FASCICOLO X - GIUGNO 1923
Notiziario
ESPOSIZIONI.

UNA MOSTRA DI FERRI BATTUTI

Si è chiusa poco tempo addietro una interessante esposizione di ferri battuti nella operosa Città di Castello e noi possiamo soltanto ora mostrare alcuni degli oggetti che vi figurarono, aggiungendovene altri tratti da varie parti della città per dimostrare quanto possa la forza della tradizione negli antichi e nei moderni artefici d’uno stesso luogo. Dobbiamo le fotografie alla squisita cortesia del prof. co. Magherini Graziani. Mescoliamo antiche e moderne opere poichè non e nostro proposito giovare ad una conoscenza retrospettiva, sibbene porre dinanzi agli occhi degli artisti. alcuni esemplari in cui appaia come siano valorizzate tutte le possibilità che la natura del ferro concede.
Ricordiamo che questa mostra è stata messa insieme dalla Scuola operaia G. O. Bufalini che, nei tredici anni del suo funzionamento, molto contribuì all’elevamento professionale dei lavoratori. Con l’esposizione del ferro battuto e di altri oggetti d’arte minore essa volle dare si pubblico, e agli operai in ispecie, la sensazione precisa della perfezione cui i vecchi erano giunti e fissare, per così dire, un punto di partenza per l’auspicato risveglio dell’arte del ferro battuto nell’alta valle Tiberina, si da riformare e maestranze o gli artefici singoli che in Città di Castello crearono le robuste e vibranti campanelle del palazzo comunale, le roste e i battenti dei palazzi principeschi, le cancellate di chiese e ville, i tripodi per sorreggere i fiammeggianti bracieri. I lavori moderni esposti (e ci spiace che la ristrettezza dello spazio non permetta di mostrarne di più o di descriverli) hanno provato che i giovani e i giovanissimi hanno le attitudini tecniche necessarie per il rifornimento di quest’arte che, come ha ben detto in un suo articolo il Pierangeli, dà all’operaio la gioia di creare, il piacere profondo di imprimere alla materia rude una forma personale, la soddisfazione intima di trasfondere per la eternità nelle cose uno spirito vitale.
Ma per carità, non s’insista in quell’odioso, calligrafico, stile liberty di cui abbiamo veduto in questa mostra troppi esemplari. Quello stile, non solo ha fatto il suo tempo, ma è ben morto e non vediamo che ad altro possa servire se non a caratterizzare quel materiale spurio, sordo, grettamente industriale qual’è la ghisa. Il ferro invece il metallo che si presta nobilmente alle sintesi artistiche. Non patisce virtuosismi eccessivi, ma anche nei lavori raffinati vuole conservare qualche cosa della sua primitività. Ed è per questo che noi guardiamo con maggior compiacenza ai lavori più antichi, io cui pare che ancora risuoni l’eco del colpo di maglio battuto dai fabbri vigorosi e geniali delle nostre a secolari corporazioni.

C. CECCHELLI.


NOTIZIE VARIE

SCENOGRAFIA ALL’APERTO. — Sotto gli auspici dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi si va compiendo in Roma il quarto importante tentativo di utilizzazione d’edifici classici universalmente noti e venerati, per rappresentazioni all’aperto. Il primo, se non erriamo, è stato quello dell’Arena di Verona.. Il colossale cerchio a gradinate intatte fu diviso a metà dalla linea del palcoscenico. Su di esso si son rappresentati melodrammi moderni (e talvolta anche a soggetto moderno) con il cambiamento di scena abituale.
Noi non siamo contrari a questo esperimento, soltanto ci permettiamo di rilevare come lo spezzarsi di gradinate contro la bocca d’opera intercettata dal velano — dia subito l’idea della superfetazione posticcia. Ed inoltre l’opera moderna il più delle volte ha spirito assolutamente contrastaste con quello che (almeno per senso atavico), ci figuriamo sia stata l’anima del mondo antico le cui secolari testimonianze son lì, sotto i nostri occhi.
Il secondo tentativo si è compiuto nel teatro romano di Fiesole, ove si è rappresentata l’Aminta del Tasso. Chi vi e stato mi riferisce la profonda malìa da cui si è presi quando la vicenda della fresca opera pastorale si profila sullo sfondo d’alberi annosi e di cielo. Osservo in proposito che ognuno di questi ambienti vetusti ha un genere che si addice al suo carattere. Il Teatro di Fiesole s’intona assai bene con f’Aminta e con altre produzioni consimili (così pure il teatro del Tuscolo, circondato dalle selve), mentre l’Arena di Verona non vale che per le grandi tragedie e per le opere elevate con intervento di grandi masse. Poi vi è il teatro della Comedia attica e latina, che potrebbe essere quello di Ostia, vigilato da grandi maschere ghignanti e percorso da un filare di colonne svelte.
Ma tornando agli altri tentativi, notiamo quello grandioso di Siracusa armonizzato al fremito gigantesco della tragedia eschilea. Il mare che gli sta di dietro, col suo respiro immane abbasserebbe e forse stroncherebbe nel ridicolo qualunque opera men che elevata e insufficientemente allestita. Per fortuna si è trovato un grande artista, il Cambellotti, che ha studiato il luogo e la tragedia ed ha trovato la linea che pienamente si fonde con i ruderi della scena e della cavea e collo sfondo possente del mare.
Ultimo in ordine di tempo, ma non meno importante è questo tentativo romano, attuato entro lo Stadio imperiale del Palatino. Possiamo notar subito che il luogo non è interamente adatto. Vi è uno sfondo di alte muraglie che per alcune produzioni (come le attuali), e per i primi tempi possono riuscir suggestive. Ma in diversa occasione e col tempo riuscirebbero ingombranti. Lo Stadio era fatto per ben diversi spettacoli. Ad ogni nodo l’utilizzazione attuale può dirsi assai ben riuscita per merito di un valoroso artista: l’ing. Pietro Aschieri. Egli ha creato due masse di palazzi arcaici greci che coprissero gli angoli dello Stadio, ha raccordato la scena alla platea antistante a mezzo di scogliere e di un’ampia scalinata. Il suggeritore, con intelligente partito, è stato mascherato dall’ara centrale della gradinata, l’orchestra da una delle masse rocciose di sinistra, più vicine al pubblico talchè si produce un mirabile effetto sembra che i suoni si effondano dalle pietre. Queste quinte rocciose servono anche a coprire le vie d’accesso degli attori. Il centro della scena lascia libera la veduta dell’antica muraglia che (vedi combinazione fortunata!) ha due finestroni ampi, due ampi quadrati di cielo.
Magnificamente trovato il colore: un prevalere di grigio-turchiniccio che sfuma in alto in un roseo il quale sembra rattenga gli effetti del tramonto. Altro colore delle muraglie a blocchi è il giallo che per esempio fa apparire quasi fittili i leoni della porta. Gli amici archeologi hanno voluto riprovare la commistione di vani stili greci. Ma io osservo che, non sorpassando alcun elemento il periodo arcaico, essi si fondono con armonia anche per merito della loro intelligente collocazione. La stele protoattica col guerriero di sinistra, non urta, ad esempio, con la decorazione primitiva (stile dei vasi del Dipylon) di destra.
In conclusione, questo tentativo deve dirsi pressochè riuscito per merito di persone che han saputo comprendere l’ambiente e han tratto dalla loro genialità tutto ciò che era necessario pet intonarvisi. Le rappresentazioni all’aperto hanno le loro esigenze poichè la visione della natura abbatte senz’altro ogni meschinità. Se poi si aggiunga la presenza di un monumento vetusto che, senza sfigurarlo, debba convenientemente essere adattato, ognun vede come l’impresa sia tale da far "tremar le vene e i polsi".

C. CECCHELLI.


CONCORSO PER IL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI DI BELLE ARTI IN NAPOLI.

Il concorso per la costruzione in Napoli di un palazzo per esposizioni di Belle Arti da erigersi in una zona della Villa Reale, è ora maturato in una prima fase. Dei 17 progetti presentati al concorso, 8 sono stati dalla Giuria prescelti per una seconda gara di perfezionamento ed il Comitato promotore, accogliendo il voto, ha destinato una serie corrispondente di premi d’incoraggiamento di 2000 lire in modo che ciascuno dei concorrenti chiamati a nuovo lavoro abbia almeno una tenue indennità.
È da augurarsi che questo nuovo studio rechi una ricerca maggiore di espressione nobile e viva e, più che tutto, di rispondenza all’ambiente architettonico napoletano, al carattere paesistico del luogo magnifico, di quanto non sia apparso nella prima gara, riuscita nel suo insieme un pò fiacca poichè forse l’interesse di molti artisti si è allontanato dall’arduo tema per il prevalere di varie cause esterne, ad esempio, per 1’ imperversare delle discussioni che hanno accompagnato il concorso.
Alcune di queste, per vero dire, non possono dirsi ancora sopite :e son tra esse quelle che si riferiscono alla località prescelta, che molti in Napoli ritengono inadatta, in quanto la mole necessariamente vasta del nuovo edificio verrebbe ad alterare l’integrità della villa ed a costituire un elemento forse troppo invadente nel paesaggio mirabile.
Comunque sia non poteva ora la Commissione giudicatrice far diversamente che promuovere un concorso di secondo grado che utilizzasse e raffinasse gli studi non certo dispregevoli apparsi nel primo. Ma tale soluzione adottata dovrebbe essere di monito a considerare, nel regime dei concorsi, il procedimento dei due gradi non come espediente di ripresa ma come sistema organicamente tracciato.



BIBLIOGRAFIA

L. V. PASTOR. Sisto V. il creatore della nuova Roma, Roma, tip. Vaticana, 1920.

Il benemerito comitato sorto per commemorare il quarto centenario della nascita del grande pontefice marchigiano non poteva in modo più degno svolgere la propria opera che col promuovere la pubblicazione in italiano del capitolo che il Pastor, l’insigne storico dei papi, ha, nel X volume della sua Storia, dedicato alle grandi iniziative di Salo V nel l’arte, nell’architettura, nella trasformazione monumentale di Roma. Ed il capitolo (come è avvenuto per l’altro recente estratto su Roma alla fine del Rinascimento) assume il carattere e l’importanza di una vera monografia organica, la quale ci mostra tutta la magnifica opera compiuta dall’indomita e geniale energia, che in soli cinque anni d pontificato ha saputo inquadrare uno sviluppo edilizio ed archi tettonico durato oltre tre secoli.
Il lavoro è di sintesi rapida e poderosa poichè ormai sull’argomento i contributi analitici dell’Hübner, del Bertolotti, del Lanciani, dell’Orbaan e di tanti altri studiosi hanno recato una così importante messe di dati di documentazione, che solo occorreva ordinare e porre nella loro vera luce. Si susseguono così le trattazioni sulla esquilina villa Montalto; sui lavori dell’acquedotto Felice, il primo acquedotto dei tempi nuovi, inizio necessario del rinnovamento edilizio sui tracciati di strade e di piazze, coi quali Sisto V ed il suo architetto Domenico Fontana, sviluppando l’opera già cominciata dai papi precedenti (e specialmente da Paolo III per l’iniziativa del grande Latino Giovenale Manetti) estesero audacemente un vero piano regolatore moderno sui colli di Roma alta; su Sisto V nei riguardi degli antichi monumenti, che non certo ebbero dalla sua impetuosa volontà di novatore il dovuto rispetto sugli obelischi da lui elevati; sulle opere di pubblica utilità e sui restauri di chiese da lui promossi sui grandi lavori del palazzo Lateranense, della biblioteca Vaticana, della cappella Sistina a S. Maria Maggiore, nei palazzi del Vaticano e del Quirinale, nella fabbrica di S. Pietro, e segnatamente nel completamento della cupola vaticana, che Giacomo della Porta e Domenico Fontana, felicemente modificando alquanto il disegno di Michelangelo, elevarono a modello insuperato delle infinite altre cupole nelle nuove chiese della religione rinascente.
Naturalmente in così vasta congerie di materiale alcune piccole dimenticanze, alcune lievi inesattezze erano inevitabili. Le prime riguardano talune opere minori, come la scala della chiesa della Trinità dei Monti, le fontane delle piazze d’Aracoeli e della Madonna dei Monti, i restauri delle chiese di S. Clemente, di S. Adriano, di S. Sabina, compiuti, se non per iniziativa diretta, forse con l’ausilio del papa. Tra le seconde è l’avere (nella nota della preparazione riassuntiva dei lavori sistini) menzionato tra questi la Sangallesca facciata di S. Spirito, ove l’opera di Sisto V si è limitata ad un piccolo restauro, e l’avere attribuita al primo periodo di costruzione dell’acquedotto Felice la fontana settecentesca di porta Furba.
Lievissime imperfezioni queste, che nulla tolgono alla importanza ed al valore dello studio il quale è completato da trentadue tavole che ci mostrano l’effige del grande pontefice, e ci illustrano le sue maggiori imprese, sia direttamente riproducendo le opere a lui dovute, sia riportando dipinti, in parte inediti, che di quelle opere danno testimonianze coeve come gli affreschi della biblioteca Vaticana, della sala del concistoro al palazzo Lateranense, della villa Montallo, ora distrutta. E sono testimonianze di alto interesse per la topografia e per l’Arte di Roma, ove così vasta e durevole impronta ha lasciato la ‘‘meravigliosa efficacia", per dirla con un anonimo contemporaneo, di Sisto V.

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