FASCICOLO XII AGOSTO 1923
G. B. GIOVENALE: La casa detta di Martino V in Genazzano
Oddone Colonna che, creato papa in Costanza (a.1417) coi voti unanimi degli elettori e col plauso di tutta la cristianità, assunse il nome di Martino V, occupa un grande posto nella storia di Roma e del Papato. In Genazzano poi, antico feudo de’ Colonnesi, ove le tradizioni di famiglia lo dicono nato (1) e che egli, papa, beneficò in mille modi, il ricordo di lui è ancora così vivo che avviene di udirne ripetere il nome ad ogni svolto di via. Egli infatti ne ampliò l’abitato, creò nuove strade e migliorò le altre; riedificò la vecchia chiesa di S. Nicola, e, demolito l’antico castello, edificò il palazzo baronale (2).
L’opera del pontefice fu secondata dai privati; la città infatti rifiorì, ed i numerosi avanzi di vecchie case che presentano ancora porte, finestre, cornici ed altri particolari architettonici di sapore gotico, ce ne fanno testimonianza (3).
Nessuna meraviglia pertanto che alla casa più completa e suggestiva del gruppo, (fig. 1) (acquistata recentemente e restaurata dal card. Vincenzo Vannutelli) sia stato applicato il nome di Martino V, e che nella colonna incastrata in uno spigolo di essa siasi voluta riconoscere la figura araldica dei Colonnesi. Ma diciamolo subito: nessun documento di archivio giustifica l’attribuzione, nè il monumento presenta epigrafi, stemmi od elementi decorativi che la suffraghino; anzi gli stemmi a croce ancorata, che fiancheggiano il portale, la escludono assolutamente. Può essere che stemmi e case abbiano appartenuto ad uno del cortigiani di Martino V, fra i quali non mancavano ragguardevoli Genazzanesi (4), In quanto alla colonna, non può davvero considerarsi come elemento di stemma. Essa deve avere, in un tardo robustamento, sostituito la sottile e fragile colonnina che spesso vediamo orlare lo spigolo dei monumenti gotici.
Nè giova invocare l’analogia stilistica col palazzo napoletano comunemente detto di Fabrizio Colonna; perchè trattasi anche là di una errata attribuzione. Quel palazzo, costruito ai tempi di Re Ladislao, porta Io stemma parlante dei Pappacoda negli scudi del portale: mentre la targa blasonata di Fabricius Columna fu incassata nell’intonaco della parete, al disopra del portale; e ciò sugli inizi del secolo XVI (5).
Nè per omaggio alla tradizione può accettarsi altra ipotesi che vorrebbe Oddone nato in quella casa; non si vede Infatti perchè la famiglia avrebbe abitato fuori del castello feudale; e del resto, per ragioni stilistiche, l’edificio deve ritenersi contemporaneo o posteriore al pontificato di Martino V, non certamente anteriore alla rinascita della città cui sopra accennammo. Ma basti di ciò; esaminiamo il monumento.

Lo troveremo lungo la via maggiore (Corso Cardinale Vannutelli) che, lasciata a sinistra la chiesa di S. Paolo, dal campanile del sec. XII, ed a destra il Santuario di Santa Maria del Buon Consiglio (6), divide in due l’abitato. Essa sorge precisamente là ove incomincia l’ardua rampa del castello baronale, e dove un minor viottolo se ne distacca, per discendere rapidamente verso la valle.
Il suo prospetto orientale si svolge per metri 16,00 sul Corso, il fianco settentrionale per m. 8,40 sul diverticolo discendente, mentre agli altri due lati aderiscono altre proprietà che ne nascondono completamente il lato meridionale ed in parte l’occidentale.
Assai semplice e rudimentale ci apparirà la distribuzione interna dei tre piani che compongono la casa, se immagineremo soppressi i moderni tramezzi (7).
Nel piano terreno (fig. 3), alto m. 3,90, dovette a destra dell’androne esservi la cucina, da cui, per una scaletta esterna, si scendeva nel sottoposto celliere (fig. 2). La stanza a sinistra potè servire da tinello pei famigliari (8); se pure, relegati questi in cucina, non sia stato quell’ambiente destinato, secondo l’uso comune nei centri rurali, all’amministrazione dell’azienda, nel fondo dell’androne ha origine la scala che, con una sola rampa, conduce al primo piano.
Compongono questo piano (fig. 4) che è alto m. 5,20: il salone o caminata, lungo m. 9,50, largo m. 5,75, ed un secondo ambiente, forse stanza da letto del proprietario. Il salone, nel quale dobbiamo riconoscere il tinello nobile, era di passaggio. La pianta del secondo piano (fig. 5), alto soltanto m, 2,90, destinato ai famigliari, è in tutto simile a quella del primo; ma probabilmente l’ambiente maggiore dovette esser suddiviso mediante tramezzi, come al presente. Una loggetta coperta è ricavata sopra il primo tratto della scala, e dà accesso all’unico necessario della casa.
Fotografie e disegni ci dispensano dal descrivere i prospetti, e dobbiamo soltanto richiamare l’attenzione sul graffito, di cui restano pochissime tracce nella parte d’intonaco che la gronda del tetto ha difeso dalle intemperie (figg. 6 e 11). È facile riconoscere come sulla fronte orientale (fig. 6) quattro vani, recentemente aperti, abbiano sostituito tre finestre antiche; come sulla fronte settentrionale (fig. 7) siano state rimaneggiate le due finestrine della scala, tolto il davanzale alla finestra archiacuta del secondo piano, modificate porte e finestre della cucina e del celliere, onde acconciarsi alla mutata altimetria della strada. Maggiormente mano messa apparisce la fronte occidentale (fig. 8) ove il vano della graziosa loggetta, di cui si riconoscono ancora le spalle, è stato murato, ed ove è stato demolito il ballatoio pensile coi suoi becchetelli.
Nell’interno (figg. .9 e 10) notiamo poche particolarità architettoniche. E ancora in essere la volta a sesto scemo dell’androne, impostata su cornice di pietra. Scarsissimi avanzi mostrano: che nelle due stanze laterali i solai rustici erano nascosti da soffitti di mezzanella, poggiati sopra cornice di legno dentellata; che nel salone del primo piano il solaio, a travicelli falsetti e bussole, poggiava su cinque travi normali al prospetto, sostenuti da mensole di sagoma quattrocentesca; che simile ma più semplice era il soffitto della seconda stanza; che nel piano superiore i soffitti, non praticabili aderenti alle incavallature, erano simili a quelli del piano terreno, ma senza cornice d’imposta. Nulla rimane dei pavimenti antichi, probabilmente majolicati (9); e neppure degli infissi. I vani di porta hanno tutti incorniciatura di pietra. Simili al portale d’ingresso, ma più semplici, sono: quella della seconda stanza del piano nobile e quella delle stanze a terreno. Impostate su mezze colonne sono: quella in fondo all’androne e quella che dà accesso alla seconda rampa di scale. Ad intradosso polilobato è quella d’ingresso al primo piano.
Conservano la forma originale i mantelli piramidali dei due camini, e sono antichi i colonnini del maggiore; mentre le mensole appartengono in ambedue a tardi restauri. Gli archi interni delle finestre sono intradossati a sesto scemo. Oltre piccole nicchie quadre, o credenze a muro, destinate a posarvi lucerne, caraffe, boccali od altro; vediamo, nella parete del salone opposto alle finestre, un grande rincasso rettangolare assai più lungo che alto e di poca profondità che fu già chiuso da sportelli e potè servire a custodire minuti oggetti o piuttosto una di quelle leone sacre che spesso trovansi nei palazzi quattrocenteschi.
Come vedesi: l’interno, se ne eccettui le intelaiature delle porte, nulla contiene di singolare che valga a differenziare questa da altre simili piccole case del Primo Rinascimento, e che possa giovarci a determinarne l’epoca, l’autore, il proprietario.
All’esterno invece troviamo alcune delle forme singolari di quella varietà del Gotico che nella prima metà del secolo XV ha fiorito nel mezzogiorno d’Italia e che si è voluto chiamare aragonese.

Non è qui il caso di indagare a fondo se questo stile ci sia giunto bello e formato dalla Spagna o se piuttosto non rappresenti la utilizzazione di elementi spagnuoli elaborati in Italia durante la dominazione degli Aragonesi che, incominciata in Sicilia nel 1282, estesasi al Napoletano nel 1392, allo Stato Papale nel 1408, durò fino al 1423.
Limitiamoci, per non divagare, a confrontarne i rapporti con la casa che abbiamo sott’occhio, senza indugiarci innanzi ad altre geniali manifestazioni di questo stile che non trovano riscontro in Genazzano quali i cornicioni di coronamento dai becchetelli ad ogiva trilobata, le finestre bipartite in altezza siano a piattabanda, siano a sesto tondo, e talvolta arricchite in alto dai trafori del gotico fiammeggiante, gli archi inflessi (en accolade), gli archi policentrici schiacciantissimi, ecc.
Non sapremo indicare nella penisola iberica monumento che possa nel suo complesso dirsi prototipo del nostro; vi troviamo bensì, sparsi qua e là temi architettonici e decorativi di altissimo valore che alla formazione dello stile devono aver contribuito. Esaminiamoli fugacemente.
Nella Spagna le finestre ogivali, derivate dal Gotico francese, sono assimilabili alle nostre, ma ne differiscono alquanto pel sesto dell’ogiva, là prevalentemente più acuto che da noi: ed eziandio per gli archetti e trafori interni, che, tondeggianti da noi, lì risultano più spesso ogivali. Nelle mostre delle finestre spagnuole poi, come nelle francesi, accade di riscontrare raramente il fregio ornamentale che in Genazzano sale su per gli stipiti fino al sommo della ogiva (fig.21); motivo che l’arte arabo-sicula aveva già accettato dall’arte romanica (11) li fogliame poi ditali fregi rivela la sua filiazione, merce la tendenza ad imitare, sia pur goffamente, la mollezza dell’acanto classico, anzichè le asprezze della flora nordica. E simile tendenza all’arrotondare le forme, ed a smussare l’acutezza degli spigoli, conservano gli intagliatori del Mezzogiorno, anche quando eseguiscono ornamentazioni geometriche di gotico disegno.
È frequente nella Spagna, fin dall’epoca visigota l‘arco scemo o a sesto ribassato (12) che poi nel Rinascimento degenera in arco ellittico o policentrico schiacciatissimo. Tal volta ne vediamo la mostra spezzarsi in prossimità della imposta per scendere alquanto nel piediritto (13); così come fa appunto nella arcata in fondo all’androne di Genazzano (fig. 9).
È motivo prediletto dell’architettura Spagnuola l’ampliare esageratamente la fronte degli archivolti e delle piattabande sino a raggiungere i tre quarti della luce; ed apparecchiare con grande accuratezza i cunei, accentuandone i giunti (14). Questo motivo vediamo applicato con latina discrezione nel portale di Genazzano (fig. 19).
Ma ciò che può dirsi caratteristica veramente singolare dello stile mudejar si è il felice accoppiamento di due temi derivati dall’arte arabo-moresca, e cioè a) l’accordo dello schema rettangolare con lo schema arcuato (15), che ritrova le sue prime origini nell’arte sassanide (16); b) il concentramento d’ogni ricchezza decorativa attorno alle arcuazioni al disopra della linea di imposta, e conseguente voluta nudità dei piedritti (fig. 25). Per questo secondo tema vediamo arricchirsi: di minuti trafori gli archetti interni; di fogliami intagliati, i triangoli mistilinei; di largo fregio a volute ornamentali l’inquadratura esterna (17). Al disotto della linea d’imposta più nulla; se non se, in rari casi, listelli o sottilissimi colonnini di orlatura (18). Questi temi ritornano con elegante sobrietà di linee, ma senza fregi ornamentali, nel nostro portale; ove, nei triangoli mistilinei appariscono anche quelli stemmi che quasi sempre fiancheggiano i portali spagnuoli (19).
Nella nostra casa non vediamo i listelli di pietra che frequentemente in Spagna inquadrano a distanza i vani di porte e finestre, e che disegnano sulle pareti schemi rettangolari, quasi ad interromperne la monotonia (20).
Ma la singolarità più rimarchevole dello stile detto aragonese nell’Italia meridionale, della quale il portale di Genazzano (fig. 19) ci offre elegante esempio, si è lo arrestarsi della mostra a metà circa del montante. Non è facile assegnare il perchè o la derivazione di questo illogico motivo architettonico; purtuttavia se, con un poco di buona volontà, si voglia considerare il vano a sesto ribassato del nostro portale come deformazione di un arco a tutto sesto, impostato là dove accade lo stroncamento; può forse riconoscervisi l’applicazione indiretta di un tema spagnuolo sopraindicato; quello cioè della nudità del piedritto.
Non altrettanto può dirsi per quel ripiegamento della mostra, che viene poi carosata sullo spigolo del vano, come se di questo fosse stato demolito il davanzale. Di tale ripiegamento può forse ricercarsi il lontano prototipo nei monumenti dell’arte araba e specialmente nelle tombe del Cairo, erette dai Califfi Bahariti e Borditi, successori e continuatori dei Fatimiti che fin dal secolo X aveano invaso la Sicilia (21).
In ogni modo è importante constatare come di un tema così potentemente accentuato nell’Italia meridionale, non esistano o per lo meno non siano stati segnalati saggi nella Spagna.
Per giungere a conclusioni definitive occorrerebbero esaurienti indagini locali, specialmente nelle regioni meno frequentate, e per ciò meno note, della Spagna; ma frattanto sembra difficile attribuirle la creazione integrale dello stile che chiamiamo aragonese; e può piuttosto, con provvisoria ipotesi, ritenersi che elementi orientali, alcuni dei quali importati direttamente e da gran tempo accettati nell’arte arabo-sicula, altri elaborati nella penisola iberica durante il periodo mudejar abbiano, sotto la duplice influenza gotica e latina (22), concorso a formare quel magnifico stile di cui vediamo in Genazzano uno dei più sobri e squisiti prodotti.

Anche per pronunciarsi sui gradi di parentela e sulla anzianità dei diversi esempi italiani, occorrerebbe uno studio comparativo dei monumenti e delle memorie storiche che possono riguardarli. Malauguratamente il terreno anche da noi è stato fino ad ora ben poco esplorato; dobbiamo pertanto limitarci anche qui a pochi occasionali confronti. I portali hanno comune con quello di Genazzano lo schema generale; ma presentano qua e là parziali varianti. Così ritroviamo in Napoli (23) ed in Palermo (fig. 18) (24) quel triangoletto cuspidale, prodotto dall’incrocio dello schema quadrato con quello ottagonale, che comunemente manca altrove, come nel castello baronale di Fondi, nella casa Tabassi di Sulmona (fig. 22), ecc. In altri monumenti sono scarsi gli esempi (25) del dentello romanico che intaglia più modanature in Genazzano. Nei portali napolitani (26) e palermitani la mostra è arricchita di fregio a volute, mentre è solamente scorniciata nella maggior parte dei portali in Genazzano, Fondi (fig.16), Sulmona, Sessa Aurunca, Capua, Carinola, ecc, Simile fregio sale invece per la ogiva delle finestre in Genazzano, Sulmona (27), Palermo (28), ecc.
Il tema della nudità del piedritto è universalmente rispettato anche in monumenti più goticizzanti come ad esempio nel portale del palazzo Corvaja in Taormina (figura 17), e nelle finestre del palazzo baronale di Fondi (fig. 13).
Da ultimo: elementi genazzanesi possiamo segnalare anche nel palazzo Vitelleschi in Corneto Tarquinia e cioè: alcune mostre di porta a sesto scemo nell’interno, quella esterna sul Piazzaletto Soderini (29) e quella del vano in fondo all’androne (30) che, spezzata presso l’imposta si ripiega alquanto sul piedritto; ma in questa il caratteristico dentello, è sostituito da punte di diamante; motivo tanto diffuso nel Viterbese. La sagoma esterna delle trifore risulta qui meno elegante e slanciata che non nelle bifore grandi di Genazzano ove poi il sesto delle bifore minori è rotondo mentre è ogivale nel palazzo Vitelleschi; i fregi in fine che ne arricchiscono le mostre con volute rigonfie e fioroni schiacciati entro schema quadrato, ricordano la vicina Toscana (31), La ricordano anche i becchetelli della cornice di coronamento ad ogiva trilobata (32); ma questo è motivo troppo comune alle diverse manifestazioni del Gotico per stabilire affinità; mentre invece se esaminiamo il cornicione nel suo insieme ed il bugnato della facciata, a piccoli e ben accentuati elementi, troviamo parentela stretta tra questo palazzo e quello di Penna in Napoli (33) (figg. 12 e 15).
Sembra adunque che si possa sino a prova contraria, considerare Corneto Tarquinia come limite settentrionale della decantata influenza aragonese nell’architettura italiana.

Chi ha avuto la pazienza di leggere queste poche righe avrà facilmente compreso che queste hanno un solo scopo: acuire la curiosità dei cultori di architettura ed incitarli a studiare a fondo un argomento qui appena delibato.

GIOV. BATTISTA GIOVENALE.


(1) GREGOROVIUS: Storia delta città di Roma nel Medio Evo. Ediz. Romagna V. III, pag. 691, n. 12.
(2) cfr. M0RONI: Dizionario di erudizione storico ecclesiastica. Vol. XXIII, pag. 219, e. 2; ivi notizie dedotte da A. NIBBY: Analisi dei dintorni di Roma; O. SENNI: Memorie di Genazzano, ecc.; A. PETRINI: Memorie storiche di Palestrina, ecc.; L. CECCONI: Storia di Palestrina.
(3) FLAVIO BIONDO, segretario di Nicolò V, nella sua “Italia illustrata “ che scrisse circa il 1451 a richiesta di Alfonso d’Aragona Re di Napoli, ricorda che: Zinazsa ram par’uae cThitatnlae comparandum aedium ornato; opum aifluentla, popoli frequentia a Martino V per aestatls caumata saepios inhabitatum..,. (Reg. 111: Il GOBELLINO, ossia Pio II ne’ suoi Commentati (Lik VI) ci attesta avere udito da giovane grandi elogi delle fabbriche di Genazzano. È notevole fra queste la casa in via Giovanni Bracaloni” ove nacque più tardi l’eponimo eroe di Barletta.
(4) SENNI: op. cii., pag. 335.
(5) Cf e. A. AVENA: Monumenti dell’italia Meridionale. Poiig. Rom. 1911, pag. 248 e segg.
(6) Cfr. MORONt: op. cit., pag. 221, c. 2.
(7) Nelle planimetrie la punteggiatura indica le demolizioni occorrenti per ricondurre l’edificio alle sue forme originali; il tratteggio incrociato indica le ricostruzioni. (Rilievi, fotografie e disegni furono eseguiti dall’A, nel l9iOV
(8) Sul tinelli quattrocenteschi conI r. O. GNOLI in fave Roma “ pag. i46 e aegg.
(9)Un esempio locale poco più tardo lo offrono i majoiicati esistenti nei pronao della chiesetta di S. Pio edlfièata da Pio 11, sulla via che conduce a S. Vlto. distante un chilometro circa da Genazzano.
(io) LA BOROE GENNARO PEREZ Dn VILLA AMJL: Espana artistica y mono,nental. Paris i842. Voyage pictoresqoe ef luistoriqoe de I’Espagne. Monutnentos arquitectonicos de Espana publicados pie R. Ordtn y pur disposition del Ministerio de Fomento. Madrid: A. E. MAYER Architektnre ond Kunstge’lverbe in ..4(t—spanien. Monaco 1920 ALBERI F. CALvERr: Catalonia the Ba[earie isis historiat and descriptive. New—York 1910: MARCEL DrnisLAFOY: L’atte in Spagna e Portogallo. Bergamo 1913: S. REINACH e C. RICCI: Apollo. Bergamo 1911.
(Il) Finestre della Cattedrale normanni di Bivooa con £regi in tre zone dell’archivoito: Cfr. H. W. SCHULtz: (Denkmuiter dcc Kunst in Saditalien).
12) Ess.: Patio nella casa detta "de las concha" (Salamanca); casa del comtmnero Lsan Bravo (Salzmanca); cortile dell’Atsdiencia (Barcellona), ecc.
(13) Bss.: Chiostro nel monastero di” Benevivere” (secolo X[[I—XIV) presso Canon de los Condrs.
(14) Bss.: Arcata moresca dell’ Aljafenla (Saragozza); Casa detta de “los picos” (Segovia): Casa di Maria I. Brava (Servi.); Ospedale della Latina (Madrid); Piazza de lòs momos (Zasnora); Casa del conde de Mayorargo (Cìceres) ecc.
(IS) Bss.: Chiesa di 5. Tirso, (visigota) in Oviedo; Porta del vino (Granata).
(16) Cli. PEnOT E 1HW1HZ: Histoire de t’ad. V. pp. 573 e segg.; M, DIEULAFOY: op. dl. p. 3 e segg.
(17) Bss. Capella di Santiago in Santa Maria (Alcali des Llenares) e finestra del palio nel palazzo d’Ajala (Toledo).
(18) A questo tana corrisponde anche I. decorazione delle pareti nei monumenti arabo moreschi ed araboaicull, ricche di rilievi colorati e dorati al diaopra della linea d’imposta, nudi al disotto o rivestiti dl mattonelle majolicate o dl lastre marmoree. Bss.: Alcazar di Siviglia. Duomo di Monreale.
(19) Bss.: Porta del perdono della cattedrale (Siviglia): Ospedale della Latina (Madrid); Corte della cattedrale (Cordova).
(20) Bss.: Casa dl luan Bràvo e di Maria la Brava (Segovia); Lonja de la Sede (Valenza).
(21) Per le tombe dei Bahariti (12501380) e Borditi (13821515) eh. GÀVET: Ari Arabe, Paris Maison Quantìn 1393 figg. 42, 47. 48, 94. 95, 96. Nella porta d’ingresso della tomba dl Kalbai (1464) figg. 94. 96, il ripiegamento della mostra appariace logico. perchè accompagna la sporgenza dei banconi in pietra che fiancheggiano le pareti del vestibolo.
(22) Cli. GUSTAVO GIOVANN0NI: Un quesito architettonico nel chiostro di Monreale in “.Archit, ed ArI, decorat.”. Anno I, fase. 30,
(23) Palazzo Caracclolo; AVENA: op. cii., fig. 164.
(24) Portale del palazzo Arcivescovile (deformato per allargarne Il vano ed abbassare la soglia).
(25) Portale nella via 5. Giovanni In Corte (Napoli): AVENA: op. dl., fig. 363.
(24) Portale in via del Duomo; AVENA: op. cd. flg. 162.
(27) Finestra della casa Tabassi.
(28) Finestra della Cattedrale.
(29) Cb. GIACOnO MISURACA: Palazzo Viietteschi in Corneto rn@dfliL Roma, Tip. Centenanl. 1396: Tavola Eh flg. 7.
30) Cb. GIUSEPPE CULTRERA Il palazzo Vitetteschi in Corneio Tarquinia “Ausotia”, voI. X, 1921, p.860 segg.
(31) MISURACA: op. cli., Tav. E; fig. 3, Tav. W~ fig. IO.
(32) lvi: Tav. I, ligg. I, 3, 12.
(33) AVENA: op. di., fig. 146.

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