FASCICOLO III - NOVEMBRE 1923
VALERIO MARIANI: Il concetto architettonico nella cultura del sei e settecento
Quando alle necessità d’armonia e di sobrietà stilistica che avevano informato l’allestimento scenico del cinquecento, si sostituì lo sfarzo senza limiti e la " meraviglia " cenica, sbocciò, quasi d’incanto, il fantastico fiorire della scenografia barocca.
Nata dagli addobbi degli spettacoli aristocratici del cinquecento, questa eccezi-nale forma d’architettura scenica portava alle ultime conseguenze l’applicazione dei trucchi scenici adoperati nel cinquecento solo per gli episodii culminanti e gli intermezzi e sebbene dal punto di vista architettonico possa sembrare di secondaria importanza tutta quella parte della scenografia che gli stessi artisti chiamarono condimento dello spettacolo (apoteosi, carri trionfati sospesi a mezz’aria, apparizioni improvvise), essa ebbe, in questo pe-riodo, un’efficacia grandissima nell’architettura scenica, affrettandone, anzi, la radicale trasformazione.
Lo studio dell’effetto prospettico e del rilievo, viene considerato, dagli architetti teatrali del cinquecento, come il problema centrale: ricerca essenzialmente " statica " così come sarà invece del tutto " dinamica " la ricerca della scenografia del seicento. L’architetto Sebastiano Serlio, in quella parte del suo Trattato d’Architettura (1544) in cui si occupa di scenografia, si dà sopratutto pensiero di risolvere problemi es-senzialmente costruttivi.
La prospettiva della scena è di fronte, le strade s’allungano verso il fondo, di qua e di là si sporgono le case " in bell’ordine disposte ". Il rilievo in legname rinforzato da qualche tono di colore, domina su tutto l’allestimento scenico, e dalla disposizione armonica dei fabbricati, deve risultare un piacevole effetto prospettico. " Sopra l’altre cose " egli dice " si deve far elettione delle case più piccole, e metterle davanti, a ciò che sopra di esse si scuoprano altri edifici… onde, per tal superiorità della casa più addietro, viene a rappresentar grandezza e riempie meglio la parte della scena, che non farebbe diminuendo, se la sommità delle case divenissero minori l’una dopo l’altra ". Alcune xilografie che illustrano questa parte del trattato, danno l’esempio di tre scene immobili, quelle architettoniche certamente ispirate a disegni di Baldassare Peruzzi, dove i fabbricati necessarii alla rappresentazione vengono costruiti uno ac-canto all’altro, nè l’apparizione improvvisa di qualche nuvola di garza argentata, o di qualche simbolico carro di trionfo disceso dal cielo, se la rappresentazione lo richieda, riuscirà a turbare la fissità dell'insieme architettonico.
Qualche volta, in queste scene cinquecentesche, il rilievo in legname veniva sostituito con la tela dipinta, e quindi s’affidava all’illusione pittorica il senso del chiaroscuro, ma ciò era fatto timidamente, nei " telari " del fondo, lasciando sempre nel primo piano, le parti in legno scolpito. " È ben necessario " dice Sebastiano Serlio " a servirsi del rilievo di legname, come quello edifizio al lato sinistroi li pilastri del quale posano sopra un basamento con alcuni gradi " e aggiunge poi " ma quando tai cose fussero di lontano, un telaio solo serviria, facendo tutte le parti ben delineate e ben colorite ".
Ma più tardi le esigenze della coreografia s’orienteranno sempre più verso il fantasti-co, senza nessuna preoccupazione per il ve-rosimile, e s’introdurranno definitivamente nelle rappresentazioni quegli " intermedii " simbolici, serie di quadri mitologici classicheggianti, al solo scopo d'arricchire la coreografia già di per sè esuberante, in cui le apparizioni di divinità, di eroi, di per-sonaggi storici, avvengono in un ambiente irreale: di sogno.
Già nel cinquecento si notava, a questo proposito, l’eccessiva importanza data agli intermezzi fantastici, sproporzionati all’a-zione principale ".… altro non chieg-gono gli spettatori che "l’intermedio", e fa povera commedia, che è l’azione prin-cipale e la base di tutto il rappresentato, e con tedio lasciata passare" dice un contemporaneo. Assumendo quindi grandissima importanza questa parte, prima secon-daria, dello spettacolo, cambiarono radicalmente le idee costruttive dominanti fin’allora e si venne a creare quella caratteristica forma d’allestimento scenico in cui tutto è posticcio, costruito con la massima legge-rezza di materia, appeso e sostenuto per-chè in un batter d’occhio possa scomparire.
Su queste basi completamente nuove, si potè allora, sui primi del seicento, dar forma alla massima espressione fantastica nell’arte barocca: il Ballet francese.
I nostri migliori architetti teatrali, dopo aver creato nelle corti principesche italiane inverosimili "meraviglie", sceniche e mira-colosi allestimenti di spettacoli, passavano in Francia dove, per opera di cortigiani, di letterati, di musicisti, si tentava di dar forma alla più completa espressione teatrale che mai fosse sognata da menti d’artisti; essi avevano bisogno che la genialità inesauribile dei nostri architetti fornisse alla loro creazione un ambiente adatto: non più i nobili palazzi cinquecenteschi disposti di qua e di là, lungo le strade in prospettiva, o il massiccio rilievo in legname in primo piano, ma scene fantastiche, nubi che discendono dal cielo, s’aprono e lasciano ap-parire decine di personaggi, carri meravi-gliosi, complicatissimi, grotte magiche sorgenti all’improvviso.
I fratelli Vigarani, stabilitisi col vecchio Gaspare (capostipite della gloriosa famiglia d’architetti teatrali veneti) a Parigi, per la rappresentazione dell’ "Ercole Amante" che segnò una data memorabile per la coreografia francese, descrivono in alcune lettere dalla Francia, man mano, i preparativi per le scene da loro immaginate. Lo spettacolo richiedeva apparecchi grandiosi: Venere, Giunone ed Ercole apparivano sulle nu-vole, Giunone doveva essere seduta sopra un pavone enorme che sventagliava la coda sul palcoscenico, la Luna, in mezzo alla scena, doveva aprirsi e mostrare nell’in-terno una profonda grotta argentata dalla quale si snodavano danze di stelle.
Di questi spettacoli furono entusiasti or-ganizzatori Corneille, Molière e il musi-cista Lulli, "On n’avoit point vu de vols sur nos théâtres" scrive Corneille a pro-posito degli architetti teatrali italiani "qui n’aient été tout à fait de bas en haut.... mais de descendre.. sans prendre terre… à la vue des spectareures por recommencer dix fois la même descente... je ne puis m’empêcher de dire qu’on n’a encore rien vu de plus surprenant".
Con questo assoluto predominio del fan-tastico nella scenografia, gli architetti teatrali s’erano trasformati in meccanici tea-trali, escogitavano sempre nuovi e più complicati allestimenti scenici che strappassero la meraviglia agli spettatori, svolgendo fino all’inverosimile le prime timide forme degli " intermedii" cinquecenteschi. L’architet-tura teatrale così, aveva ormai preso la caratteristica espressione d’irrealtà, di fan-tasia, che, per tutto il seicento dominerà incontrastata in ogni spettacolo.
Ma la primitiva rigogliosa fioritura di questa tipica forma d’allestimento scenico, si trasformò in decadente pesantezza e, se i balli coreografici di tutto il settecento e dell’ottocento francese, si possono consi-derare come un ultimo strascico misero della trionfale manifestazione scenografica del Ballet, la reazione a questa forma an-ti-architettonica di scenografia si manifestò prestissimo fin dalla fine del seicento; al-lora, con l’importanza che i problemi pro-spettici e pittorici riacquistano per gli sce-nografi, la scenografia rientra nell’ambito dell’architettura, e i pittori di scena trovano ormai in veri e propri trattati, non più nell’esperienza empirica di puri meccanici, le norme per la costruzione delle scene.
Per la speciale condizione in cui gli sce-nografi si vengono a trovare nei primi del settecento, con il desiderio rinnovato di tor-nare a forme più riposate di scenografia, le norme di pittura scenica vengono natu-ralmente a confinate con gli elementi dello studio dell’architettura e, per abitudine, i trattati di scenografia s’aggiunsero ai trat-tati di prospettiva, ma per il carattere d’espe-rienza pittorica che l’arte dello scenografo presenta, anche una quantità d’insegnamenti più propriamente " pittorici " trovano neces-sariamente il loro posto nei trattati di sce-nografia.
Gli insegnamenti d’architettura scenica che maggiormente influenzarono la sceno-grafia del settecento, furono quelli raccolti da Ferdinando Galli Bibiena: essi riassu-mono l’esperienza della più gloriosa gene-razione d’architetti teatrali.
I meravigliosi bozzetti di scene bibiene-sche che nel fremito dell’incrociarsi dei segni di penna e lavature d’acquarello suggeri-scono l’allungarsi d’arcate solenni e ariose, o le potenti membrature di risonanti pareti di prigioni cupe, dovevano trovare attra-verso rigide norme prospettiche la loro realizzazione pur conservando, in questo passaggio dal bozzetto alla scena svolta, dall’incerto al definitivo, tutta l’armoniosa pittoricità della prima idea ed ecco che lo scenografo, architetto e pittore, da un lato escogita regole inflessibili di prospettiva, e considera dall’altro il colore in funzione della distanza, " per l’effetto " in rappor-to alla prospettiva, suddiviso e accostato per complementarismo, affinchè, finalmente, " sulle fabbriche si veda brillare il sole ".
" Non v’è dubbio alcuno " egli scrive che la maggior difficoltà che nasce dalle invenzioni delle scene teatrali, è quella della differenza dalla prima idea fino all’ultimo termine di porla in opera, perchè cala tanto, che alle volte non si conosce per quella … se ne forma uno schizzo o abbozzo, quale assai cala dal primo concetto… poi si di-segna in carta secondo le regole della pro-spettiva ed architettura, ma per tali sog-gezioni sminuisce assai… poi si disegna in opera, e tanto più va perdendo quello spi-rito che fu prima in idea… infine si disegna e colorisce secondo l’arte, ma sempre, in-vece di crescere cala molto, ancorchè molto spirito e talento abbi chi opera". Ed egli allora crea una regola per la quale ci si rende conto dell’effetto d’un particolare ad una distanza stabilita, fin da quando " si disegna in carta ", il bozzetto, e giusta-mente afferma che questo " è un adattare la prospettiva all’invenzione e non quella alla prospettiva ".
Un simile concetto della scenografia por-terà ad espressioni senza pari nel campo dell’architettura scenica che è, in fondo, l’ar-chitettura sentita da un temperamento pit-torico: le masse architettoniche non sono più considerate in se stesse, cioè secondo il loro valore eminentemente statico, ma per il valore che acquistano alternate con dei vuoti di cielo, o integrate dalle masse corali e di ballerini che commentano con i vivaci colori l’insieme scenico, o perdute in lontananze assolate in cui la forma si diffonde nel puro colore.
La raccolta di prospettive teatrali di Fer-dinando Galli Bibiena, incisa da Pietro Gioani Abati può servire d’esempio, tra tanti, del carattere estremamente pittorico della scenografia di questo periodo. L’artista, spogliatosi man mano della macchinosità delle rime prospettive teatrali, ora accumula fasci di colonne che si perdono nella chiarità di qualche cupola forata, interrotte con impeto da lisci blocchi squadrati, ora s'afferma delicatamente pittore nelle scene campestri in cui s'allungano fiancate verdi di mortella come nei giardini veneziani, con boschetti, fontanine e ampii cieli nel fondo, ora immagina, invece, fantastiche scene d'assedio: casamenti e campanili aguzzi s'affollano dietro le mura, una grande cupola rotonda, a destra, si perde nella luminosità del cielo e a sinistra s'intravedono ruderi romani e archi diroccati. Dal fossato che circonda la città spuntano aguzze palizzate e dai due lati, enorme quinte fantastiche si sporgono in grandi masse. Strumenti d'assedio d'ogni sorta, sostenuti da due torri mobili, ammucchiati con profusione pittorica, ricordano, senza rimanerne al disotto, quelle incisioni di Callot in cui tutto serve a formar cornice alle scene di guerra nel fondo luminoso: bandiere, colubrine e prede di guerra, altrettanti pretesti per potenti effetti di chiaroscuro.
Spunti di carattere paesistico appaiono invece in alcune scene boscherecce, come nella " scena rustica " con la capanna qua e là sforacchiata, invasa dal sole, fatta di mattoni e travi da uno dei quali pende un gabbione di forma strana. Tutta la scena ha un carattere esotico, così romantica e desolata: la capanna col suo tetto di paglia e una specie d’abbaino sostenuta da due travi: con le sue quinte d’alberi muscosi. Fu forse lo scenario per uno di quegli spettacoli di carattere "moresco" così comuni al sei-cento e al primo settecento? Certo vi ap-pare evidente la ricerca, anche nei partico-lari, dello " strano "e del " selvaggio ".
Nello scenario del " carcere " invece, tutta la potenza architettonica dello sce-nografo trova libero sfogo nel costruire ampie arcate di sbiego, riposanti su spigoli di pareti spaziose sfondate da finestroni a sbarre donde passa la luce a gran fasci e batte a illuminare i blocchi massicci delle mura. Prigione tutt’altro che piranesiana, senza sloggio di catene e di rovine con scale a perdita di vista, meno pittorica forse, ma più ampia e nitida, scena d’una solidità potente e grandiosa in cui, come i con-temporanei osserveranno. " L’oridezza e la mestizia è conseguita con l’insistere su mo-tivi di linee rette perpendicolari, un po’ più soverchiamente distese…".

Con raffinato esame coloristico e rinno-vato entusiasmo architettonico, gli sceno-grafi della prima metà del settecento ac-centrarono la loro attività attorno ai dettami di Bibiena: e come fu possibile realizzare, con il contributo della genialità degli ar-chitetti teatrali italiani, il più meraviglioso sogno del seicento con la scenografia fan-tastica dei Ballets, si potè nel settecento arrivare alle più potenti espressioni della scenografia architettonica.
Per tutto il settecento, le ricerche degli scenografi non si limiteranno più ormai a questioni puramente costruttive, ma l’indagi-ne tecnica intuirà con limpidezza alcuni dei principali problemi pittorici che agiteranno in epoche successive le menti degli artisti. Così passando, volta a volta, dal campo co-struttivo al campo meccanico, da quello ar-chitettonico, a quello pittorico, la scenogra-fia s’orienterà verso ricerche di luce, le cui possibilità rimangono tuttora inespresse.

VALERIO MARIANI.

torna all'indice generale
torna all'indice della rivista
torna all'articolo