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GALASSI-PALUZZI: Altare di Sant'Ignazio al Gesu', con 13 illustrazioni |
ARCHITETTI E DECORATORI
NELLA CHIESA DEL GESÙ L’ALTARE DI SANT’IGNAZIO L’altare di Sant’Ignazio al Gesù - a parte il tributo di venerazione che esso rappresenta verso il grande fondatore della Compagnia di Gesù - è un’opera d’arte eminentemente decorativa. Opera d’arte decorativa perchè intesa in funzione di un’idea da "rappresentare" subordinatamente e coordinatamente, però, ad esigenze di luogo, di luce e d’ambiente. Queste esigenze sono state intese e rispettate per buona parte dall’architetto dell’altare, ma non con il medesimo senso di supino adattamento voluto da alcuni moderni eruditi i quali, sterili per natura, vogliono in fondo una pedissequa imitazione della "cornice-ambiente", ogni volta che in un tempio si debbono rifare le panche o rabberciare un angolo di balaustrata. Ricchissimo è poi questo altare di singole e, talvolta, squisite opere d’arte decorative, le quali furono eseguite da vari autori, ma su di un piano e su i modelli forniti dall’unico architetto dell’altare. Ho cercato di corredare alcune considerazioni critiche e riassuntive intorno all’opera d’arte con i risultati di pazienti ricerche fatte nell’archivio della chiesa (disgraziatamente più volte saccheggiato) ricerche che mi hanno permesso di trovare i nomi di parecchi degli artefici delle singole opere rimaste finora sconosciuti e di poter confermare o correggere varie attribuzioni correnti. Sarà utile, prima d’ogni altro, far cenno assai rapidamente di qualche notizia storica riguardante l’altare stesso. A tale proposito bisogna notare, come già ha fatto il P. Alessandro Basile in un suo pregevole scritto (1), che per una singolare e non fortunata combinazione, mentre intorno alla fondazione delle cappelle minori è ancora possibile trovare delle notizie nello scarso materiale archivistico che ci è pervenuto, per la fondazione e le prime vicende delle due grandi cappelle di crocera nella nostra chiesa non è possibile trovare notizie dirette nel materiale archivistico stesso. In un libro di Consuetudini (2) conservato in archivio, leggiamo: "L’altare, dove hora sta il Corpo del Nostro Padre Sant’Ignazio, fu ornato dal sig. Cardinal Savelli Vicario del Papa, il quale morendo lasciò dodicimila scudi perchè si finisse di ornare, ma Papa Sisto V stimò di applicarli ad altre opere pie ". Lo stesso aveva già detto in un altro ms. il Padre Broccoli S. J. (3). Il P. A. Basile S. J. (al quale rendo pubbliche grazie per il grandissimo aiuto che ha voluto darmi nelle ricerche d’archivio da lui facilitatemi con raro disinteresse) nell’articolo del quale abbiamo fatto cenno, dice che in un diario di sacrestia del 1737, ove sono enumerate le quattro consacrazioni del nostro altare, si legge che esso fu consacrato la prima volta il 25 novembre 1584 da mons. G. B. Santori (l’autore del noto Diario) e che l’altare stesso era dedicato al Crocifisso. Da più di una fonte si può ritenere, senza dubbi, che questo fu il titolo primitivo dell’altare. Già il P. Broccoli (primo quarto del sec. XVII) ci dice che "il Crocifisso che è in sagrestia (e che vi è tuttora) stava prima esposto... nello altare adesso di Sant’Ignazio". Il celebre teologo e card. Giovanni de Lugo morto nel 1670 lasciò tutto il suo per l’erezione di un nuovo altare a Sant’Ignazio. Una forte somma di denaro legava, per l’istesso intento Giovanni Casimiro, prima Gesuita, poi cardinale, poi Re di Polonia, e infine ritiratosi a vita privata e morto nel 1671. La massima parte delle spese necessarie (che pur essendo state ingentissime non hanno raggiunto le cifre fantastiche accennate da alcuni autori) furono sostenute dalla Compagnia, alla quale si rivolse il gen. P. Tirso Gonzales. Per quanto riguarda - anche nei suoi minuti dettagli - l’erezione dell’attuale altare, esistono ancora fortunatamente in Archivio due voluminosissimi libri di contabilità, e cioè il Libro Mastro al "conto delle spese che si fanno per li disegni e modelli della nuova Cappella del S.to P.re", leggiamo subito: "A dì 1° di marzo 1695, sc. 1,64 alla nostra Casa Professa Romana per gli alimenti del n.ro fra.lo Andrea Pozzo dimorante ivi per i Disegni dal dì 22 febraro fino al presente ambi inclusive... in ragione di baiocchi 18 per giorno". E quindi è tutta una sequela di conti da pagare a Francesco Nuvolone, a Giuseppe Piserone, ad Ambrogio Mainardi, dei quali due ultimi è detto che a dì 13 maggio 1659 "hanno fatto l’ultimo modello di creta sopra il disegno fatto in carta turchina dal d.to Frat.lo Pozzo". Diamo uno sguardo a questo altare che è uno dei più fastosi ed opulenti che si conoscano. Sulla mensa e sulle fiancate di sagoma convessa si leva l’altare che ha quattro colonne scanalate incrostate di lapislazzuli e listate con bronzi dorati. Le basi e i capitelli delle colonne, anch’essi in bronzo dorato, furono fusi da Giacomo Biscia e da Giacinto Tana su i modelli di Andrea Bertoni (5). La cornice architravata con timpano spezzato su pianta convessa, con ricche e grandi applicazioni di bronzo dorato è in verde antico. Dell’istesso marmo sono i plinti delle colonne e lo specchio posto al disopra del gradino tra la mensa e il nicchione. Nei plinti e nello specchio suddetti sono incorniciati alcuni rilievi dei quali parleremo fra poco. Tra le due simie del timpano campeggia un gruppo scultoreo rappresentante la SS.ma Trinità. Il globo sorretto da un angelo è formato dal blocco più grande di lapislazzuli che si conosca. Del gruppo, l’Eterno Padre, lo Spirito Santo e l’angelo suddetto sono dovuti a Bernardino Ludovisi, mentre il Divin Figlio è opera di Lorenzo Ottoni (6). All’altezza della finestra si vedono due stucchi con fatti della vita del Santo, al disotto dei quali sono due specchi del fregio che corre lungo tutta la chiesa con i puttini disegnati dal Gaulli. La nicchia che contiene la statua del Santo è rivestita di lapislazzuli e alabastro antico, I due angeli che sostengono la targa con il SS.mo Nome di Gesù sono dovuti a Pietro Monnot (7). La statua del Santo, e gli angeli che la circondavano furono modellati dal Le Gros (8). La statua che G. F. Ludovisi fuse poi in argento, fu però distrutta verso la fine del sec. XVIII, e fusa poi questa volta per pagare ai francesi le gravissime imposte del Trattato di Tolentino (9). Il Visconti nei suoi Monumenti moderni di Roma dice che la statua che si vede oggi è di argento mentre soltanto la pianeta e la testa lo sono. Le frange sono ricche di pietre preziose e rare. Il Moroni nel suo Dizionario, ecc. riferisce che il "Canova la formò di gesso per essere ricoperta d’argento". D’ordinario la nicchia è ricoperta da una tela dipinta da Fratel Pozzo, rappresentante in alto il Salvatore che accoglie Sant’Ignazio il quale reca lo stendardo della vittoria; in basso sono delle figure simboliche raffiguranti le razze umane beneficate dal Santo. Il quadro è un’opera mediocre di Fratel Pozzo al quale furono mosse acerbe critiche, come rammenta il Pascoli che tenta di scagionare almeno in parte il pittore (10). Anche il Lanzi trova giustamente che "l’opera non è studiata egualmente in ogni sua parte"(11). Dei due gruppi laterali dovuti al Le Gros e al Théodon, dei mezzirilievi in bronzo dorato, della magnifica balaustrata, della volta dipinta dal Baciccio, diremo tra breve più particolarmente. Facciamo ora cenno dell’urna che racchiude il corpo venerato di Sant’Ignazio, e del ricco paliotto che, posto in primo piano le fa da cornice (fig. 8). L’urna fu donata da una gentildonna, Francesca Giatrini, e ai 23 di luglio del 1637 le ceneri del Santo furono poste in questa crocera di sinistra (Cappella gentilizia dei Savelli) sotto l’altare che sembra sia stato disegnato da Pietro da Cortona. Così almeno (citando fonti storiche) riferisce il P. G. Domenici S. J., in un suo dotto articolo (12). Il chiarissimo P. C. Bricarelli S. J., che nel volume ora citato (13) aveva scritto un bello articolo sull’urna stessa, dicendo che il nome dell’autore "non è ricordato nelle storie domestiche anche le più minute", ha pubblicato poi un articolo nella Civiltà Cattolica (14) nel quale, sulla testimonianza del Pascoli, ha potuto attribuire il rilievo dell’urna all’Algardi. Per quanto riguarda il paliotto che fa da cornice all’urna, esistono alcuni documenti che ce ne danno notizia, e che in via indiretta confermerebbero l’attribuzione a Pietro da Cortona dei disegni del primitivo altare. Nell’Arch. della Chiesa vi è infatti un documento (15), nel quale leggiamo che "a dì 27 aprile 1741, in occasione che fattasi nel 1737 il paliotto di bronzo indorato all’altare del S. P. Ignazio del disegno di Pietro da Cortona e col finimento di Giuseppe Rusconi appariva troppo smontata la doratura dell’urna". (Quindi si fa ridorare). Per quanto riguarda la data del 1737 si può aggiungere che in un Frammento di diario di sacrestia dell’anno 1737" (16) si dice che a dì 12 luglio "la mensa dell’altare era stata levata dal suo luogo per attaccarla al nuovo paliotto di bronzo che sta lavorando... ", e fu pronto il paliotto, la mattina del 20 luglio quando fu rimesso a posto "con grande fatica". Secondo questi documenti il paliotto, dovuto originariamente ai disegni del Cortona, sarebbe poi stato racconciato da Giuseppe Rusconi. Giuseppe Rusconi che probabilmente, a giudicare dallo stile, ha aggiunto, tra l’altro, i due angeletti laterali, nato in Tremona nel baliaggio di Lugano nel 1688, morì in Roma nel 1738 (17), "fu scultore in marmo" , e oltre aver fatto la grande statua di Sant’Ignazio per la Basilica Vaticana (della quale il gesso è nella Chiesa di Sant’Ignazio) lavorò in S. Prassede, in S. Giovanni in Laterano, e in Santa Maria ad Martyres, dove scolpì il ritratto del suo maggior congiunto Camillo Rusconi, Nei lunghi specchi di alabastro ai lati dell’altare vi sono due rilievi in ricche cornici di bronzi dorati. Quello dalla parte del Vangelo raffigurante Paolo V che approva la Compagnia di Gesù, è opera di Angelo De Rossi. Il De Rossi (Genova, 1671-1715) venne a Roma diciottenne dopo avere studiato alcuni anni in Genova sotto Filippo Parodi ed alcun tempo poi a Venezia. Il Pascoli (18) rammenta con parole di lode questo rilievo, e l’altro in bronzo del quale parleremo fra poco. Il Ratti, poi (19), che sostiene addirittura essere stato il De Rossi "uno dei più eccellenti scultori in bassorilievo che siano fioriti in Italia" all’epoca sua, dice che "se questa rarissima scultura non fosse situata così in alto come ella è vi si scorgerebbero tante bellezze che la lontananza non ci lascia godere". Si potrebbe obiettare al Ratti che queste bellezze si dovrebbero vedere da lontano, e non da vicino, perchè il rilievo è stato allogato come opera d’arte decorativa, e non come gruppo da pinacoteca. In ogni modo, l’opera appare pregevole. L’altro rilievo, dalla parte dell’epistola, raffigura Gregorio XV che proclama "Santo" Ignazio di Loiola. L’opera che è dovuta a Bernardino Cametti (20) appare composta ragionevolmente secondo le esigenze e le risorse del mezzorilievo. Su i portali laterali che conducono all’antico atrio d’ingresso e alla Cappella di Santa Maria della Strada, sono poggiati, sulle simie dei timpani, due coppie di angeli che fiancheggiano un monogramma con il Nome di Gesù. Il De Buch erra citando gli autori di essi. È giusta l’attribuzione del Titi, poi ripetuta da altri, come ho potuto stabilire dai seguenti documenti. Circa i due angeli sovrastanti al portale della Cappella della Vergine, leggiamo nel Giornale e nel Mastro che "a dì 26 luglio 1699" furono dati "al signor Ruscone (Camillo) sc. 680 per fattura delli due angeli sopra della Madonna (fig. 12)". Il Bertolotti (Artisti subalpini) parla di uno scultore Papaleo concorrente fortunato del Rusconi. Gli angeli dell’altro portale sono: uno di Francesco Maratti che riceve sc. 300 "a dì 23 settembre 1697 per fattura di un Angelo delli frontespicci delle Porte"; e l’altro di Lorenzo Ottoni (autore del Divin Figlio nel gruppo della SS.ma Trinità), che il "22 gennaio 1690" riceve "sc. 300... per fattura di un angelo fatto sopra la porta dalla parte del Vangelo", e che il 10 ott. dello stesso anno si ha poi 25 sc. come "premio per il suo angelo". Sull’altare vanno rammentati: Il Ciborio composto di malachite, diaspro, brecce rare con applicazioni varie e la croce anch’essa ricca di marmi e di pietre rare. Le Carteglorie eseguite espressamente per l’altare non sono quelle che abitualmente servono per il rito, ma alcune altre ricchissime in argento sbalzate e cesellate, cosparse di pietre preziose, delle quali riproduciamo la cartagloria centrale (fig. 11). Reputo che il disegno delle carteglorie sia stato fornito da Fr. Pozzo. Il 9 maggio 1699 in un "conto di gioie" vengono registrate nel Giornale" a Monsù Carlo Germani... (quasi certamente si tratta del Germain) sc. 112 e b. 50 per legatura di tutte le grana della cartagloria, evangelio e lavoro". I quattro superbi e monumentali porta lampade (fig. 10) che superano in altezza i tre metri, e che con le loro caratteristiche volute, ancora per altro a simmetria bilaterale, sembrano segnare la transizione fra il cartocciame del Sei e del Settecento, si debbono a " Monsù Germain" al quale, come si legge nel Giornale, furono dati il 23 sei, 1699 "sc. cinquecentotrentuno per i lampadari grandi, e per una lampada a S. Luigi". Il fratel Presutti nei suoi Ricordi (21) ci fa sapere che i "cori" della crocera di sinistra furono fatti nel 1614 e nel 1616 (fig. 12). Rammenteremo in fine la caratteristica predella dello scalino in istile fiorentino. Per il pavimento della cappella "a dì 11 maggio 1697 (si danno) sc. 12,60 al sig. Bay, per giornate 18... fatte da oggi inclusive retro per il disegno del pavimento". Prima di parlare - come faremo tra breve - un poco più diffusamente di alcuni particolari decorativi dell’altare, consideriamo esteticamente, nel suo insieme, questa singolare opera d’arte, segno di tanti appassionati consensi e di tanti non sempre spassionati dissensi; frutto spesso, gli uni e gli altri, di un filo o di un antigesuitismo di principio o di maniera. Di questa pseudo critica parlerò più diffusamente in una monografia di prossima pubblicazione sulla chiesa del Gesù. Alcuni, come il Reymond (22), sostengono che "l’uso delle curve per le piante delle chiese condusse all’uso medesimo per tutti i particolari decorativi; per gli arredi e il mobilio sacro, e specialmente per gli altari; e che secondo questo spirito si costruirono in Roma gli altari di Gesù, di Sant’Ignazio, del Gesù e Maria, di Santa Maria della Vittoria, ecc. ". Ma è facile rispondere al Reymond che egli in tal modo rimpiccolisce il problema della funzione della linea curva nel fenomeno del barocco. Altri hanno visto nel nostro altare un esempio caratteristico del moto e dei contorcimenti dell’epoca. Molti trovano che lo sfarzo e la magnificenza dell’altare sono un’adeguata espressione dell’opera grandiosa del fondatore della Compagnia di Gesù. Altri, invece sono offesi o distolti dal fervore per questo stesso sfarzo e magnificenza che sembra loro più artificio che arte. A me sembra che, a prescindere dalla squisitezza veramente maravigliosa ed elegantissima di alcuni particolari, vi sia, nell’altare, uno squilibrio tonale più che architettonico. Il colore non è stato veduto, come si sarebbe dovuto, in funzione dell’architettura. Manca, per esempio, la nota, la gamma cromatica che leghi il bello azzurro lucido e trasparente dei lapislazzuli, riscaldato ancor più dai bronzi dorati, all’opaco a freddo verde antico del frontispizio e dei plinti. Del pari manca un raccordo tonale fra l’argento della statua e degli angeli e la cornice cromatica di azzurro e oro delle colonne. Gli specchi alabastrini sembrano una pausa troppo fredda o severa fra il vivace tumulto all’insieme. Forse il desiderio di adoperare materiali rari e preziosi, a tonalità quindi obbligate, ha nociuto in parte ad una espressione armonica fra architettura e colore che mi sembra non sia stata raggiunta, e che viceversa è necessaria in opere come queste nelle quali architettura e colore sono immaginate l’una in funzione dell’altra. Altra disarmonia troviamo fra le pause di silenzio che è ancora possibile cogliere negli specchi alabastrini, e il tumulto sonoro, senza respiro nè sosta, che presenta l’altare con i mille contorcimenti delle sue linee aggrovigliate, e i molteplici guizzi dei riflessi e bronzei, e argentei e dorati e marmorei dei mille particolari decorativi. Ora che abbiamo fatto cenno dell’altare in generale, potremo parlare un poco più di alcuni di questi particolari decorativi, e cominceremo dalla superba balaustrata (figg. 3,6,7,13). Indubbiamente questa balaustrata dell’altare di Sant’Ignazio è uno dei più belli e de’ più rappresentativi esemplari di decorazione in bronzo del barocco che siano nella chiesa del Gesù, e forse in Roma. Scorrendo i due voluminosi e già citati libri Giornale e Mastro segnati A, ci si può formare l’opinione che il Fr. Pozzo, come per tutti i particolari dell’altare, abbia forniti i disegni anche per la balaustrata, i vani particolari della quale furono poi modellati e fusi da parecchi artisti rimasti finora sconosciuti. Per esempio il 24 maggio 1695 il signor Maglia riceve scudi 40 "per un modello di un pezzo della balaustrata". Il 15 ottobre e il 15 decembre del 1697 troviamo, registrati nel Mastro, dei conti pagati in antecedenza ai signori Fortunati e Donati "per la formatura del modello di balaustrata fatto dal signor Domenico Melusi". Il Melusi lavorò molto a tradurre plasticamente i disegni di Fr. Pozzo. Nel maggio-giugno del 1699 si parla di conti pagati al sig. Ferrieri per "il cavo e le cere degli sportelli e festoni della balaustrata della parte di mezzo"; il 27 luglio dello stesso anno si conteggiano al signor Spagne la bellezza di "sc. milleduecentottanta per la formatura e gettatura di n. 16 putti che stanno ai piedi di candelabri della balaustrata"; e via di seguito. Circa varii di questi deliziosi puttini ho trovato che ai 25 di ottobre del 1696 furono registrati "40 sc. a Monsù Legros (sic) per modelli di due altri putti"; e già al suddetto Maglia erano stati conteggiati sc. 40 il 24 maggio dello stesso anno "per il pezzo di balaustrata e per n. 4 putti et un candelabro". Del pari il 14 ottobre troviamo registrati "sc. 30 al signor Ottoni (Lorenzo, del quale abbiamo già parlato) per modello di due putti che sostengono una lampada". Ai 24 settembre del 1697 si ha poi un "conto di modelli per una formatura di due putti al sig. Melusi", il quale l’anno prima aveva modellato un pezzo della balaustrata ed un candelabro. Il Bertolotti (Artisti subalpini in Roma) fa noto che altri due putti sono dovuti ad A. Rossi. Guardiamo ora, ed ammiriamo la bella opera d’arte. La sagoma, un po’ massiccia, dei motivi decorativi che formano il pluteo e che rammentano quelli del più pomposo seicento genovese, trovano un aggraziato e svelto correttivo nei puttini deliziosi che reggono i festoni floreali. Si direbbe che nella balaustrata, cominciata nel 1696 e finita nel 1704, v’è un connubio fra la grave posatezza seicentesca, e l’ariosa e leggera grazia del Settecento. Nei punti delle colonne, e lungo lo specchio che s’innalza sulla mensa a far da base al nicchione dell’altare di Sant’Ignazio, sono incorniciati sette mezzirilievi in bronzo, come avrebbe detto il Vasari. Il Fratel Pozzo fornì i disegni dei rilievi che furono poi modellati e fusi da un gruppo di artisti francesi. Questa specie di appalto preso dagli allievi dell’Accademia di Francia si spiega con il fatto che al declinare del sec. XVII, il Governo francese, preso da più gravi occupazioni, aveva cessato di allogare opere d’arte ai suoi pensionati romani, il che portò praticamente all’abrogazione del divieto fatto ai pensionati stessi di non lavorare per altri che non fosse "le Roi". Il Titi, e quindi alcune altre guide, hanno fatto cenno così dei rilievi, come degli autori di essi. Nel Giornale e nel Mastro dedicati alle contabilità per l’erezione di questo altare, assai frequentemente se ne fa menzione. V’è tra gli altri un conto (23) dal quale partitamente attingo. Per comodità dei lettori trascrivo fra le note bibliografiche le frasi documentarie che si riferiscono ai mezzirilievi. I quali rappresentano vari prodigi operati per intercessione di Sant’Ignazio. Cominciando da sinistra a destra ahbiamo: 1. R. Fremin: Un incendio spento per intercessione di Sant’Ignazio; 2. A. Rossi: Un ossesso liberato da Sant’Ignazio (fig. 9); 3. P. Reiff: Una religiosa inferma guarita da Sant’Ignazio; 4. San Pietro che sana la ferita riportata da Sant’Ignazio a Pamplona; 5. F. Nuvolone: San Filippo vede il capo di Sant’Ignazio circondato da un’aureola; 6. R. Fremin: Infermi guariti con l’olio di una lampada posta innanzi l’immagine di Sant’Ignazio; 7. P. Monnot: Prigionieri liberati dagli angeli per intercessione di Sant’Ignazio. Nella nota, alla quale rimando il lettore, è fatto cenno di brevi notizie storiche. Artisticamente i rilievi non sono poi una grandissima cosa, ma stanno tutti a testimoniare di quel senso pieno di nervosismo impressionista che troviamo nelle opere del genere sul finir del seicento, e che, nel caso nostro, è stato reso con abilità dal franco e tagliente uso della stecca. Due gruppi marmorei ed allegorici fiancheggiano il nostro altare. L’uno è dovuto a Pietro Le Gros, l’altro a Giovanni Théodon. Pietro Le Gros (Parigi, 1666, Roma 1719) venuto, per la protezione di Louvois, di Francia a Roma, fu ospite ed allievo per vari anni de l’Accademia di Francia. Al dir del Pascoli (24) "la prima opera che mettesse al pubblico fu quella del gruppo di marmo rappresentante la Religione... al Gesù..." (fig. 4). Florence Ingersoll Smouse, in un suo articolo su Pierre Le Gros et les sculpteurs français à Rome vers la fin du XVII siècle (25) pubblica delle lettere di La Teuliére, il quale, da Roma, in data 15 novembre 1695 a proposito del concorso per i gruppi laterali all’altare di Sant’Ignazio, scriveva che il modello del Le Gros era stato generalmente più ammirato, e che, ignorandosene l’autore, l’opera era generalmente creduta di uno scultore genovese. A proposito del modello presentato dal Le Gros e dall’altro del Théodon, il La Teuliére scrive: "Celui du sr. Le Gros a été trouvé le mieux entendu; en un mot le meilleur, je ne ferai pas un mystère pour vous dire que le jugement du plus grand nombre est fort équitable". In contrapposto a quanto giustamente scrive il La Teuliére, ho trovato un documento d’archivio (26) nel quale ai 24 decembre 1702, leggiamo che nella scrittura dei capitoli avendo fatta promessa di un premio di sc. 150 "da darsi a quello che fosse giudicato, che havesse operato meglio e non essendosi mai fatto tal giudizio, et essendo da’ periti stati ugualmente lodati i detti due gruppi; quindi è che detti scultori hanno rinunziato la loro pretenzione sopra detto premio... Col parere del P. Proc. Gen. si è stimato conveniente di far loro detto regalo (sc. 100 divisi metà a ciascuno) ritenendo gli altri sc. 50 a favore della cappella... per mostrare di aver gradita tale rinunzia a ciascheduno si è messa una cartellina d’argento ad una lampada della balaustrata con queste parole: Ex dono Petri Le Gros Statuari 1702; Joannes Théodon donavit 1702. Dall’altro lato dell’altare v’è il gruppo rappresentante La Fede che abbatte l’Idolatria scolpito dal Théodon (fig. 5). Il Théodon aveva inviato due modelli dei quali il primo fu rifiutato, e il secondo fu accettato con l’obbligo però di apportarvi delle modificazioni. I due gruppi, quasi simili per il concetto che dovevano esprimere, si differenziano notevolmente per lo spirito e lo stile cui sono informati. Nel gruppo del Théodon v’è uno scultore francese del pieno seicento con pause, linee, masse, drappeggi fondamentalmente gravi e retorici, e solo esteriormente atteggiati - sempre con moderazione - al moto e al viluppo, ma, bisogna anche dire, con sagace senso di coordinamento all’insieme dell’altare. Il Le Gros più giovane di venti anni aderisce invece spontaneamente allo stile impressionisticamente movimentato di una forte corrente del barocco romano allo spirare del secolo XVII. Sulla volta dell’arcone del nostro altare G. B. Gaulli detto il Baciccia ha dipinto un affresco rappresentante Sant’Ignazio in gloria (fig. 1). Della vasta opera pittorica svolta dal Gaulli nella chiesa del Gesù sarà fatta più ampia menzione nella monografia sulla chiesa che pubblicherò fra breve. Di questo affresco raffigurante la gloria di Sant’Ignazio la critica si è occupata a più riprese in questi ultimi quindici anni, da quando, cioè, un bozzetto dell’affresco stesso fu acquistato da Federico Hermanin per la Galleria Naz. d’Arte Antica. E fu appunto l’Hermanin (27) che cominciò a parlare "del saporito bozzetto (allora acquistato) per gli affreschi della cappella di Sant’Ignazio nella chiesa del Gesù in cui il vivace pittore mostra di aver studiate ed imitate amorosamente le grandi composizioni del Correggio". Circa quest’ultima valutazione bisogna aggiungere che nel 1912 lo stesso Hermanin, un in altro articolo, tenne poi a mettere in evidenza il dipender dall’arte del Bernini che traspare dalle figurazioni del Gaulli nella Chiesa del Gesù. La signorina Maria Perotti parlando dell’Opera di Gian Battista Gaulli in Roma (28) ha pubblicato, oltre il suddetto, anche un altro bozzetto del nostro affresco esistente in Roma presso il pittore sig. Palumbo. Infine Mario Labò (29) ha pubblicato un terzo bozzetto per la Gloria di Sant’Ignazio esistente in Genova presso il cav. Roberto Pittaluga, affermando che in ordine cronologico quest’ultimo bozzetto sarebbe il primo, seguito poi da quello della Galleria Nazionale d’Arte Antica, e infine da quello del sig. Palumbo. L’asserzione mi sembra giusta. In tutti e tre i dipinti lo schema compositivo rimane inalterato; però dal primo al terzo, e infine all’affresco, si semplifica e si nobilita la linea decorativa fondamentale della pianeta indossata dal Santo. Viceversa il gruppo degli angeli a sinistra è più bello nel bozzetto primitivo. Nonostante la ripresa degli studi del Seicento, nessuno si è ancora occupato seriamente di tracciare una monografia di quel grande decoratore che è stato Giambattista Gaulli, il quale alla maestria negli artifizi prospettici di Camillo Benso seppe accoppiare la finezza cromatica di Valerio Castello, e che, dopo di costoro, insieme con Domenico Piola, Gregorio De Ferrari, G. A. Carlone e P. G. Piola, seppe tenere alto l’onore della scuola genovese nella seconda metà del Seicento. La signorina Maria Perotti ha cercato di studiare con serietà l’opera del Gaulli nella chiesa del Gesù (30) recando un contributo notevole di valutazioni critiche. La dottoressa Perotti mette in evidenza nel suo studio, la già evidente e storicamente conosciuta dipendenza dell’arte del GauIli da quella di Bernini; e se un po’ troppo poeticamente trova che "l’impeto dei venti marini e il furore delle onde rotte dagli scogli suggeriranno al pittore... le fantastiche costruzioni... dell’abside del Gesù", non manca poi con frasi felici di notare che il Bernini insegna al Gaulli "a fare un compromesso fra la pittura e scoltura", cosicchè, nel grande affresco centrale abbiamo una specie di "altorilievo gigantesco". Pittura e plastica ornamentale si fondono, infatti, e sono pensate l’una in funzione dell’altra; ed è il Baciccia stesso - fra l’altro - che fornisce ad Antonio Raggi e a Leonardo Reti i disegni per gli angeli rilevati in istucco che fingono sorreggere il grande affresco della navata centrale. Per altro, pur non disconoscendo la molta influenza esercitata dal Bernini sul Nostro, si deve aggiungere che il Baciccia è sempre rimasto sopratutto un genovese; un decoratore genovese rampollo di veneziani; e che quindi il Baciccia è stato sempre un colorista, un cromatico. Il Gaulli dipinge con il "colore", e la composizione è vista da liti per masse cromatiche. Nelle varie figurazioni del Gesù il pittore, intorno ad un massimo chiarore centrale, compone teorie concentriche di personaggi con valore di toni, in una scala che va oscurandosi verso la periferia, formando una cornice che sempre più valorizza, attraverso mille sapienti, e audaci, e carezzanti note di colore, il massimo chiarore centrale. Vorrei chiamarla, questa del Baciccia, una pittura a protagonista. Nel grande affresco della navata, il protagonista è lo sfavillante nome di Gesù; nella cupola è la gloria della Vergine; nella tazza dell’abside è l’Agnello divino; nell’arcone al nostro altare è Sant’Ignazio. E sempre, il protagonista della figurazione è anche il protagonista cromatico della composizione. Si direbbe anche che il Gaulli, nella sua opera al Gesù, e sopratutto nel grande affresco della navata, abbia segnato un momento di quella parabola che da Mantegna a Melozzo da Forlì ha seguito il medesimo sforzo di affrancamento dai limiti segnati dalla materia, facendo uso dell’artifizio prospettico "dal sotto in su"; arte e artificio che doveva toccare poi il suo culmine nell’opera decorativa di Fratel Pozzo; di quel fratel Pozzo che a sua volta creando questo altare, unico nel suo genere, avrebbe in esso riassunta una specie di enciclopedia delle arti maggiori e minori al cadere del secolo XVII. CARLO CALASSI PALUZZI. (1) ALESSANDRO BASILE S. J.: Le due grandi cappelle della crociera nel Gesù l’anno della canonizzazione di Sant’Ignazio e S. Francesco Saverio (In La Canonizzazione dei santi Ignazio e Loiola Fondatore della Compagnia di Gesù e Francesco Saverio Apostolo dell’Oriente. Ricordo del terzo centenario, XXII marzo MCMXXII), per i tipi di "Grafia", p. 116 segg. (2) Libro delle Consuetudini delle feste che si celebrano nella chiesa del Gesù di Roma. Nota delle cappellanie dell’esequie e anniversari che si celebrano. Delle Pensioni annue de’ Musici, Festaioli, Scopatori, Organaro e Arricciatori de’ camici, Cotte. Ricordi di Testamenti. Ms. cartaceo rilegato in pergamena, datato 1666, pag. 91. (3) Il ms. fu pubblicato con dotte postille dal P. Tacchi-Venturi l’illustre storico gestita nel 1° vol. della sua Storia della Compagnia di Gesù in Italia. Albrighi e Segati, 1910 p. 604. (4) Libro Mastro segnato A nel quale sono registrati li conti, spettanti alla fabrica della Nuova Cappella ove riposa il corpo dell’istesso S. Fondatore eretta nella chiesa del Gesù di Roma e principiata l’anno MDCXCV essendo preposito Generale il M. R. P. Tyrso Gonzales. Procuratore Generale il P. Pier. Francesco Orta e Prefetto della medesima chiesa il P. Filippo Grimaldi. Al libro maestro corrisponde un Libro Giornale segnato A. I due volumi sono conservati nell’archivio della chiesa senza una precisa collocazione. (5) P. VITTORE DE BUCH S. J.: Il Gesù di Roma, notizie descrittive e storiche. Versione dal francese di un padre D. M. C. Esemplare manoscritto con dedica al preposito Generale d. c. d. G, in data, Roma, 13 giugno 1890, pag. 39. Si tratta, come dice il lungo titolo, di un manoscritto della versione italiana di un raro opuscolo del gesuita P. V. De Buch S. J. Lo studio è interessante, per quanto l’autore non citi le fonti, e cada qualche volta in errore. (6) Id. id. pag. 39. (7) LIONE PASCOLI: Le Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti moderni. Roma, De Rossi, 1736, Vol. II, p. 489. (8) Id. id. (ediz. 1733) Vol. I, p. 272. Vedi anche l’articolo citato alla nota 25. (9) Per un momento si pensò che potesse essere risparmiata. Infatti nel Diario del Sala (P. I. p. 94) leggiamo che "la statua d’argento rappresentante Sant’Ignazio... si spera possa rimanere intatta essendo mostrato che deve considerarsi tra i monumenti pubblici i quali non possono togliersi secondo gli ordini del Direttorio". Non fu che una breve speranza. (10) PASCOLI L.: op. cit., Vol. II, pag. 263. (11) LUIGI LANZI: Storia pittorica della Italia. Milano - Soc. Tip. Classici Italiani, 1824, Vol. I, pag. 572. (12) GIUSEPPE DOMENICI S. J.: La glorificazione di Sant’Ignazio di Loiola e di S. Francesco Saverio (in La canonizzazione dei Santi Ignazio di Loiola Fondatore della Compagnia di Gesù e Francesco Saverio apostoli dell’Oriente. Ricordo del Terzo Centenario - 12 marzo1922. Per i tipi di Grafia), pag. 8. (13) CARLO BRICARELLI S. J.: Alcune scolture all’altare di Sant’Ignazio nel Gesù di Roma (nel vol. cit. alla nota precedente) pp. 112-115. (14) CARLO BRICARELLI: L’altare di Sant’Ignazio nella chiesa del Gesù in Roma (In La Civiltà Cattolica. Quaderno 1739, 2 dec. 1922). P, Bricarelli ha potuto identificare molti dei personaggi (santi, beati e religiosi della Compagnia) raffigurati sull’urna. Nel centro è Sant’Ignazio: alla sua destra S. Francesco Saverio quindi il Beato Bellarmino, quindi ancora, genuflesso, S. Luigi Gonzaga. Dietro il Gonzaga il personaggio avvolto in ampio mantello con un libro fra le mani, parrebbe essere il Beato Pietro Canisio. Alla sinistra di Sant’Ignazio viene prima S. Francesco Borgia che reca un ostensorio; inginocchiato ai suoi piedi è il giovinetto Santo Stanislao Kostka. Il religioso che mostra ad un compagno l’immagine della Vergine è il Beato Ignazio de Azevedo. In secondo piano, i tre martiri giapponesi della Compagnia: Paolo Miki, Giov. de Goto, e Giac. Kisai. (15) Busta I, doc. n. 183. Il passo citato è sotto il cap. "Memorie intorno all’urna del Santo Padre Ignazio nella settima ed ottava traslazione". (16) Arch. Busta I. (17) Lettere e memorie autografe ed inedite di Artisti tratte dai manoscritti della Corsiniana, pubblicate ed annotate da Francesco Cerroti, Roma, 1860, p. 60 in nota. (18) PASCOLI: op. cit. Vol. I, p. 247. (19) C. C. RATTI: Le Vite dei pittori, scultori ed architetti genovesi, in continuazione dell’opera di R. Soprani, Venezia, 1678, p. 237. (20) BERTOLOTTI: Artisti subalpini in Roma, II ediz. 1884, pag. 209. Così Bernardino Cametti (Gattinara in Piemonte, 1682, Roma, 1736) come il Rossi si ebbero ciascuno 510 scudi per le loro rispettive opere. (V. Bricarelli art. cit. alla nota 14, pag. 408). (21) P. TACCHI-VENTURI S, J.: Il fratel Antonio Presutti e i suoi ricordi sopra i festeggiamenti nelle chiese e case della compagnia di Gesù per la Canonizzazione di Loiola e Francesco Saverio (nel vol. cit. alla nota 12, pag. 78). Dice il Presutti nei suoi Ricordi: "L’anno del Signore 1614 si fecero li due cori nella croce della chiesa del Jesu uno a man destra et l’altro alla sinistra"... "L’anno del Signore 1616, del mese dl luglio, furono fatte li due cori uno di incontro all’organo grande e l’altro incontro al coro che sta sopra la cappella della Madonna". (22) M. REYMOND: (in Gazette des Beaux Arts, 1911. Vol. I, pag. 371). Il PASCOLI (op. cit. Vol. Il, pag. 203) riferisce le critiche che "gli emuli d’Andrea sentendo l’applauso universale" fecero all’altare, in modo che "sciogliendo la briglia alla lingua cominciarono a dire che essendo la pianta nell’elevazione centinata restava la vista delle due colonne posteriori dalle due anteriori impedita: Che l’affollata moltitudine degli ornati rendeva poca confusione, e rimaner la faceva in isproporzionata distanza togliendo loro quella suprema stima, che in tutte le cose belle nasce dalla rarità e dalla disposizione". Il MILIZIA nelle sue acide Memorie degli Architetti, dice che quand’anche la "ricchezza dell’altare fosse quadrupla. non giungerebbe ad eguagliare la sua architettonica stranezza". E la sfilata delle citazioni in un senso o nell’altro potrebbe continuare. (23) Il conto si trova nel Libro Maestro segnato A, pag. 51. A proposito del primo rilievo che rappresenta Un incendio spento per intercessione di Sant’Ignazio leggiamo nel Libro citato: "a dì 17 marzo 1696 sc. 100 a Monsù Fremein (sic) (leggi Renato Fremin, discepolo di Girardon) per due modelli, uno del Miracolo del fuoco, l’altro dell’Oglio della lampada... e di 27 xbre. sc. 105 al suddetto (Sig. Ferreri) per doratura di quello del fuoco... a dì 30 marzo 1697, sc. 170 a Monsù Natale per un bassorilievo fatto da suo genero... (a proposito di quest’ultimo leggiamo altrove: al sig. Giuseppe Piserone argentiere genero di Monsù Natale" il 6 gennaio 1697, sc. 16.20 per regalo sopra la pittura dello scalino). Per il 2° rilievo raffigurante Un ossesso liberato da Sant’Ignazio, leggiamo nel Libro Maestro: "1696, a dì 14 febraro, sc. 50 al sig. Angelo Rossi per un modello che rappresenta Sant’Ignazio che scaccia li demoni... A dì 10 9bre, ac. 70 al sig. Gaap per quello dello spiritato... A dì 20 d.to, sc. 100 al sig. Ferreri p. doratura del suddetto spiritato... "- (A proposito di questo bassorilievo V. anche Pascoli—V. I, p. 274; e Ratti, Vite pag. 236. Il Ratti dice che oltre Adolfo Gaap anche G. Federico Ludovisi si occupò della fusione). Del 3° rilievo rappresentante Una religiosa inferma guarita da Sant’Ignazio, non ho potuto trovare notizie documentarie. Si sa, da quanto riferiscono le Guide, che ne fu autore Pietro Reiff. Il Bertolotti ha per altro pubblicati alcuni conti (Artistj subalpini in Roma) tratti da doc. esistenti nell’arch. di Stato nei quali vien fatto il nome del Reiff. come del resto di vari altri artefici che hanno lavorato per l’altare dl Sant’Ignazio. A proposito del 4° rilievo raffigurante Sant’Ignazio guarito da S. Pietro abbiamo: "A dì decembre 1696, sc. 550 al sig. Merlini (Lorenzo) per il bassorilievo di mezzo con la cornice". Il 5° rilievo rappresenta l’Incontro di Sant’Ignazio con S. Filippo Neri. Nel Libro Maestro leggiamo: "A dì 21 marzo 1696, sc. 35,40 al signor (Francesco) Nuvolone per un modello di S. Filippo Neri con il Santo Padre,,; a dì 20 9bre, sc. al sig. Broggi p. fattura di quello di S. Fi lippo... e di 13 xbre, sc. 105 al sig. Ferrari p. doratura di quello di S. Filippo... ". Forse Francesco Nuvolone era un discendente di quella famiglia di pittori cremonesi di cui il più noto fu Carlo Francesco detto Panfilo. Nel 6° rilievo v’è la figurazione di vari Infermi guariti con l‘unzione dell’olio di una lampada posta innanzi l‘immagine di Sant’Ignazio. Abbiamo già citato il conto che fu pagato a "Monsù Fremein" per il rilievo "dell’oglio della lampada". Ai 29 sottembre 1696 vennero invece dati a "Monsù Cordier" sc. 170 p. la fusione del medesimo rilievo. Antonio Cordier è forse un discendente di Niccolò Cordier detto il Franciosino. L’ultimo dei sette rilievi raffigura La liberazione di alcuni prigionieri operata dagli angeli per intercessione di Sant’Ignazio. È questo Il primo menzionato nel succitato "conto delli bassi rilievi di bronzo (1695 a dì 29 9bre). Dare sc. 35 al Banco di S. Spirito per un ordine a Monsù Liberazione dei Prigioni. P. Stefano Monnot, su disegno di Fr. Pozzo, modellò questo mezzo rilievo, che fu poi fuso Pietro Stefano Menò (sic) per un modello in creta della da Tommaso Germain (V. anche F. Ingersoll Smouse, art. cit. a nota (25) pag 210). (24) L. PASCOLI: op. cit. vol. 1° pag. 272. (25) FLORENCE INGERSOLL SMOUSE: Pierre Le Gros II, et les sculpteurs français à Rome vers la fin du XVII siècle (in "Gazette des Beaux Arts", 1913, vol. 2° pag. 202 e segg). (26) Libro Maestro segnato A, pag. 490. (27) F. HERMANIN: (in "Bollettino del Ministero della P. I.", 1908, pag, 86). (28) M. PEROTTI: L’opera di Gian Battista Gaulli in Roma (in "L’Arte", 1916, pag. 207 segg,). (29) M. LABÒ: (in "L’Arte", 1922, fasc. II-III, pp. 109 segg.). (30) M. PEROTTI: Art. cit. passim. |
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