e del romano e del romano del greco antico, risultava privo di valore.
Inoltre, i metodi della scolastica autoritaria del Medio Evo erano definitivamente rinnegati e il regno del libero esame si ristabiliva. E allora si videro nel medesimo anno, nel 1895, due maestri teorici dell’architettura, due caposcuola che non si conoscevano punto pubblicare simultaneamente l’uno a Parigi, J. Guadet, l’altro a Vienna, Otto Wagner, la loro professione di fede.
J. Guadet scriveva negli “Eléments et théories de l’architecture” le beau a dit Platon est la splendeur du vrai. L’art est le moyen donné à l’homme de produire le beau; l’art est dans la poursuite du beau, dans le vrai et par le vrai. Dans les arts d’imitation, le vrai c’est la nature, dans les arts de création, dans l’architecture le vrai se définit moins facilement; pour moi cependant, je le traduirai d’un mot; la conscience ”.
L’estetica architettonica ha sempre e in relazione ai materiali, partecipato di una sorta d’armonia matematica. Col marmo l’umanità ha conosciuto le gioie dello spirito, quelle stesse che si provano davanti ad un bello e semplice teorema di geometria. L’architettura non fu grande che quando espresse con franchezza i mezzi di reàlizzazione e dette soddisfazione ai bisogni dei suoi programmi.
Perret, disponendo di un nuovo modo di costruzione, il béton armato, assolutamente omogeneo, ebbe a sua disposizione le soluzioni più ardite e più nuove, e ciò essendo semplicemente leale con la sua struttura e il suo programma. Gli ornati sono proscritti e l’effetto non è prodotto che dai rapporti tra i volumi e le superfici.

Alcune personalità parigine, stimando che il Teatro dell’Opera si presta meglio a feste di lusso che a quelle dell’arte pura, progettarono di creare nella Capitale Francese un santuario d’arte musicale lirica e coreografica.
Dopo vani progetti e studii si stabili di far eseguire in béton armato la costruzione dell'edificio. Doveva inoltre prevedersi una seconda sala più ristretta e con disimpegni separati. Infine si domandava una galleria di pittura. Era, pel terreno insufficiente, un programma complesso, e i nostri lettori vedranno con quale ingegnosità e scienza se la sian cavata i due architetti.
Tutto l’edificio regge su qualche palo, i muri non essendo che riempiture, le quali dai Perret sono state stabilite a parete doppia con intercapedine centrale, soluzione leggera e perfettamente isolante.
Pianta semplicissima e chiara. Nessuna pesantezza come negli antichi “points de poché”, nessuna superfetazione, nessun doppio od elemento ingombrante. Tutto è sottomesso ad una concezione costruttiva.
Una platea generale in cemento armato è stabilita sotto tutto l’edificio, giacchè il suolo è assai cattivo a livello delle fondazioni. Sotto la scena questa piattaforma fu costruita a guisa di carena di vascello. I pilastri che montano fino al sommo del l'edificio partono da questa piattaforma e formano l‘ossatura generale. La sala ha m. 26,50 di diametro ed è interamente rotonda, il che giova per l’equilibrio statico e per l’estetica.
Dalla parte della scena (gran vuoto di 30 metri di larghezza su 17,50 di profondità e 37,50 di altezza) una delle pareti poteva minacciare uno spostamento non avendo che 0,45 di spessore su di un’altezza di 40 metri. Per evitare ciò i Perret costruirono due grandi nervature triangolari, visibili nella sezione trasversale che riproduciamo, e che ricordano le nervature che si mettono nei profili delle bielle.
Penetrando, ora che ne abbiam vista l’ossatura, nel piano del teatro, noi troviamo all’ingresso una felicissima composizione di vestibolo in cui l’accesso, per una grande scala d’onore, al “parterre” è francamente accusato. Al livello di questo “parterre una galleria gira attorno a questa “hall” d’ingresso, creando così degli effetti semplici e vivi ed altresì decorativi. Grandi gallerie circolari sono a servizio di ogni piano per tutto il contorno della sala e vi comunicano delle scalinate assai vaste. Non vi è “foyer” poichè le assai larghe gallerie servono per il passeggio tra un atto e l’altro.
La sala è di pura tradizione francese, Gruppi di doppie colonne reggono il gran cerchio superiore e il soffitto decorato dal pittore Maurice Denis. La scena è incorniciata di marmo con una grande semplicità plastica che mette, per contrasto, perfettamente in valore l’interesse dell’azione scenica. Volontariamente, tutte le tradizionali logge di proscenio sono state soppresse, ciò che è una eccellente condizione per la messa in valore della scena.
L’orchestra è ingolfata sotto la linea del boccascena. Alcuni gradini salgono dall’orchestra fino alle logge scoperte che sopportano le poltrone d’orchestra i cui dettagli sono stati studiati con gran cura. Ogni spettatore ha la sua poltrona perfettamente isolata coi suoi due bracciuoli.
I balconi dei piani superiori sono posti interamente in falso, malgrado il loro avanzamento considerevole (6 metri), il che è permesso dal béton armato. Sui lati questi balconi sono inchinati verso la scena, il che migliora considerevolmente i posti di 2° e 3° ordine. Dal punto di vista acustico, la sala circolare è la migliore, poichè nessuna parete verticale può produrre turbamenti d’eco. Le sole pareti verticali che si trovano direttamente sotto la cupola sono state particolarmente traforate e grigliate per evitare gli inconvenienti acustici. La cupola è stata studiata in modo da non dare alcuna eco verticale. Affinchè al prim’ordine di poltrone d’orchestra, l’audizione non si facesse per riflessione si è traforata la balaustrata che separa gli spettatori dai musici, collocati sotto la scena, e la si è costituita di un fine intreccio di bronzo-dorato.
La scena possiede tutti i servizi desiderabili sopra e sotto. Al fondo del terreno sono gli ambienti per gli artisti con il “foyer” della danza e, in sottosuolo, l’officina elettrica.
I nostri lettori vedranno inoltre in sezione un teatro per la commedia e una sala di pittura. E' la necessità imposta che obbligò l’architetto a fare un piccolo oltraggio alla purezza della sua composizione, per mettervi queste parti già in programma. Ma con quale abilità e ingegnosità lo fece!
La facciata del teatro è tutta rivestita di marmo. L’occhio afferra subito lo spirito assai franco di questo apparecchio di rivestimento. Queste placche di marmo prima sistemate e regolate ricevettero per di dietro delle grappe a coda di rondine in acciaio dolce.
“La muratura di mattoni fu poi montata al cemento, e fu fatta anche una colatura di cemento fra la cortina e il marmo, ciò che impedisce che esso si macchi. Le grappe inossidabili essendo annegate nel cemento sono anche prese nella massa medesima della muratura e sono assai più solide che se fossero sigillate in un secondo momento. Queste grappe son poste al disotto delle tavole di rivestimento per sopportarle; delle altre messe nella parte superiore, impediscon loro di muoversi. Inoltre i pali dell’ossatura hanno una sezione trapezoidale, e così impediscono ogni movimento in avanti delle “riempiture ”.
L’ossatura in béton armato su platea indeformabile è assolutamente rigida. Nessun movimento potrà dunque prodursi a seguito di spinte o di cedimenti. Non bisogna dunque temere per la durata di questi rivestimenti delle facciate.
Con questa maniera di trattare l’esterno e l’interno i Perret hanno conservato le forme rettilinee, logiche e necessarie, del cemento armato.
Le sculture del teatro sono opera di Bourdelle, così poco comprese al loro apparire, e così ammirate oggi malgrado tutte le affermazioni e deformazioni che impressionarono dapprima il pubblico troppo ossequiente ai nostri pontefici.
Si rimarcheranno le facciate laterali non rivestite in cui la costruzione si afferma in tutta la sua franchezza d’ossatura di cemento armato e di riempitura di mattoni.
L’interno ha le sue pareti rivestite di stucco a somiglianza di pietra e il suolo e pavimentato di marmo incorniciato di pietra. I pilastri rotondi che traversano l’edificio sono dei pali in cui si raccolgono le travi e le traverse; non vi era dunque alcuna ragione per ingombrarli degli dementi abituali delle architetture che procedono per sovrapposizione, mentre qui si procedeva per unione.
Questi pali non hanno dunque nè basi, ne capitelli, ciò che ha cambiato le abitudini di molti architetti, i quali credono che la loro arte non è costituita d’altro fuorchè d’una serie di usi da osservare senza nemmeno capirne l’origine.
L’interno della sala è ricco per i materiali impiegati e non per accumulazioni di cartelle, attributi, cariatidi, fame dalle lunghe trombe, e tutti gli altri trofei che appesantiscono il soffitto della Grande Opera di Garnier.
Le pitture della cupola sono opera di M. Denis. I soggetti scelti son questi: “al ritmo Dionisiaco unendosi la parola d’Orfeo, Apollo ordina i giuochi delle Grazie e delle Muse”, e, per il pannello centrale: L’architettura dell’opera classica nobilita le passioni e i destini tragici. “Dal cuore dell’uomo, da tutte le voci della natura, scaturisce la divina sinfonia”. A destra e a sinistra, nel fondo: “Sulle cime, nell’angoscia e nel sogno, dramma lirico o poema, la musica tende verso un puro ideale”.
Dopo aver esaminato quest’opera rimarchevole dei fratelli Perret, noi potremo concludere che nessuno meglio di essi può definire il bello “lo splendore del vero”. È il medesimo pensiero che sarà alla base di tutte le loro composizioni e noi ne ritroveremo una vigorosa affermazione nella chiesa del Raincy, costruita di recente, e cioè dieci anni circa dopo il teatro “des Champs-Élysées”.
La nuova chiesa del Raincy. - Noi siamo in presenza di un edificio che è una vera dimostrazione di franchezza costruttiva. Bisognerebbe rimontare a Labrouste per ritrovare nella storia dell’architettura francese un tentativo consimile.
Dopo il teatro “des Champs Élysées” fratelli Perret ci mostrano uno sforzo ancora più violento verso la rinnovazione dell’architettura con la tecnica del cemento armato.
Questa chiesa è un’opera architettonica anche senza volerlo. Una nuova estetica vi si risveglia, assolutamente padrona dei suoi mezzi e tuttavia niente, nè nel dettaglio, nè nell’insieme di questa chiesa e stato cercato col fine di un effetto originale “ a priori”. La novità è la conseguenza della lealtà.
Essa segna nella storia dell’architettura moderna un punto di partenza di un era nuova pur avendo, nella sua parte generale, rispettato il tradizionalismo delle grandi epoche della fede.
Noi siamo già lontani dal saggio fatto in Parigi per la chiesa di Saint Jean de Montmartre dall’arch. De Baudot, il cui gusto non era di certo all’altezza della scienza del costruttore.
Qui l’impiego logico e artistico dei nuovi materiali crea un insieme logico, vero e vivente, d’un innegabile ardore religioso, d’un lirismo che afferra.
L’unità della materia, la struttura sempre visibile e indipendente da riempiture, sono, come nelle chiese gotiche, le caratteristiche della Chiesa del Raincy, ma la materia unica: il cemento armato, ha rimpiazzato la pietra del nostro Medio Evo. Essa non poteva normalmente sopportare che degli sforzi di compressione, mentre il cemento armato regge a tutti gli sforzi statici che una costruzione esige.
Dei grandi pali di béton montano e si slanciano come degli immensi tronchi d’albero portanti le vôlte, il cui tradizionale problema è risolto con una completa eleganza. I loro trafori sono studiati sul principio delle aperture del violino per migliorare l’acustica.
“Alla concezione delle vôlte a spinte localizzate, equilibrate da organi esteriori di controspinta s’è sostituita quella d’un gigantesco coperchio assorbente esso medesimo gli sforzi che sviluppano i suoi elementi costitutivi, i quali non trasmettono ai loro punti d’appoggio altro che dei carichi rigorosamente verticali. Le vôlte della Chiesa di Raincy riposano sul loro pilastro come un architrave su colonne.
“La forma delle vôlte s’è dunque modificata: gli organi di controspinta inutili sono scomparsi, i punti d’appoggio, liberi dai loro sostegni, hanno infine la eloquenza presentita, ma giammai raggiunta dai costruttori medievali ; per la prima volta, le invetriate prendono lo sviluppo che fu tentato per il corso di tre secoli di sforzi incomparabili, il vuoto trionfa finalmente sai pieno senza torturare la materia e l’immenso e luminoso vascello s’eleva libero dagli impacci della costruzione in pietra.
“La particolarità di questo edificio è il suo sistema di vôlte. Esse son composte di superfici a semplice curvatura per la facilità dell’incassettamento (coffrage); senza tiranti esterni nè nervature in salita sopra l’intradosso, esse sono state assai ribassate, cosi come esige (per la gran nave) il dispositivo statico che descriveremo. Le navi minori sono coperte da vôlte a botte a generatrici trasversali; esse riposano nella loro ricaduta su semplici ringrossi delle loro reni. La grande navata è coperta da una vôlta a botte longitudinale unica. Il livello delle origini di questa imbotte, coincide con il livello delle chiavi di v6lta delle navate minori. La vôlta della nave grande è sopportata da due file di travi ad arco che formano i timpani interni delle imbotti trasversali. Benchè lo spessore di questa vôlta sia assai debole (circa 4cm.) essa sviluppa spinte considerevoli le quali sono assorbite da una serie di organi di separazione (cloisons) e cioè travi trasversali e verticali che riuniscono le vôlte alla copertura in cemento armato ed hanno l’ufficio di immobilizzatori (raidisseurs) data la loro resistenza alla flessione. L’insieme monolitico costituito dalle vôlte interne, dalle spine trasversali e dalla copertura, può così riposare senza inconvenienti su punti d’appoggio non controspinti, facendosi però riserva che questi punti d’appoggio siano stabiliti tenendosi conto dell’azione del vento. La copertura è composta di una serie d’elementi trasversali a duplice curvatura a fine di permettere le libere dilatazioni sotto l’azione delle variazioni di temperature. Questi elementi il cui spessore e di circa 2 cm., si son rivelati perfettamente stagni”.
La chiesa intiera è costruita servendosi di sette elementi che creano l’armonia dell’insieme: la colonna che è la stessa per tutti gli appoggi verticali all’esterno come all’interno, la vôlta armata rigida, infine i motivi ornamentali che si ripetono: la croce, la losanga sbarrata, il cerchio, il quadrato, il rettangolo. Se il cemento armato esige una disciplina severa - nella composizione, esso però dà agli architetti la possibilità dei più nobili effetti. Tutta la Chiesa del Raincy e là per dimostrarlo.
Il suolo della chiesa è stato inclinato, nella nave, dalla porta al coro, e, per lo spazio esiguo occupato dagli esili pilastri e per la sopraelevazione del coro di m, 1,50, la totalità dei fedeli può seguire il servizio divino e anche vedere l’officiante, in questa chiesa la parete tutta intera non e che una continua vetrata. Le vetrate sono tenute da incastri nel cemento armato, formati da elementi colati prima e lasciati bruti come risultano dallo scassettamento, e ciò per tutto l’insieme dell’edificio, all’esterno e all’interno. Le chiusure del coro, le balaustrate della tribuna, e i confessionali, la cattedra, il tabernacolo dell’altar maggiore, sono anch’essi lasciati bruti, senza alcun rivestimento.
Queste immense superfici traforate riempiono tutto il vuoto fra i pilastri e dànno a tutte l’ore del giorno o della notte l’effetto più commovente e nobile. Tutta questa guarnizione legata alle fasi del giorno e agli effetti della natura e abbellita dalle vetrate dipinte, è opera di Maurice Denis.
Nell’alto di ognuna di queste vetrate laterali è posto un medaglione figurante una scena del Nuovo Testamento. L’insieme di queste invetriate è costituito da immensi mosaici di vetro nei quali il pittore ha cercato di procurarci la gioia semplice ed intensa degli occhi che gustano i forti e bei colori.
In questo monumento i fratelli Perret si sono astenuti di proposito da ogni rivestimento. Giacchè se il teatro dei Campi Elisi reclamava un apparato di lusso, questa chiesa invece si prestava a far risaltare la evangelica semplicità del cemento armato.
Questa chiesa è la espressione pura della religione del nostro tempo. Essa non invoca alcuna magia misteriosa, alcun romanticismo, nè la trionfante ricchezza della Rinascenza italiana. Essa è la traduzione esatta della religione intelligente e ragionata della nostra epoca, tesa dalla scienza avida di chiarezza e di verità.
Il campanile, espressione cosi netta della materia, stessa dl cui è fatto, si slancia verso il cielo con lo stesso lirismo di quello delle nostre cattedrali gotiche. Esso è formato da quattro fasci di colonne il cui numero decresce per piani, creando così, con tali restringimenti successivi, il più bell’effetto prospettico. L’insieme è di 45 metri d’altezza dal piano alla croce.
Meglio che tutte le teorie fumose e nebulose di esteti ignoranti e pretenziosi questa chiesa farà riflettere gli architetti sul vasto campo che la scienza moderna e il cemento armato aprono alla foro immaginazione creatrice. Ma questo avvenire che si concepisce senza limiti e che ci darà un’architettura del tutto nuova, non apparterrà che a coloro i quali, lasciando i loro saggi di pura abilità di disegnatori o di acquarellisti amatori, si attaccheranno energicamente ai problemi scientifici della costruzione e realizzeranno nella persona dell’architetto moderno la sintesi dell’ingegnere e dell’artista.

In un numero prossimo daremo le opere dl altri architetti moderni di Francia che si sono votati ad altri programmi ed hanno studiato altre tecniche, ma sempre con questo amore del vero nella costruzione e nelle sue disposizioni, completamente ispirate alle necessità e ai bisogni de loro programma.

MICHEL ROUX-SPITZ
Architetto Grand Prix de Rome.

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