FASCICOLO VII MARZO 1923
CINZIO: Il concorso per il monumentoossario dei caduti romani da erigersi al Verano
Dicemmo già dell’esito di questo importante Concorso (vedi fascicolo V, gennaio, pag. 174) informando come, da parte della Commissione giudicatrice, fossero stati prescelti otto progetti, i cui autori avrebbero potuto cimentarsi in una prova ulteriore, la definitiva. Non sveliamo alcun segreto geloso stampando, accanto ai motti, i nomi corrispondenti, giacchè questi nomi corrono ormai sulle bocche di tutti.
Essi sono:
L’arch. ing. Pietro Aschieri (motto: Consecratio) - Arch. Armando Brasini (motto: Romane memento) - Architetto Enrico Del Debbio (motto: Romana propago) - Gli architetti Mario De Renzi e Mario Marchi (motto: Hic mors et gloria sorores) - L’architetto Raffaele De Vico (motto: .Semper alete flammam) - Arch. ing. Vincenzo Fasolo (motto: Gloria romana) - Arch. Alessandro Limongelli (motto: Pax Augusta) -Arch. Domenico Sandri (motto: Vittoria).
Per i lettori di questa Rivista tali nomi non riescono nuovi, giacchè abbiamo avuto occasione di pubblicare altre opere dei medesimi. In quanto al merito dei singoli progetti del concorso attuale, non giudichiamo necessario entrarvi poichè l’estesa illustrazione che ne offriamo si commenta da sè. Tanto più poi essendoci venuto il sospetto che le premature osservazioni di certi critici dei giornali, abbiano un po’ impressionato i supremi moderatori del Comune di Roma sul costo dell’opera erigenda, ed abbiano avuto la loro parte di responsabilità nel fatto deplorevole di cui parleremo.
Osserviamo soltanto che parecchi concorrenti hanno rivelato forti personalità artistiche, le quali raggiunsero completamente l’effetto di severa e imperatoria solennità che deve appunto dominare in un Monumento Ossario da erigersi nell’Urbe, nella città di così alte tradizioni e che spiritualmente è sempre caput mundi.
E non possiamo perciò liberarci dal senso di rammarico e di profonda amarezza, al pensiero che il Comune, (se non fallano le nostre informazioni) abbia creduto per ragioni esclusivamente economiche, di non dar corso al saggio voto emesso dalla Commissione giudicatrice. Si vocifera anzi che abbia stabilito di bandire un altro concorso ex-novo. Ma, a parte l’evidente disconoscimento delle qualità rivelate dai prescelti, a parte la poca deferenza per il verdetto degli egregi Commissari (1) l’inconsulta deliberazione avrebbe il carattere di un rinvio “sinedie” forse per aver tempo di seppellire (è proprio il caso di dirlo!) definitivamente la faccenda. Ciò non aveva di certo preveduto la Commissione, la quale nel solo intento di rispettare le esigenze finanziarie del Comune, credette che, con un nuovo studio del bando di concorso, si sarebbero potuti economizzare alcuni lavori non strettamente necessari all’opera costruenda. Non lo prevedeva, diciamo, poichè onestamente riteneva che nella nuova gara sarebbe stato possibile, da parte degli autori, di utilizzare, (con qualche temperamento imposto dalle strettoie economiche) la parte migliore del materiale, veramente eccellente, prescelto nella prima gara, e ciò a fine di provocare il progetto definitivo che rappresentasse l’opera degna d’essere eseguita per la città che intendeva erigerla e per l’idea che dovevasi celebrare.
E così, a distanza di poco tempo, sono già due concorsi per grandi monumenti ai Caduti che sono stati strozzati dalla mentalità meschina, o dalla incompetenza di Comitati e di pubblici Enti.
Parrebbe una fatalità, se le pagine della “Domenica del Corriere” non ammonissero che oggi hanno fortuna soltanto gli autori dei monumenti con la solita Italia dai seni opulenti che abbassa, con gesto melodrammatico, la frasca di palma, con l’immancabile brando e scudo sovrapposti, o con il convenzionale guerriero che, innalzando ferocemente il gladio, sembra voglia intonare il: “Se quel guerriero io fossi!,..” di verdiana memoria.
Indice della poca educazione estetica odierna dei nostri compatrioti? Non crediamo. Ci sembra piuttosto un effetto della aridità burocratica che per disgrazia sopravvive. Fare un concorso è sempre, a dire di certuni, un attirarsi delle noie sicure. Poichè (incredibile, ma vero!) si ha un po’ il timore che ne escano delle tempre autentiche e robuste di artisti, la cui opera conquistando il favore del pubblico, imponga l’erogazione di qualche soldo in più di quello stanziato in bilancio.
Ed inoltre si ha paura di suscitare discussioni (ad ogni modo proficue), non si vuole impegnare la poca somma del premio, non si vogliono rimborsare le spese sostenute dai concorrenti (almeno di quelli ritenuti migliori), non si vuole avere a che fare con la Giuria, e via discorrendo. Pur troppo quasi tutti i monumenti commemorativi della Guerra di redenzione sono vere e proprie profanazioni del sentimento patriottico e dell’arte.
L’artista vero, quello che ha vissuto il tema, è quasi sempre costretto a lasciare il posto ai maneggioni che hanno sempre in pronto i loro sgorbi, giacchè non si peritano di moltiplicarli in serie. Per modificare questo stato di cose, per imporre che gli Enti pubblici ed i privati sentano anzitutto la necessità dei concorsi, come mezzo unico per imporre una selezione, che li bandiscano in forma logica e con le dovute garanzie per i concorrenti che tengano nella considerazione dovuta i deliberati delle giurie (ove naturalmente non gravi su di essi alcun sospetto di parzialità); è necessario che gli architetti si organizzino, che facciano pesare l’autorità e la dignità che viene loro da un’arte (l’arte più complessa ed integrale) professata con sincerità di vocazione, con intensità di studio, con vasta preparazione culturale.
L’esempio attuale è, per un lato, fecondo d’insegnamenti. Si è veduto che un concorso di simile importanza non può definirsi in una sola volta, non può essere cioè di un sol grado, ma deve necessariamente averne due.
Nella prima fase si dovranno richiedere ai concorrenti nient’altro che delle idee sufficientemente svolte perchè sia possibile afferrarne il concetto ispiratore ed il modo con cui si intende tradurlo in atto. Non si abbia timore di veder cose troppo sommarie perchè sarà interesse dei concorrenti di rendersi intelligibili non solo agli occhi dei tecnici e degli artisti che compongono la giuria, ma anche del grosso pubblico. Nella seconda fase i prescelti saranno chiamati a svolgere un più concreto progetto, quello cioè che, con opportune modifiche o senza, potrà essere subito tradotto nei grafici necessarii per la materiale esecuzione.
Facendo così sarà evitata una considerevole perdita di tempo, ed il tempo, oggi più che ieri, si traduce in moneta sonante. Ed anche si allevieranno preoccupazioni ed ingenti spese, ai giovani in ispecie che, nell’intento di emulare gli artisti riconosciuti, sono costretti a dar fondo alle loro modeste risorse per poter presentare tavole di dettagli e bozzetti. Le Commissioni giudicatrici saranno meno oberate di lavoro e potranno pronunciarsi con maggiore rapidità e sicurezza poichè il loro esame non dovrà scindersi in numerose e complesse analisi parziali che di frequente, con la suggestione di qualche particolare, allontanano dalla sintetica comprensione dell’opera. D’altro canto il premio, sia pur modesto, concesso ai vincitori del primo concorso, potrà indennizzarli in parte delle spese che dovranno subire per prepararsi al secondo.
Stavolta che non lo si è fatto, la necessità del concorso di doppio grado si è resa evidente da sè. Alla fin delle fini molti dei progetti presentati, sicuramente irrealizzabili, non erano che delle idee svolte con cura eccessiva e con raffinato senso del pittoresco, ma in fondo nient’altro che delle idee, perchè i concorrenti si preoccuparono di figurare davanti al pubblico ed alla critica, più che d’essere concreti, come impongono le ferree leggi della pratica architettonica.
Ed è naturale che la giuria si sia dovuta trovare non poco imbarazzata, mentre i rappresentanti del Comune possono averne tratto motivo per opporsi alla scelta di un progetto più che di un altro, facendo presente la spesa esorbitante dell’esecuzione. Ci figuriamo perciò che la scelta degli otto progetti che manifestamente emergevano sugli altri, abbia rappresentato per la giuria l’unico mezzo per uscirne senza violare le ragioni dell’equità. Si è così stabilito senza volerlo, quel secondo grado che, per un cumulo di circostanze, è indispensabile in concorsi di così grandiose e significative opere pubbliche.
Ed ora un’ultima questioncella. Abbiamo veduto nella esposizione odierna, disposta nelle aule imponenti del palazzo di via Nazionale, delle opere di notevole valore artistico non lontane da altre di petulanti ignoti, forse rispettabili mastri d’ascia o di cazzuola, non certo però di gente che conosca i primissimi elementi del disegno e che palesi, non diciamo un’idea completa, ma almeno una buona intenzione.
È la farsa di cattivo gusto che in questi casi riesce sguaiata e dannosa poichè, suscitando il riso ed i commenti salaci, distrae i visitatori dal pacato esame delle altre opere.
Disgraziatamente non si può nei concorsi procedere ad una eliminatoria prima di sistemare i lavori, poichè tutte le voci hanno diritto ad essere ascoltate. Ma chiediamo che si trovi il modo di separare le opere di coloro che dimostrano un sufficiente grado di preparazione da quelle che sono il prodotto di una ignoranza assoluta.
Un nostro simpatico amico, pieno di brillanti risorse, faceva anche un’altra proposta che potrebbe esser presa in considerazione. Secondo lui, la giuria si dovrebbe pronunciare anche su queste opere, ma…. per imporre una multa in corrispettivo della improntitudine dimostrata e dei metri quadrati di parete ignobilmente coperti.

CINZIO.


(I) I Commissari erano: Assessore Luigi avv. Del Vecchio, presidente, on. Susi, comm. Cartoni, consigliere comunale, Ugo Ojetti per il Circolo Artistico, G. B. Milani per l’Associazione Ingegneri, Giulio Magni per i Cultori di Architettura, Manfredo Manfredi, Gustavo Giovannnoni e Marcello Piacentini eletti dai concorrenti.

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