FASCICOLO XII AGOSTO 1923
PAOLO MEZZANOTTE: La Prima Mostra Internazionale delle Arti decorative a Monza (III articolo)
Se, come ‘e dichiarato proposito degli organizzatori, la mostra di Monaa dovrà essere rinnovata ogni biennio, alte mando si colla Internazionale Veneziana, parecchie deficienze si dovranno pur correggere per poter presentare un quadro completo della contemporanea arte decorativa in Italia. È, per esempio, rimasta arte esclusivamente italiana quella della pittura a buon fresco: e qui lI bozzetto del Cadorin per la Chiesa di Vidor o quello del Gatti per il Santuario di Loreto sono cose per diversi aspetti notevoli: ma sono pur sempre poca cosa per un’arte che ha da noi tradizioni cost gloriose. Ci contenteremo, ben inteso, di bozzetti e fotografie. Insufficientemente rappresentate sono pure l’arte del marmo e quella del mosaico.
La mostra degli illustratori del libro avrebbe bisogno d’essere più severamente selezionata, mentre i suggestivi disegni del Martini, sacrificati in una scura saletta di passaggio, meritavano d’essere posti in mlglior luce.
Eccessivo sembra invece lo spazio riservato alla mostra futurista del Depero. Il manipolo futurista s’è assottigliato: fra gli aderenti qualcuno s’è rifatto ai classici dimenticati: c’è chi, ritornato al disegno e allo studio analitico delle forme, vi si trova, dopo il lungo oblio, a disagio. Il Depero è fra i pochi superstiti perseveranti: ma i suoi divertenti pupazzi e i suoi arazzi nei quali pure non mancano segni di genialità, danno la sensazione del già visto: torto grave, date le intenzioni programmatiche.
Quanto alla mostra dei cartellonisti, èmancato, si direbbe, qualsiasi criterio di scelta: troppa zavorra. Ridotta ad una terza parte, la mostra avrebbe retto senza svantaggio Il confronto colle collezioni dei cartellonisti inglesi e degli olandesi.

Tranquilla, signorilmente composta la sezione francese: nulla di quelle forzose singolarità, dl quelle acrobazie di cui la Francia fa larga esportazione.
Qui ci si gloria, a ragione, delle scuole di arti decorative: vediamo, con qualche trafittura al nostro orgoglio di italiani per l’inevitabile confronto, i mobili tutta elegante semplicità usciti dalla École Eoule o dalla Scuola Professionale della città di Parigi. Invece i tediosi gobelins esposti nel grande corridoio del 2.0 piano sembrano provare che anche in Francia gli istituti governativi sono spesso chiusi alle correnti di sane modernità.
Domina la nota dell’eleganza nelle sculture decorative, in gran parte già note, come nelle oreficerie del Sandoz, Degli espositori già conosciuti in Italia, il Lalique presenta un bibletos di squisita fattura di pasta di vetro: il Goupy e le due vetrerie d’arte di Nancy, la GaIlé e la Daume hanno deliziosi vetri colorati o smaltati. Muranesi attenti.

Al primato dei vetrai Muranesi sembrano attentare, m’intendo in nobile gara, anche gli Scandinavi. Nelle semplici, candide sale Svedesi vediamo i vetri affumicati della Orrcfors Bruck: questa grande fabbrica non produceva una volta che vetn industriali, ma nel 1914 volle far di meglio e domandò ad artisti norvegesi (leggete, industriali d’Italia) disegni per vetri d’arte. Ed ecco i bei vetri di Simon Gate ed Edward Hald, che a Monza nonostante l’alto cambio della valuta svedese e le difficoltà dei trasporti e delle dogane hanno un larghissimo successo dl vendita. Arieggiano le forme degli, antichi vetri di Murano, pur essendo al confronto, in ragione della diversa tecnica, più pesanti e di aspetto un poco più rigido.
Così la Kristallglasbrulc di Stoccolma, antica fabbrica dedita ad una produzione puramente mercàùtile, da poco tempo e in occasione della attuale esposizione di GÒteborg ha ottenuto consigli e disegni pci suoi cristalli d’arte, incisi a rotella col sistema da secoli praticato a Murano: e qui ne espone gustose primizie.
Fra Italia e Svezia nell’arte affascinante della fragile materia tutta luce e riflessi, e gentile traitd’union la svedese signora Anna Akerdale, moglie al veneto Guido Balsamo Stella, autrice essa pure col marito di vetri incisi a Mutano e Commissaria della Svezia a Monza.
Prima di lasciare la Svezia osserviamo le belle ceramithe, e frà queste il Servizio fatto per le cucine popolari della Rurstrands di Stoccolma. Desiderosa di porre fra le mani degli operai stoviglie di buon gusto, la fabbrica indisse per il disegno di queste un concorso, vinto dal già citato Edward HaId.

Alla degnissima Sezione Belga ha nociuto, per l’effetto d’insieme, l’organizzazione frettolosa e la disposizione un po caotica. Slcchè la sua giovane scuola di arti decorative non mi pare messa in luce come meritava. Osservato il grande arazzo del Dubois, sacrificato in una sala troppo piccola, mentre le colossali vetrate del Colpaert collocate, in difetto di spazio sufficente, neI giardino antistante alla Villa, in piena luce, non possono venire convenientemente apprezzate in una collocazione così inadatta.

Ristretta in due salette modeste, la mostra Polacca è delle straniere fra le notevoli e caratteristiche. Uscita da una guerra settennale tutta svoltasi sul proprio territorio, stretta ancora da difficoltà economiche gravissime, la Polonia già per la seconda volta risponde coraggiosamente all’appello della nazione amica; alla recente fiera internazionale del libro a Firenze la sua partecipazione ha segnato un inaspettato successo, del quale Mario Tinti ha dato diffusa notizia In queste stesse pagine. La rinascita delle arti decorative, come è ormai noto al lettore, è stato il degno prologo del risorgere a unità politica della Polonia; era la migliore affermazione dell’unità etnica nazionale e la sola che potesse sottrarsi agli occhiuti rigori dei governi oppressori. L’omogeneità delia stirpe trova conferma nella unità di ispirazione, palese in tutti i rami qui rappresentati dell’arte polacca: i kilimi, tappeti otessuti a modo d’arazzo, densi di colore con lumeggiature color d’avorio, I makaty, tessuti di seta argento e oro, come le sete stampate, le ceramiche, i ricami, i giocattoli svolgono temi di arte rustica nazionale; sorgente questa a cui vuole largamente attingere rarte in un paese, nel quale gli stili aulici, sono tutti d’importazione, e quand’anche assimilati e trasformati non arrivano ad espressione schiettamente nazionale.

Anche la Cecoslovacchia ricerca nell’arte rustica le basi di una rinascita nazionale: ma il movimento per la riforma dell’artigianato artistico è recente, risalendo solo al 1908, quando aveva significato di affermazione nazionale contro Il regime dualista. Così l’arte decorativa cecoslovacca qui si sorprende ancora in formazione: e accanto ai motivi popolareschi locali è facile osservare evidenti derivazioni di forme più o meno avanzate delle maggiori nazioni. Insieme a pregevoli esemplari dell’industria decorativa attuale, ceramiche, merletti, indumenti, ricami, sono portati ad attestare l’esistenza di un’ingenua arte paesana. L’antica e gloriosa industria vetraria di Boemia e rappresentata da molti pezzi nella maggior parte dei quali è più da apprezzare la perfezione della fattura che il valore d’arte.
Alla viva fonte dell’arte popolaresca si abbevera pure largamente l’arte Rumena. La campagna di Romania pullula di ingenue creazioni uscite dalla schietta anima del contadino: dalle case di legno ingegnosamente intagliate e colorite, agli arredi domestici, ai costumi, gelosamente conservati delle contadine come delle signore dei Boja. Sono nelle diverse manifestazioni di quest ‘arte tradizionale, evidenti riflessi di Bisanzio e deI più lontano Oriente. Ma le geometrizzazioni, le stilizzazioni caratteristiche dell’arte orientale non riescono a nascondere del tutto il fondo latino dell’anima rumena. Si confrontino i tappeti del Banato o quelli della Bessarabia coi kilimi della vicina sezione Polacca: nelle tonalità meno appariscenti, meno vivaci, basate sopra un’aristocratica gamma di colori smorzati, predomina il bruno grigiastro, il giallo fumoso, il rossogranato: c e una parte della nostra sensibilità, c’è la testimonianza di un’ indole affine, che ancora congiunge la nazione rumena, sommersa a più riprese dalle ondate barbariche, accerchiata da nazioni ostili, alla antica madre.

Nel 1902 a Torino, poi a Venezia, poi a Milano nel 1906 1’ arte ungherese ha conquistato il pubblico italiano e invogliato troppi artisti nostri alla imitazione; che èsempre un male, specie quando si vuole attingere all’estero ciò che non ha ragioni di consenso nell’indole nazionale.
Le fastose sculture decorative di Geza Maroti, le fantasiose architetture dello limbor, i mosaici del Roth, gli smalti deI Rappaport hanno lasciato così duraturo ricordo, che poco possono aggiungere oggi le sale attuali della nazione magiara, benchè ricche e magistralmente disposte. Le quali tuttavia attestano la ferma volontà di rinascita della vinta Ungheria, il proposito di riconquistare i mercati perduti e forse l’intenzione di riguadagnare le simpatie di una nazione che le fu amica nelle vicende politiche e vicina nel campo culturale.
Nata la moderna arte decorativa ungherese da una superba volontà nazionale, eretta a contrastare le velleità dominatrici dell’arte tedesca, essa appare bensì fortemente legata alle tradizioni locali, ma sensibile a tutte le correnti innovatrici deI pensiero artistico moderno: nè sdegna attingere alle fonti classiche quanto le sembri più affine al temperamento della stirpe. Così nelle ceramiche iridate dello Zsolnay o dello Ialc6 riappaiono, esaltate all’esasperazione, le intense colorazioni e le patine dai vividi riflessi metallici delle ceramiche dl Gubbio.
Nonostante questi molteplici apporti, l’assimilazione dei diversi elementi è così compiuta, che la sezione dà, al pari o meglio d’ogni altra, l’impressione di una perfetta omogeneità. Dove il segreto di questa unica potente volontà che sembra dominare e guidare tutto il movimento artistico ungherese?
La risposta è contenuta nelle sale, dove sono esposti con scelta parsimoniosa, ma informata a criteri di sincerità, i saggi delle due scuole, alle quali si deve neI campo della decorazione l’educazione artistica degli ungheresi: e sono la Scuola comunale di disegno industriale di Budapest e la Scuola Reale ungherese di Budapest. Si veda nei disegni degli allievi con quale rigore di metodo e nello stesso tempo con quale agile genialità l’allievo dalla analisi del vero è condotto alla sintesi delle forme e alla pratica applicazione di queste agli oggetti d’arte. Nessuna pedanteria, nè d’altra parte quella Ionganimità, quella eccessiva libertà confinante coll’anarchia, propria di alcune delle nostre scuole, che deriva il più delle volte da incertezza di indirizzo e da mancanza di convinzioni nell’insegnamento.
Delle loro scuole si gloriano in questa esposizione gli stranieri tutti, dalla Ungheria alla Svezia; noi che abbiamo insegnato l’arte moderna al mondo, possiamo ben convenire di avere in questo campo molto da imparare dai nostri allievi d’un tempo.
Oggi, alla Monzese, la città di Milano espone I saggi della Scuola cosidetta Superiore d’Arte al Castello Sforzesco. Se si voleva dimostrare la necessità di una riforma coraggiosa della scuola, lo scopo può dirsi pienamente raggiunto: ma queste dimostrazioni si dovrebbero fare in famiglia, senza esporci ai commenti e alle deduzioni degli stranieri.
I quali del resto avrebbero torto di generalizzare: vi sono in questa come in tutte le nostre povere scuole d’arte, anche nei troppo calunniati istituti governativi, dei buoni e degli ottimi elementi superstiti, Manca per le nostre scuole nelle sfere dirigenti quel vigile amore che solo può metterli in valore e porre a buon frutto le forze palesi e riposte del più degno artigianato deI mondo.

PAOLO MEZZANOTTE.

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