FASCICOLO VI FEBBRAIO 1923
MARIO TINTI: Architettura e Arti decorative in Polonia, con 14 illustrazioni.
La sala della Polonia alla Fiera internazionale del Libro, a Firenze, attrae l’attenzione e suscita la simpatia non solo degli artisti e dei competenti di arti grafiche, ma perfino del grosso pubblico. Ciò che vi colpisce soprattutto è l’aspetto caratteristico delle belle edizioni e una omogeneità, una unità che si imprimono nella vostra mente come la fisionomia delle persone ricche d’anima e di temperamento.
Aggirandomi fra le vetrine, alcuni di codesti aspetti mi colpiscono più fortemente.
Sopra una parete, a destra, in un manifesto campeggia un ussaro a cavallo, un cavallo dalla linea arcuata ed elastica, cui risponde l’incurvatura della sciabola sguainata. In un altro manifesto li accanto, un vecchio capotamburo napoleonico dai baffi smisuratamente lunghi, rigidi e appuntiti come code di sorcio rulla una eroica " carica". E ancora, in altri manifesti: una dama biondissima dalle floride braccia e il profilo delicato; una dissonante armonia cromatica di verde, di rosso, di azzurro (un manifesto per una esposizione di arte rustica) nei costumi caratteristici di due o tre contadini, incorniciata in vaste zone di colori puri.
Sopra un’altra parete campeggia la fisionomia dura e forte – nobilissima di un montanaro polacco ritratto all’acquaforte.
È il Dio Iare dell’arte decorativa polacca, più solenne e religioso – forse delle divinità pagane della Polonia, che sorridono eternamente giovani come le forze della natura nei chiariscuri litografici di Zofia Stryjenska disposti sul frontone delle vetrine e a cui fan riscontro dall’opposta banda le sagome aguzze e snelle di vecchi tabernacoli rustici, raffigurati in un’altra serie di litografie.
È l’anima della Polonia romantica ed eroica, rurale e guerriera, popolaresca e aristocratica, che si mostra qui per questi simboli dell’arte.
L’unità di ispirazioni fatta di amore e di convinzione e certamente la sorgente del fascino che esercita sui visitatori la sala polacca del Libro. È il nucleo primigenio dell’anima etnica intorno al quale quel popolo ha ordito tutta la sua vita sentimentale e immaginativa. Custodire gelosamente codesto nucleo, riferirsi alla sua essenzialità in ogni forma della vita l’arte prima di tutte non è stato per i polacchi una volontà teorica, ma una necessità vitale; ed è stato il segreto del sopravvivere della loro compagine nazionale frammezzo alle circostanze più tragiche del territoriale smembramento, e della schiavitù politica.
Le voci minacciose o doloranti dell’anima nazionale, è noto, non hanno mai taciuto in Polonia, anche nei momenti più tristi e calamitosi dell’oppressione straniera e per bocca dei poeti hanno tenuto desto il desiderio di libertà. Ma il recente rinascere della Polonia ad unità nazionale è stato preceduto, in questi ultimi anni, da un largo e profondo movimento spirituale e intellettuale nel quale te arti figurative, come quelle che meglio potevano sottrarsi ai rigori e alle rappresaglie degli oppressori, hanno avuto una parte preponderante.
Specialmente nell’architettura e nelle arti decorative i Polacchi han ricercato, per cosi dire, le testimonianze della verità nazionale.
Per gli studiosi d’arte il fenomeno non è interessante soltanto nei suoi risultati definitivi e tangibili, ma soprattutto per il suo processo di formazione. E ciò, io credo, deve particolarmente appassionare noi italiani, travagliati ancora dalla difficile e problematica gestazione di tino stile nazionale moderno.
Framezzo alle suggestioni e alle lusinghe della cultura estetica cosmopolita, moltiplicate all’infinito dalle riproduzioni fotomeccaniche di riviste, monografie, esposizioni, come fa un popolo o un individuo (che è lo stesso) a ritrovare sè stesso, la legge necessaria della propria espressione artistica? Questo questione psicologica e non pedagogica è specialmente interessante a sapersi, e questo ci dice la genesi della nuova arte polacca.
Quando i chirurghi vogliono guarire un processo di dissoluzione e di degenerazione dei tessuti vanno a ritrovare coi loro ferri, liberandola dalle escrescenze e dalle decomposizioni, la polpa della viva carne. Quando un uomo si sente disperato e corrotto e anela a moralmente rinascere, fruga in sè stesso, fino a ritrovare la midolla viva e incontaminata della propria anima. Così, press’a poco, han fatto gli artisti polacchi, quando si è trattato per loro di ritrovare la vendica fisionomia della loro estetica nazionale.
Il principio elementare, l’unità indivisibile, la sorgente abbeveratrice essi l’han ritrovati nelle opere del " folkore ", della arte rustica.
Qui va posta un’osservazione, indispensabile perchè di cotesto fatto gli innamorati e gli apostoli dell’arte rustica, che anche da noi non mancano, non traggano la illusione errata che si debba pure in Italia, ispirare gli stili decorativi moderni ai tipi dell’arte rustica e del folkore. Bisogna tenere presente, cioè, che dal Gotico, al Rinascimento, al Barocco, gli stili aulici furono in Polonia prodotti di importazione. Colà vennero, bensì, a mano a mano acclimatandosi e contemperandosi di elementi locali, assumendo così un carattere originalissimo, ma non potrebbero mai considerarsi come stili nazionali, connessi alla vera psicologia del popolo polacco. Un altro fatto che non va perduto di vista è la eccezionale importanza che in ogni tempo ebbe in Polonia la popolazione rurale e montanara. Nella costituzione essenzialmente democratica della società polacca, cotesta popolazione i contadini e le masse dei piccoli nobili ha costituito per molto tempo l’elemento base della popolazione. I veri polacchi preferivano sempre di abitare fuori delle mura della città, che furono fondate e abitate in massima parte, nei tempi lontanissimi dagli stranieri.
La popolazione rurale e montanara, rimasta intatta fino ai nostri giorni nelle campagne di Cracovia, di Lovicz, di Lubbin, di Wilno e nelle montagne della Tatra, conserva ancora le sue danze, i suoi abiti pittoreschi, la sua arte rustica. Colà dove aveva abbandonato il costume dei padri, lo ha rindossato, indottavi dall’odierno movimento di simpatia per il folkore.
Costituita in gran parte di piccoli proprietari, codesta popolazione presenta, sia fisicamente che moralmente, i tratti di una grande nobiltà e di una grande fierezza. Scienziati, poeti, artisti polacchi sono d’accordo nel considerarla come la depositaria delle virtù fisiche della stirpe e del genio natio, un vero serbatoio etnico, nel quale la Polonia deve attingere ogni volta che voglia rinnovarsi o difendersi dal pericolo di venire assorbita da altre razze. Pertanto l’agricoltore e il montanaro costituiscono in Polonia l’oggetto di un vero culto nazionalista e vi è tutta una letteratura che lo descrive, lo illustra, lo esalta. Sono molto rappresentativi, a questo proposito, i libri " La Verde Pendice" (Na Skalnem PodhaIn) di Casimiro Tetmajer, una raccolta di novelle che riflettono tutta la vita e la poesia dei montanari e " Contadini" di W, Raymont, un vero corpus degli usi e costumi dei rustici, della loro poesia e della loro arte.
Ciò che conferisce all’architettura e in genere all’arte polacca rustica il loro accento più caratteristico è il confluire e il mescolarsi in esse, dei motivi originali e direi elementari provenienti dal sentimento del colore e delle forme innato nel popolo e dalle necessità tecniche della materia, con le influenze dello stile aulico proprio alle varie epoche; influenze che furono come l’eco flebile e deformato della vita mondana e signoresca delle città e dell’arte loro, e che ben inteso non si stabilirono nell’arte rustica con intendimenti di parafrasi stilistiche, ma vi si adattarono e vi vennero assimilate dal punto di vista della pura forma decorativa.
Lo stile che in codesto senso ha avuto un maggiore apporto, con un resultato più felice, nell’architettura rustica è stato naturalmente il meno rigido, il più pittoresco: il Barocco. Il Barocco sulle basi tectoniche dell’antica tradizione del “mestiere” si è sbizzarrito nelle più fantastiche e leggendarie variazioni di “colore”. Non mancano tuttavia gli esempi che ci danno a divedere le influenze dell’architettura del Rinascimento, e perfino del neoclassico napoleonico, che, come è risaputo, ebbe una larga fioritura tanto in Polonia quanto in Russia.
L’acquaforte appresso riprodotta è una immagine lirica del castello polacco, il castello polacco per eccellenza del XVI secolo; immagine ispirata in gran parte al Wavel, il famoso e magnifico castello reale di Cracovia.
Teniamo presente cotesto insieme solenne e monumentale, armoniosa fusione di forme diverse e tutte tipiche, allorchè vogliamo renderci conto delle continuità della tradizione architettonica polacca dalle sue forme originarie fino attraverso alle forme folkloristiche alle più recenti conseguenze.
Abbiamo veduto come la devozione dei moderni architetti e artisti decoratori polacchi per l’arte rustica e il fatto che in questa essi ricerchino le loro ispirazioni, non sono dovuti nè a un dilettantismo “snobistico” che, risazio dei complessi sapori dell’arte aulica, cerchi di stuzzicare il proprio appetito coi cibi umili e semplici, nè a un movimento preconcetto e didascalico; ma bensì ad un dato fondamentale per l’etnografia polacca: l’importanza e la funzione che nella vita nazionale della Polonia ebbe sempre l’elemento rurale e montanaro. Assai sintomatico è il fatto che il primo artista che sentisse il bisogno, coltivando le arti decorative ed aspirando a farle rinascere al gusto nazionale, di risalire alle fonti dell’arte rustica fosse il pittore Jan Matejko, pittore “storico” del tempo del nostro Ussi. Ciò avveniva intorno al 1860.
Ma fu soltanto una ventina di anni or sono che venne fondata a Cracovia quella “Società dell’arte applicata Polacca”, la quale, sotto la direzione fervida dell’esteta e infaticabile scrittore d’arte Giorgio Warchalowski (attualmente delegato della Polonia per la esposizione del 1924 a Parigi) cominciava l’opera di profondo rinnovamento e di difesa del gusto nazionale.
Codesta opera, dovuta unicamente alla iniziativa privata, senza alcuna ingerenza governativa, anzi spesso fatta in odio ai governi stranieri della Polonia, coincideva forse inconsciamente con un bisogno di difesa del sentimento nazionale, minacciato dalle influenze della cultura tedesca.
Con la unità della propria arte la Polonia veniva ad affermare la sua interezza ed il risalto della propria fisonomia.
I primi sforzi della “Società dell’arte applicata polacca" furono dapprima accolti dal pubblico senza troppo entusiasmo nè comprensione. Ma attorno a quel primo nucleo di fervidi fautori del rinnovamento estetico polacco si andava formando tutto un largo rinnovamento di letterati, d’intellettuali, di amici dell’arte, che davano con entusiasmo e con tenacia il loro contributo morale e pratico per salvaguardare e restaurare il cantiere nazionale nell’architettura e nelle arti decorative rifacendosi ai tipi del folkore. Al Warchelowschi si aggiungevano il pittore di vetrate Mehoffer, e il valoroso paesista Jan Stanislawski che poneva a servizio del movimento il suo talento organizzatore.
Ma la corrente doveva ricevere il suo maggiore e decisivo impulso estetico da Stanislao Wyshianki, il riformatore teatrale, traduttore di Omero, poeta drammatico morto di recente; il quale dette alla Polonia gli archetipi di un nuovo teatro eroicoreligioso e fu altresì decoratore geniali ssimo, rinnovatore di tutte le forme dell’arte decorativa.
Oggi il rinascimento dell’architettura e delle arti decorative nazionali è un fatto compiuto. Gli architetti classici costituiscono ormai in Polonia una piccola minoranza e si applicano di preferenza al restauro degli antichi monumenti. Gli altri, come Stanislao Noakowski (del quale riproduciamo qui alcuni disegni caratteristici da un albo di “progetti”), come Galezowski, professore di architettura all’Accademia di B. A. di Cracovia, SzyszkoBohusz, e Joseph Czajkowski, creatore dell’esposizione di architettura nel 1910, procedono nel solco ormai fecondo del rinnovamento nazionale.
Non soltanto essi si ispirano a motivi puramente rustici, ma procurano di riconoscere nelle opere della grande arte monumentale antica assimilandone lo spirito nell’opera propria gli esempi di puro carattere nazionale, che, sia per istinto che per necessità climatica, sono stati introdotti dalla mano d’opera primitiva o dal sentimento spontaneo, innato, popolare.
Uguale strada ha battuto il rinnovamento delle arti decorative. Fra gli artisti cui si deve l’iniziativa di questo rinnovamento o che vi han contribuito con maggior talento vanno ricordati: Joseph Mehoffer del quale alcuni lettori avranno ammirato i cartoni per vetrate che nel 1920 egli espose a Venezia nel padiglione polacco, il (Mehoffer e autore altresì delle vetrate del Duomo di Friburgo, dei mosaici della cattedrale di Leopoli e della decorazione ed ammobigliamento della Camera di Commercio di Cracovia, le sue vivacissime policromie sono tutte ispirate all’arte rustica); Wlodzimierz Tetmajer, una individualità forte e estremamente polacca, che vive in campagna ammogliato a una contadina, autore di una cappella rustica nel Duomo di Vavel; Charles Tichy autore di ammobigliamenti e decorazioni originalissimi; Charles Frycz, oggi commissario del Governo polacco per la Fiera Internazionale del Libro di Firenze, autore di figurini teatrali, interni, pannelli, e ve trate; Henri Uziemblo che ha decorato l’interno di uno dei teatri di Cracovia; Jastrzebowski disegnatore di tappezzerie e decoratore d’interni a Cracovia; Zofia Strijenska, talento spiccatissimo fatto di raffinata intellettualità e di ironia, autrice di affreschi, pannelli decorativi e illustratrice di libri squisita e singolare.
Molti di codesti artisti sono professori di Accademia; con essi il nuovo verbo delle arti decorative e dell’architettura è penetrato anche nell’insegnamento ufficiale finalmente redento dal governo nazionale e che da esso ha ricevuto un grande impulso.
Ci troviamo, dunque, dinanzi alla formazione di un’epoca stilistica, che come ogni vera e propria formazione storica, ha origine da una necessità spirituale. È il procedimento tipico e direi classico di tutti i rinnovamenti artistici o ideologici non superficiali: alcuni maestri di vero genio, alcuni fari, con la irradiazione della loro luce proiettata sugli artisti minori e sui discepoli creano, di riflesso in riflesso, ciò che si chiama il “colore dell’epoca”.
Che la sorgente della luce sia l’arte rustica o l’arte aulica è condizione che varia a seconda della storia dei diversi paesi; ma il processo è sempre quello. Nè possono sostituirlo le più ingegnose formule burocratiche o pedagogiche.
Nella sala della Polonia, alla Fiera Internazionale del Libro di Firenze, l’arte grafica rispecchia a maraviglia la raggiunta unità di stile della moderna arte decorativa polacca, rinverginata a contatto del genio popolare.
L’arte grafica è la quintessenza dell’architettura e di tutte insieme le arti decorative: è il loro riflesso, idealizzato per potere essere racchiuso in un leggero e sottile foglio di carta. Osservando una ad una le vetrine della sala, sfogliando le edizioni ricche o modeste, lussuose o caste, si direbbe di trovarsi dinanzi alle innumerevoli variazioni di un identico tema. E con tutto ciò nessuna monotonia, anzi la varietà più generosa, più fertile, Soltanto un’aria di famiglia, l’impronta di una gente salda saputasi conservare, fra le circostanze più avverse, immune da qualsiasi ibrido contatto.
Il buon genio dell’arte tipografica ed editoriale polacca è Jan Bukowski. Egli ha continuato l’opera immaginosa di Stanislao Wyshianski, svolgendola con criteri meno astratti e colturali, più empirici e aderenti all’anima viva della sua gente. Anche Bukowski si è abbeverato alla pura sorgente dell’arte rustica: ha guardati gli arabeschi sforbiciati nelle carte colorate, con i quali le giovani contadine ornano l’interno delle loro capanne, le trine paesane, gli stampigli a cera che i contadini fanno sulle uova di Pasqua, i motivi dipinti sui mobili rustici o intagliati sugli utensili domestici di legno dei montanari. Mai però imitando o ricalcando, ma sempre interpretando con spirito originale. Da vari anni Bukowski presta la sua attività presso molte stamperie di Cracovia, imprimendo il suggello del proprio gusto a numerose edizioni. Attorno a lui si è formato il solito irradiamento di energie che emana dagli uomini di fede e di talento: una pleiade di artisti eccellenti ha secondato i suoi sforzi, li ha moltiplicati e proiettati in tutti i sensi, a seconda dei vari temperamenti. Questa è la storia semplice ma meravigliosa del rinnovamento grafico polacco.
Dovunque si posino gli occhi nella sala polacca della Fiera del Libro, si può essere sicuri d’incontrare qualche segno dell’apostolato benefico e della feconda attività di Bukowski.
Di quale bellezza elegante fiorita e serena e tuttavia castigata sia capace la nuova arte grafica polacca possiamo avere un’idea sfogliando le pagine (alcune delle quali riproduciamo) di un catalogo che Buwoski ha composto, facendone decorare ciascuna pagina da un diverso artista, fra quelli aderenti al suo gusto, e decorandone alcune egli stesso.
In procinto di uscire, dalla sala del Libro polacco, sulla soglia una xilografia attira la mia attenzione: raffigura una scena fantastica e tuttavia reale: una danza di montanari nei loro originali costumi, attorno ad una fiamma lingueggiante, contro uno sfondo di abeti alpestri: opera dello xilografo Ladislao Skoczylas.
Mi sembra che da questo insistere e richiamarsi di ritmi curvilinei, elastici, carichi di una energia primitiva e di un’epica gioia sia nata tutta l’arte decorativa polacca: una danza gioiosa, anch’essa, di linee e di colori.

MARIO TINTI.

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