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NOTIZIARIO |
CRONACA DEI MONUMENTI.
PER IL RESTAURO DELL'ABBAZIA DI S. GALGANO PRESSO SIENA. Già altra volta accennando in questa Rivista ai monumenti che hanno bisogno di immediati restauri, abbiamo ricordato il tempio di S.Galgano. E di vero non sapremmo forse menzionare caso più importante e significativo di quello segnato dal mirabile monumento, che è (come lo hanno dimostrato gli studi del Canestrelli e dell'Enlart) grandioso avanzo di una delle prime e più insigni abbazie cistercensi sorte in Italia, e che rappresenta uno dei maggiori capisaldi per lo studio del gotico italiano. Orbene S.Galgano si disgrega e cade e si avvia all'ultima rovina, e nulla si è fatto finora per salvarne i resti, così imponenti e belli e profondamente suggestivi! Ora sembra che alfine si scuota questo deplorevole disinteressamento dello Stato, incompatibile con la esistenza di uffici di tutela del nostro patrimonio artistico. Si ha infatti notizia che il Sottosegretario di Stato per le Belle Arti ha messo a disposizione della Sovrintendenza ai monumenti di Siena una somma per l'inizio dei lavori e che sono in corso trattative per l'espropriazione dell'immobile. Noi non possiamo che esprimere il voto che questa iniziativa non si perda per via e che il provvidenziale intervento giunga in tempo a salvare il monumento. Assolutamente precarie infatti sono ormai divenute le condizioni di questo, dopo un così lungo periodo di abbandono e di danneggiamenti dovuti all'opera nefasta degli ultimi Commendatari dell'abbazia, alla trascuranza completa da parte dei proprietari che si succedettero in seguito. È noto che nel 1786 il marchese Francesco Feroni domandò al Granduca Pietro Leopoldo di poter «profanare e demolite l'antico e rovinante convento di S. Galgano» obbligandosi a fabbricare, col materiale ricuperato, la canonica presso la chiesetta di Monte Siepi. L'istanza fu accolta, ma sembra che la demolizione non fosse così facile come a primo aspetto appariva, perchè il degno commendatario abbandonò l'idea, e lasciò al tempo il triste incarico. E il tempo ha lavorato coscienziosamente! Le volte della navata centrale e del transetto sono tutte crollate, e le due superstiti delle navate laterali seguiranno presto la stessa sorte se non si provvederà senza indugio. I tratti di muro rimasti sono minati dalle acque che penetrano fra il pietrame, dal vento, dal gelo, dalle piante parassitarie. Dei trafori degli oculi non ne resta che uno in mediocre stato, ma la parete in cui si trova, minaccia di rovinare. Le arcate dei valichi, non più collegate coi muri perimetrali, strapiombano. Il consolidamento dei ruderi di S. Galgano è un lavoro lungo, difficile, delicatissimo, che va affrontato con mezzi adeguati, e che dovrà essere condotto a termine senza interruzione. Ne va di mezzo non solo la sua buona riuscita, ma un pochino anche il prestigio del Sottosegretario alle belle arti, il quale, con la deliberazione presa, ha dato prova di essersi reso conto che il tempo delle relazioni, delle proposte, delle schermaglie coi proprietari, doveva cedere il posto ad un'azione concreta. Quando la conservazione degli avanzi del tempio sarà assicurata; quando la sala capitolare, il refettorio, la sagrestia, ora ridotte a stalla, a tinaia, a fienili, avranno una destinazione più decorosa; quando i contadini che abitano il convento saranno allogati in locali più adatti, dove le necessità della loro vita rude e la loro inconsapevolezza non risalteranno più con tanto stridente contrasto di fronte alle finezze di un'arte piena di grazia; si sarà compiuta un'opera che otterrà il generale consenso. PEI MONUMENTI D'ABRUZZO. Tutte le pratiche svolte affinchè una piccola parte dei fondi destinati dal Governo ad opere pubbliche per lenire la disoccupazione fosse impiegata per la salvezza di monumenti italiani che deperiscono e si distruggono (delle quali pratiche è stata data qualche notizia nei fascicoli passati) non hanno ancora avuto nessun esito concreto. Ed anzi le ultime disposizioni, invece, del Ministero del Tesoro sono state in tutto contrarie. Circolari sono state diramate agli uffici competenti perchè non solo non affrontino nuove spese che superino l'ordinario stanziamento di questo capitolo, ma siano evitate nuove proposte di lavori che non verrebbero poi prese in considerazione. Purtroppo nei nostri governanti e nelle classi dirigenti è ancor torpida la coscienza vera dell'importanza o del significato dei monumenti e del patrimonio artistico - gloria d'Italia ed elemento essenziale, della sua vita economica. Dall'Abruzzo dimenticato ci viene ora una invocazione appassionata, un vero grido disperato d'allarme, e si unisce alla nostra voce e porta su cari singoli l'attenzione che noi abbiamo cercato di muovere per tutto il grandioso e triste fenomeno generale del decadimento progressivo nelle condizioni dei monumenti italiani. La mancanza di mezzi per i restauri di consolidamento indispensabili pei monumenti rappresenta un triste stato di cose da cui vengono colpiti in modo speciale l'Italia meridionale ed il forte e gentile Abruzzo. Poichè specialmente in questa regione, posta nel centro dell'Italia nostra, più grandemente che in ogni altra è sentito il bisogno di correre ai ripari. Anzitutto perchè essa è tra le più ricche di quelle opere d'arte che vi lasciarono i nostri padri e che dovrebbero essere l'orgoglio di figli non degenerati; quindi perchè nei tempi passati le cure speciali furono rivolte ai maggiori centri dell'arte italiana e l'Abruzzo rimase per molti anni negletto e quasi sconosciuto. Per sua conformazione topografica, l'Abruzzo non restrinse attorno alle sole città i suoi monumenti, segni viventi della sua storia, e li sparse ovunque, su per le valli alpestri, sugli altipiani, negli angoli più remoti rispetto alle grandi vie di comunicazione, sicchè non facile ne fu la sorveglianza e la custodia. A questa circostanza si aggiunsero i terremoti, frequentissimi nella regione, e la esiguità dei mezzi che gli enti locali poterono destinare alla conservazione delle opere migliori. Con i fondi ottenuti in seguito allo spaventoso terremoto del 1915, qualche cosa potè farsi, ma è sempre assai grande quello che rimane da fare. I migliori castelli, come quello di Carsoli, di Avezzano, di Celano, dl Ortucchio, di Popoli, di Pacentro, di Ocre, di Capestrano, di Castel Sant'Angelo di Civitella del Tronto e cento altri, sono ancora ruderi imponenti che si potrebbero salvare, almeno in parte. Chiese millenarie, come S. Liberatore a Maiella, S. Pietro di Albe, S. Martino in S. Martino sulla Maruccina, S. Clemente al Vomano, S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evang, di Celano, S. Spirito di Ocre, Santa Maria delle Grazie di Rosciolo, sono in un totale stato di disfacimento, senza tetti o con le coperture cadenti. L'elenco sarebbe troppo lungo! In Santa Maria delle Grazie di Tocco Casauria in Santa Maria della Neve in Anversa, in S. Dionigi a Borgo Velino, nelle chiese di Cerchio, di Aielli, di Ortucchio di Magliano dei Marsi i tetti crollarono completamente e non si riuscì a ricostruirli. L'acqua ha distrutto ogni cosa; altari, quadri, affreschi stanno in tale stato di deperimento che fa disgusto a vederli. Non parlo di tanti edifici minaccianti rovina per lesioni, per infiltrazioni d'acqua e ghiaccio, nè di quelli in cui volte e tetti ricchissimi per decorazioni minacciano di cadere, come la chiesa di Fossa, quella di Santa Maria in Valverde presso Barisciano, S. Panfilo di Tornimparte, Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino, ognuna pregevolissima per architettura per decorazioni in affresco, per statue e infissi liturgici, per cori e altari in legno intagliati pei cibori e tabernacoli, opere tutte che una volta scomparse noi non sapremo più come sostituire. Sono secoli di storia, di ricchezza, di amore per le cose belle che scompaiono per non più ritornare! Occorre quindi l'opera energica e concorde di quanti sentono il decoro di cittadini, di quanti amano l'arte nazionale e la comprendono come una delle forze poderose per cui l'Italia è grande nel mondo. Giacchè il Ministero della Istruzione ha già pronti i progetti per i restauri più urgenti e per la continuazione dei lavori lasciati interrotti la nostra opera di persuasione sia rivolta tutta al Ministero del Tesoro ed a S. E. il Presidente del Consiglio perchè comprendano la necessità imperiosa di non abbandonare i nostri monumenti alla distruzione. AQUILA. Molte chiese aquilane si trovano ora abbandonate dallo stesso Municipio che ne è proprietario. Lunga sarebbe la lista e qui ci piace accennare anzitutto a due eleganti esemplari del periodo barocco i quali meriterebbero di essere rimessi in onore. La chiesa conventuale degli Agostiniani, le cui origini rimontano al 1282, cadde per terremoto nel 1703 e fu ricostruita su pianta ellittica nello stile allora imperante. Autore ne fu ritenuto il Fuga forse per alcuni coronamenti delle nicchie ispirati al fare di questo artista; ma nulla prova l'attribuzione. Entro vi sono dipinti notevoli; un quadro di G. B. Bedeschini, un dipinto su tela di Pierleone Ghezzi, gli Apostoli Pietro e Paolo di Giov. Paolo Cardone, pittore aquilano, degni certamente di conservazione. Chiusa al culto da vari anni ora è ridotta a magazzino di salumi! La facciata della chiesa di S. Filippo è una nuda muraglia senza architettura, ma l'elegante interno appartiene al periodo barocco più fiorente. È ad una nave con transetto e cappelle di stile seicentesco bene equilibrato, armonioso, fastoso tanto che produce alla vista un senso di grande godimento. Nella seconda cappella di destra si notano affreschi firmati dal napoletano Giacomo Farelli (1624-1706). Va celebrata questa chiesa per la bellezza dell'organo e dei coretti, veri gioielli di decorazione del tempo, intagliati con grande profusione di dorature. Vi è già chi ha messo gli occhi sopra questi coretti per asportarli togliendo dalla chiesa una delle note caratteristiche. Giacchè oramai non si pensa più che quel sacro edificio possa tornare al culto! Esso è tenuto aperto come magazzino del Dazio Consumo ed è ingombro di montagne di casse e di sacchi di ogni genere. Vi è poi in Aquila una chiesa di grande importanza, S. Domenico, edificata da Carlo II d'Angiò nel 1309 con disegni portati dalla Provenza, e poi nel Settecento rivestita internamente di una elegante architettura barocca. Ebbene, questo prezioso monumento, la cui importanza è duplice per le due epoche artistiche le quali si sovrapposero con un'armonia rara, è da lunghi anni adibita a rimessa dei carri d'artiglieria, con poco rispetto del pavimento che si è avvallato e scomposto, degli altari manomessi, delle balaustrate disfatte e spezzate. L'esterno poi, esposto al vandalismo dei monelli, imbrattato di catrame e di calce per consiglio igienico delle autorità sanitarie, offre un aspetto così deplorevole che nessuna parola è sufficiente a darne un'idea. Bel modo di conservare i monumenti hanno le autorità municipali aquilane! Sappiamo che la R. Sovrintendenza ai monumenti del Lazio e degli Abruzzi ha provveduto per evitare nuovi scempi; ma non basta; bisogna obbligare con mezzi più energici gli enti locali ad un maggiore rispetto di tutti i monumenti cittadini che sono tenuti nel massimo abbandono. ROMA. Il bel chiostro di S. Salvatore in Lauro è stato testè restaurato per iniziativa e per cura del Pio Sodalizio dei Piceni, che ne è proprietario; ed il restauro è stato alquanto complesso nei riguardi delle opere di consolidamento necessarie per ridare stabilità alla troppo ardita costruzione. Risulta infatti questa da una sovrapposizione, avvenuta verso la metà del Cinquecento, di una galleria ad arcate rette da sottili pilastri e di una parete massiccia a più piani su di un fragile porticato preesistente, che nel tipo delle arcate, e nella composizione degli eleganti capitelli delle colonnine, richiama alla mente i portici dei palazzi bolognesi della fine del sec. XV o dell'inizio del XVI, e ci riporta all'arte degl'intagliatori lombardi. E questa sovrapposizione, se dà al monumento, tutto fiorito di opere decorative, un carattere di vivace originalità, è tuttavia causa di perturbamenti statici, che il recente restauro ha in gran parte eliminato. Le sale annesse al chiostro, le quali un tempo furono dei monaci veneziani di S. Giorgio in Alga, sono ora in gran parte adibite ad industrie artistiche, quali una fabbrica di ceramiche e la officina di vetrate del Picchiarini; sicchè un centro d'Arte si è felicemente costituito nel monumento ora restaurato, nel quartiere romano del Rinascimento, che ancora attende di esser riportato a condizioni di dignità e di bellezza artistica. ROMA. Nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano sono stati iniziati i lavori, per conto del Fondo del Culto, per il nuovo pavimento della chiesa. E la notizia potrebbe essere per sè lieta se la nuova opera non venisse ancora a pregiudicare la possibilità di un grande restauro che riportasse la chiesa al suo antico piano che è quello dell'attuale sotterraneo e della contigua rotonda di Romulo, quello cioè del Foro romano. Quando si pensi all'importanza somma della chiesa sorta nel Templum sacrae urbis, e del suo musaico absidale, veduto ora troppo da presso sotto un arcate deforme, appare il ripristino suddetto uno dei più interessanti tra quelli che potrebbero compiersi nelle chiese romane. Ma, a dire il vero, sono questi i tempi adatti per pensarvi ? g. g. BOLOGNA. A Bologna, in cui sono tanti studiosi ed artisti altamente benemeriti dei monumenti e delle ricerche e delle provvidenze amorevoli che tendono a riportarli in valore, ancora tuttavia spesso l'arte del restauro s'intende secondo il criterio, ormai oltrepassato, che va sotto il nome del Viollet le Duc: riportare il monumento ad unità stilistica (e tanto meglio è quanto più lo stile è antico); sostituire elementi nuovi "in stile", sia pure in forma non affatto dimostrata o che mai ha esistito. I recenti restauri nelle chiese di S. Stefano, i progetti pel completamento del palazzo del Podestà, sono le più tipiche espressioni attuali di questo concetto, a cui in passato il grande Rubbiani ha dato tutto lo splendore del suo ingegno e del suo senso d'Arte. Ed ecco di questa tendenza un caso modesto. Si è progettato un restauro, in massima felicissimo, del fianco e delle absidi della chiesa di S. Domenico, e si è, in relazione col proposto isolamento, ideato intorno una nuova strada, il Viale Rubbiani. E sulle modalità del progetto non ci fermeremo ora poichè furono ampiamente pubblicate nell' "Arte Cristiana ", 1921, n. 8. Ma in queste opere di liberazione e di restauro si intenderebbe distruggere un piccolo ma significativo elemento, che pur non manca di valore e di carattere; cioè una costruzione del tardo barocco che, appoggiata all'abside, sporge ad indicare, ribassandola, la porta secondaria della chiesa. Questa costruzione settecentesca vivace, nel suo intonaco giallastro, simpatica nella sua forma semplice e svelta e mossa, completa l'armonico insieme, così vario per stili diversi accumulati e accumunati dai secoli con inconsapevole maestria. E, nei riguardi edilizi, essa trovandosi in asse alla via Rolandino, costituisce per questa breve strada, di cui le case dette de'Caracci sono ornamento, fondale di effetto scenografico non trascurabile. Per questo, dunque, il piccolo protiro merita di non essere sacrificato ad un concetto astratto. Ha un carattere, sia pur semplice, d'Arte; ha una funzione non trascurabile nell'Architettura del Monumento e nella edilizia circostante; è un elemento della molteplice e complessa vita artistica svoltasi nei secoli. Non v'è ragione di distruggerlo in nome dell'Arte. a. m. POMPOSA. Il palazzo della Ragione dell'Abbazia di Pomposa, interessantissimo edificio che si eleva sulla piazza di contro alla chiesa e che nel porticato, simile ad un chiostro, della zona basamentale ci indica la date dell'XI secolo, nelle finestre archiacute superiori quella del XIII: è ormai quasi distrutto. Da anni ed anni prolungavasi ed aggravavasi il suo stato fatiscente: disgregate le strutture murarie, inclinati spaventosamente in fuori i muri verso il lato di ponente (l'opposto alla facciata), trascinata in quel senso tutta la fabbrica in strapiombo, mancante ogni collegamento interno. Ed i pareri, i consulti medici non sono mancati, alle semplici e prudenti proposte di chi consigliava di ricostituire la compagine interna ed eseguire robusti muri trasversali nuovi a suddividere l'ambiente e grandi contrafforti sporgenti dalla parete posteriore per sostenere e rendere solidale tutto il fabbricato, si contrapponevano proposte megalomani ed irrealizzabili per far ruotare tutte le pareti e riportarle verticali, ovvero i voti vandalici del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici per la demolizione e la ricostruzione. Ed intanto nulla si è fatto in dieci anni se non poche ed insufficienti puntellature. E così l'edificio, stanco di attendere aiuti, è ora in parte crollato: primo, alla fine dell'anno scorso, è caduto il tetto, poi, nel gennaio di quest'anno, si è rovesciata la parete di ponente, cioè la parete longitudinale posteriore. È rimasta miracolosamente in piedi l'anteriore, cioè la più importante, non solo nei riguardi architettonici, ma anche in quelli edilizi in quanto che mirabilmente si compone con gli altri edifici della piazza. Trattasi ormai soltanto di sostenerla, e senza indugio. Non più potrà il palazzo della Ragione ritornare edificio, ma rimarrà rudero, quasi parete isolata retta da nuovi speroni e da un'armatura di cemento armato, quasi quinta di uno scenario; e il proposito di veder riaperte le arcatelle del portico dovrà definitivamente escludersi..... L'epilogo è triste; ma non sarebbe inutile se persuadesse tutti di una verità elementare, su cui insisteremo instancabili. Tema principale per gli organi che si occupano della cura dei monumenti deve essere dato, ben prima dei brillanti ripristini, dai provvedimenti per la conservazione; e siano questi provvedimenti quanto mai semplici tecnicamente ed artisticamente, non vogliano proporsi compiti artificiosi ed ardui, non indugino nell'attesa di tanti pareri esterni, nella indecisione derivante o dalla incompetenza tecnica di chi spesso è preposto agli Uffici o dalla tendenza burocratica di non assumere responsabilità. ZURI. La costruzione di un grande serbatoio per la sistemazione idraulica del Tirso, il maggior fiume della Sardegna, è venuta a sommergere il villaggio di Zuri ed ha richiesto il doloroso sacrificio della interessante chiesetta di S.Pietro, costruita secondo le sicure testimonianze documentarie ed epigrafiche, nel 1291 «sub tempore judicis Mariani de Arborea» per opera di «magister Anselmus de Cumis». Ed è fatto analogo, sebbene meno importante e grandioso, a quello della scomparsa dei templi di Philae in Egitto per la elevazione della diga di Assuan. Si è dapprima pensato alla ricostruzione del bel prospetto della chiesa e poi se ne è dimesso il pensiero. Ora con una strana trasposizione di interesse artistico, a cui le condizioni tassative dell'opera idraulica danno carattere di opportunità, si è convenuto tra la Direzione delle Belle Arti e la Società delle Imprese idrauliche del Tirso, concessionaria del lavori, che questa darà come compenso una somma cospicua (circa 200.000 lire) da spendersi integralmente per la istituzione del desideratissimo ed utilissimo Museo etnografico di Arte Sarda. I frammenti del prospetto della chiesa di S. Pietro verranno portati a cura della Sovrintendenza ai Monumenti nel Museo di Cagliari ed ivi depositati ed ordinati, nell'attesa che possano venire utilizzati e ricomposti nella facciata di qualche nuova chiesa di Sardegna. E speriamo che quel giorno non sia troppo lontano, e che in luogo di una delle solite chiese dal banale prospetto pseudo-lombardo (la moda stilistica che infesta tutta Italia) ritornino a nuova vita le belle pietre che un lombardo autentico apparecchiò con una felice comprensione dell'ambiente d'Arte. CONCORSI IL PENSIONATO NAZIONALE DI ARCHITETTURA Il Concorso per il Pensionato nazionale di Architettura si è svolto in due prove. Nella prima fu assegnato per tema un Palazzo Comunale in una Città di 100.000 abitanti, ma nessuno dei concorrenti fu giudicato meritevole del premio. Si chiamarono tre architetti, il Sandri, il Miniati e il Cafiero a riconcorrere in una seconda gara, nella quale fu assegnato il tema: «Un Arco di trionfo commemorativo della Vittoria». Da questa gara finale riuscì vincitore il Cafiero. La Rivista pubblica alcuni disegni di tutti e tre gli architetti, in ambedue le prove. Il Cafiero fra tanti motivi faciloni e sciatti ci palesa tuttavia uno slancio e una esuberanza di temperamento, che non possiamo trovare negli altri due troppo accademici e troppo modesti d'idee e di personalità. Siamo ben lontani dai tempi radiosi, quando al pensionato - allora assai importante sotto tutti gli aspetti - concorrevano i migliori giovani, partecipando alla gara con tutto l'entusiasmo, con tutto l'ardore e con tale desiderio di riuscire, da ritentare la prova fino a quattro o cinque volte. Ci si trovava allora davanti a progetti di interesse vero, di alto valore. Si sentiva che quei giovani erano il fiore della classe artistica. La lotta era sempre impegnata tra forze vive, tra forze, che s'indovinava essere quelle che avrebbero poi conquistato la vita e l'ambiente architettonico. Ricordiamo i più lontani: Il primo pensionato, Pier Olinto Armanini, morto tanto giovane, appena s'era formato una sua personalità di artista colto e studiosissimo: il Sabbatini, fiorentino, italicamente raffinato, che ha conquistato uno dei primi posti nella sua città. Ricordiamo la lotta epica tra Cesare Bazzani e Arturo Prati, combattuta sopra un tema simile a quello assegnato quest'anno: un Palazzo Comunale per un Capoluogo di Provincia con 200.000 abitanti, che si risolse alla fine a favore del Paterna Baldizzi. Ilprogetto del Prati, foggiato sopra i motivi dell'Arco Trionfale del Castello Angioino di Napoli, bellissimo per proporzioni, per trovate e per carattere, resterà quale uno dei ricordi più significativi e nobili del Pensionato italiano. Dalla gara seguente, nella quale lottarono con singolare valore il Bazzani, il Coppedè, il Torres, riuscì vittorioso, con un progetto di Cattedrale gotica italiana, altamente pregevole, il primo. Il Torres, che doveva vincere due anni dopo, sul tema: un Palazzo per la Provincia, con un lavoro nobilissimo e geniale, fu sacrificato, ma non per questo il suo concorso sarà dimenticato. Poi venne la volta di G. B. Milani, che, nel tema di una Borsa, ebbe per emulo assai agguerrito il Mancini. Il lavoro armonico ed equilibrato del Milani trionfò, ma il Mancini, due anni dopo, schiacciò tutti con la sua Sede del Pensionato, che rimane finora la sua più bella cosa: fondamento di tutta la sua Arte originale, monumentale e maschia. Poi il Pensionato si trasformò, e le mutazioni lo uccisero. Ne uscirono ancora giovani di indubbio valore, il Baldacci, il Del Debbio, il Moretti, il Fasolo, i quali quanto i primi sono anche essi (il povero Baldacci è morto in guerra) tra le più belle e vive nostre forze, ma la istituzione si rimpicciolì e decadde. Oggi assistiamo alle conseguenze di questo decadimento. Il Pensionato non interessa più. Non v'è più entusiasmo, non v'è partecipazione da parte dei migliori giovani. La prova di quest'anno è sconfortante. Che essa susciti almeno il suggerimento di ridare alla Istituzione la forza e la grandezza di una volta, quando era uno dei pochi nostri orgogli. M. P. NOTIZIE VARIE L'ASSOCIAZIONE «ARCHITETTI E CULTORI» IN NAPOLI La nuova Associazione di "Architetti e Cultori d'Architettura" testè sorta in Napoli, della cui istituzione demmo notizia nel penultimo fascicolo, ha brillantemente iniziato la sua attività con l'interessarsi di varie questioni di edilizia e di monumenti napoletani, tra cui essenziale quella della liberazione e dei restauri del Castelnuovo, e con l'indire un convegno per lo studio di questioni edilizie, che probabilmente avrà luogo nel prossimo settembre. I1 12 marzo u. s. il discorso inaugurale dell'Associazione è stato tenuto, nell'Aula De Sanctis dell'Università di Napoli, dal prof. Giovannoni, presidente onorario del Sodalizio. Affermata la continuità della nostra tradizione architettonica attraverso i tempi e la sua forza d'espansione e di conquista che ancora dura nel mondo e costituisce un fatto di una grandiosità senza pari, il conferenziere ha esaminato, in contrapposto con questa dimostrazione di potenza e di gloria, le condizioni attuali non sempre liete dell'architettura italiana ed ha svolto una serie di considerazioni sulle tendenze stilistiche che ora confusamente vi si manifestano. Ed ha concluso col trarre dall'esame delle cause di questo stato di cose le linee generali di tutto un programma fattivo di elevazione e rinnovamento nella cultura e nell'arte, di difesa dei monumenti e del mirabile patrimonio artistico italiano, di formazione nel pubblico di una vera coscienza architettonica: il programma della nuova Associazione, la quale, seguendo la via della consorella "Associazione del Cultori d'Architettura di Roma", tende a riunire in unico nucleo ed in unico fine le forze architettoniche disperse e vaganti dei vari centri d'Italia. Riferiamo qui appresso alcuni voti emessi dal giovane Sodalizio: Voto al Ministero dell'Istruzione Pubblica perchè dal grande palazzo di Caserta sia tolta la scuola della Regia Guardia e sia restituito all'Arte il capolavoro del Vanvitelli. Voto al Ministero della Pubblica Istruzione per il restauro della tomba di Jacopo Sannazzaro nella chiesa di S. Maria del Parto a Mergellina. Voto al Sindaco di Napoli riguardante la decorazione di qualche Banca, e i prospetti di alcuni nuovi palazzi di Napoli. Voto al Sindaco di Napoli contro la installazione di garitte in legno e baracchette per gli Uffici tramviari accanto a importanti monumenti e nelle più belle piazze di Napoli. LA NUOVA ASSOCIAZIONE AMATORI E CULTORI Dl ARCHITETTURA DELL' EMILIA E DELLE ROMAGNE. Un altro sodalizio, affine negli scopi e nelle modalità statutarie alla vecchia Associazione artistica fra i Cultori d'Architettura di Roma ed alla giovanissima Associazione di Architetti e Cultori testè sorta in Napoli, è stato Istituito in questi giorni nella dotta Bologna, per la conservazione della bellezza antica, per la formazione di quella attuale ed avvenire, nell'Architettura, nell'Edilizia e nelle Arti decorative. La difesa, lo studio, il rilievo dei monumenti, lo studio dell'Arte rustica e dell'Architettura minore, le proposte di edilizia che contemperino con le esigenze dell'ambiente caratteristico le nuovissime tendenze artistiche e tecniche (quasi sempre ignote agli edili ufficiali) nella formazione dei nuovi quartieri cittadini l'elevazione della produzione architettonica nuova mediante le esposizioni ed i concorsi, e della coltura architettonica mediante conferenze, visite, ricerche varie, il riavvicinamento all'Architettura ed agli Architetti delle varie arti e dei vari artisti, e lo sviluppo delle Arti decorative che "abbelliscono fa vita" e che possono divenire il massimo ausilio dell'Arte nelle costruzioni moderne, ecco altrettanti elementi del programma vasto e fecondo che la nuova Associazione si propone, nel puro interesse dell'Arte, al di fuori di ogni sindacalismo professionale. L'adunanza iniziale ha avuto luogo con bella solennità il 21 maggio nell'Aula del Consiglio comunale. Un chiaro discorso del prof. Collamarini, che presiedeva la riunione, ed una relazione ampia e particolareggiata dell'ing. arch. Angiolo Mazzoni hanno spiegato i fini, i criteri, i metodi che la nuova Associazione si propone, e che son stati all'unanimità approvati dall'Assemblea. Si è passato poi a discutere della necessità di una Federazione di arte Emiliana e Romagnola, e, d'accordo coi rappresentanti dell'Associazione "Francesco Francia", con la Sezione bolognese per il paesaggio, del Comitato per Bologna storico-artistica si è in questo senso espresso un ordine del giorno, perchè sia svolto "un programma di ricostruzione e di difesa di ogni forma di attività artistica nella Regione". Notevoli e numerose le adesioni alla iniziativa: tra cui quelle dell'Associazione dei Cultori di Architettura di Roma, con una lettera che è insieme un fervido saluto ed un programma di lavoro basato su di una più che trentenne esperienza; dell'Associazione degli Architetti e Cultori di Napoli; dell'Università di Bologna e della Scuola d'Applicazione per gl'Ingegneri, rappresentate rispettivamente dal professori Supino e Muggia, del Comitato per Bologna storico-artistica, rappresentato dal comm. Guido Zucchini, della Sopraintendenza ai Monumenti per l'Emilia, degli artisti di Faenza rappresentati dal prof. Sella, della Società "Francesco Francia" rappresentata dal prof. Macchi, di Ugo Ojetti, di Corrado Ricci, ecc. ecc. Ed ora all'opera con l'augurio dl un utile lavoro, col proposito di riunire in un solo nucleo tutte le energie italiane nei campi dell'Architettura e dei Monumenti! Ed è invero da augurare che non appena per l'approvazione della nuova legge sull'esercizio delle professioni di Ingegnere e di Architetto e per lo sviluppo delle nuove scuole d'insegnamento architettonico, gli Architetti Italiani abbiano, per così dire, acquistato la foro personalità (ed il giorno sembra ormai prossimo), essi si stringano intorno ad Associazioni affini a queste che ormai fioriscono a Roma, a Napoli, a Bologna ed inizino la loro vita sociale negli alti scopi dello sviluppo dell'Arte, della difesa della bellezza italiana. ILCONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI ARCHITETTI. L'istituzione dei Congressi internazionali d'Architettura, troncata dalla guerra, si avvia ora a riprendere la sua vita. Il Comitato permanente si ricostruisce e riannoda le sue fila nei vari paesi, anche in quelli dei vinti; ed il primo nuovo Congresso avverrà nel prossimo agosto a Bruxelles in occasione del Cinquantenario della Società centrale degli Architetti del Belgio. Verrà anche in tale occasione aperta una esposizione internazionale di Architettura. IL CONGRESSO INTERNAZIONALE PER LE ABITAZIONI ECONOMICHE IN ROMA. Alla fine del prossimo settembre si riunirà in Roma il Congresso internazionale per le abitazioni economiche e per le questioni edilizie. Su questo avvenimento di così grande importanza per gli architetti italiani e sulla esposizione che probabilmente sarà annessa al Congresso daremo prossimamente notizie più ampie e concrete. L'ESPOSIZIONE DELLA CASA IDEALE ED IL VILLAGGIO GIARDINO IN LONDRA. Il1° marzo si è aperta in Londra l'Esposizione della "Casa Ideale", che prima della guerra era una delle più attraenti mostre, colle quali si iniziava generalmente la stagione delle esposizioni londinesi. Quest'anno la mostra, oltre al contenere tutto quello che si riferisce alla costruzione, decorazione, igiene ed ammobigliamento della casa, offre larga parte anche alla cura ed allo sviluppo del giardino, che, nelle case inglesi è parte essenziale dell'abitazione. Una delle particolarità dell'esposizione è il "Villaggio Giardino" riprodotto al naturale con un villaggio, creato, in questi ultimi mesi, per iniziativa di un grande giornale londinese. L'esposizione è stata inaugurata dal Maresc. Haig. Durante il periodo in cui l'esposizione rimarrà aperta, avrà luogo, nei locali dell'Olympia, il Congresso Internazionale delle «Città Giardino» e, nello stesso tempo, numerose conferenze tenute da tecnici illustreranno la questione della scarsità delle abitazioni nel periodo presente, proponendo i necessari rimedi. Sopratutto sarà discussa la politica edilizia del governo e delle grandi città inglesi, con speciale riferimento alla città di Londra, dove il bisogno dl nuove abitazioni è grandissimo e improrogabile. Si nota che fin dal giugno del 1919, il London County Council aveva ritenuto essere necessario la costruzione di 29.000 case per diminuire l'affollamento nelle abitazioni esistenti e per facilitare la sistemazione delle numerose famiglie, che si sono formate durante il periodo della guerra. Invece, fino alla data presente, soltanto 3,774 case sono state costruite nell'area metropolitana di Londra, e la deficienza è oggi ancora più sentita di quella che non fosse tre anni fa. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ARTE MEDIEVALE LAUDEDEO TESTI. - Santa Maria della Steccata in Parma. Firenze, Battistelli, 1922. Io vorrei che per quaranta o cinquanta anni ancora non si producessero, nel campo degli studi sui monumenti e della storia architettonica, altro che opere di illustrazione analitica del tipo di questa che ora vede la luce, frutto delle ricerche accurate e metodiche e del sicuro esame del chiaro prof. Testi su di uno degli edifici chiesastici più interessanti e significativi del nostro Rinascimento, qual'è Santa Maria della Steccata di Parma. E di vero finchè altrettanti capisaldi non saranno ben stabiliti sulla concreta e positiva base documentale, ogni brillante lavoro sintetico che tenda a stabilire organismi stilistici, ogni ingegnoso raffronto, che determini aggruppamenti e derivazioni non potranno che aumentare le confusione che ancora avvolge le nostre nozioni sull'Architettura di periodi pur a noi prossimi, quale è ad es. quello della Rinascenza; saranno simili a costruzioni effimere, mancanti di veri fondamenti robusti... Completando, rettificando ed aumentando con notizie inedite i dati già esposti in vario tempo dall'Affò, dal Canali, dal Pelicelli, dal Ronchini e dal Salmi, l'egregio studioso emiliano ci offre ora una minuziosa cronaca rigorosa e definitiva delle lunghe e complesse vicende del mirabile monumento e dei suoi elementi accessori; e, commentando i documenti, ci fornisce cognizioni sicuramente dimostrate e non soltanto induttive. Così, per quanto riguarda il generale organismo costruttivo, risulta ben chiaro, contrariamente all'opinione fin qui generalmente accolta, che Gian Francesco Zaccagni può dirsene il vero architetto, che ne esegui il primo disegno e che ne ebbe la direzione fino al 1526, quando già, elevato l'edificio all'altezza dell'imposta delle volte ed in parte anche eseguite le volte stesse, lo schema generale del tempio era ormai fissato. Il padre, Bernardino Zaccagni, ha coadiuvato il figliuolo in tutto questa periodo quinquennale e può dirsi il primo degli esecutori, ma non l'ideatore della fabbrica. Con quella variabilità e quella molteplicità d'energie così caratteristiche delle costruzioni italiane nei secoli dal Trecento a tutto il Cinquecento, anche in questo primo periodo costruttivo, che pur sembra ora così unito all'osservatore, non sono mancati pentimenti e contrasti. Otto cappellette sporgenti dalle esedre, tutta una galleria ad archi al di sopra di una di queste sono state iniziate e poi rimosse dopo lunghe discussioni; ed i timori sulla stabilità, che hanno, tra l'altro, richiesto l'intervento di Antonio da Sangallo, hanno occasionato modificazioni e rinforzi; ed intanto sempre più prendevano il sopravvento le maestranze degli scalpellini (che svolgevano la loro opera decorativa in pietra veronese all'esterno, in pietre di Serravalle e di Canossa all'interno) in modo quasi indipendente, fin dal principio, dallo svolgimento dell'opera muraria; finchè, alla fine dei 1526, licenziati bruscamente i due Zaccagni dalla Confraternita della Steccata, ecco prenderne il posto lo scultore Giovan Francesco d'Agrate, che già ivi lavorava insieme con lo Zucchi fin dal 1523. Tutte le fasi di questa successione di opera, tutte le attribuzioni delle singole parti ai vari artefici principali e secondari ci risultano in modo chiaro e sicuro insieme con la vita stessa della costruzione, che ai snoda avanti ai nostri occhi, quasi giorno per giorno. Ed è, del pari, precisa la determinazione della portata di quello che può dirsi il principale tra i periodi di mutazione e di aggiunta, svoltosi per opera principale dell'architetto Oddi a partire dai 1696; è completa la cognizione storico-artistica delle opere d'arte mobili ed immobili che abbelliscono il tempio (alle quali è principalmente dedicato il Cap. Il): dagli affreschi del Parmigianino, dell'Anselmi, sui disegni di Giulio romano, del Gatti, di Girolamo Mazzola, all'altar maggiore, cui han posto mano l'Oddi, il Fontana, il Ruggeri, il Lottici, ai tanti altri elementi pregevoli dl suppellettile e di decorazione. Numerose fotoincisioni illustrano il testo; ma sarebbe certo stato desiderabile che esse fossero state completate da un preciso rilievo geometrico, non della sola pianta, sua dell'alzato e della sezione verticale. Poichè quella della precisa cognizione grafica, a cui faccia capo la cognizione delle proporzioni d'insieme e dell'organismo strutturale, dovrebbe pei monumenti essere elemento essenziale e sistematico di studio, così come lo sono la determinazione minuta delle varie vicende storiche e io studio analitico per associare, per così dire, a tali vicende, i singoli elementi superstiti o scomparsi, di un monumento; determinazione e studio che appaiono ora così completi e definitivi nell'attuale lavoro sul tempio della Steccata. È dunque tale lavoro una "scheda" ben sicura, a cui altre man mano occorrerà aggiungere su edifici dello stesso tempo e della stessa classe. E ne risulterà allora alfine lumeggiato un gran problema architettonico, a cui il Testi ora sobriamente accenna: il problema della formazione e della diffusione del tipo bramantesco di chiese a pianta centrale, cioè del tipo che ebbe S. Pietro in Vaticano per suo tema eccelso. G. GIOVANNONI ARTE DEL RINASCIMENTO E MODERNA HANDBUCH DER KUNSTWISSENSCHAFT. - Baukunst des 17 u. 18 Jahrhunderts in den Romanischen Ländern, a cura di A. E. Brinkmann; italienische Plastik des Quattrocento a cura di P. Schubring. Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion. Berlin, Neubabelsberg, 1921. Poderosa e ponderosa raccolta di volumi questo Handbuch des Kunstwissenschaft notate bene e non Kunstgeschichte. Non c'è dubbio che il grande programma sia seducente e che, com'è uso in Germania, sia ben diviso nelle parti, ognuna delle quali affidata a studiosi di valore. La veste tipografica è singolarmente curata, il materiale illustrativo è ricco e nitido, la bibliografia accuratissima e vasta. Nel primo dei due volumi che ci sono giunti l'autore ha concepito il suo argomento sotto due punti di vista: ha cioè considerato da un lato il senso architettonico dello spazio e dall'altro il senso plastico delle masse costruttive. Ciò rende la sua trattazione spesso astrusa e involuta poichè, se è giusto concepire un'opera di critica e di storia dell'arte secondo uno schema critico predisposto, non è giusto piegare, come egli fa, ogni analisi a quello schema e creare una terminologia complicata, a tutto scapito della chiarezza e stringatezza dell'esposizione. In questo sforzo terminologico egli è aiutato dal carattere stesso della lingua tedesca che permette a chiunque di comporre parole sesquipedali di elastico significato. Ciò accentua il difetto fondamentale del libro e lo porta spesso in certe sfere metafisiche della critica in cui la respirazione è difficile. Premesse queste considerazioni conviene riconoscere il coraggio e la preparazione con cui il B. ha trattato il vastissimo tema. Premesse alcune massime generali sul suo modo d'intendere l'architettura barocca in Italia e in Francia l'A. passa ad una trattazione cronologica del tema. Per l'Italia divide la materia in sei parti: l'architettura dei palazzi e delle chiese nel barocco primitivo, nel barocco maturo (Hochbarock) e nell'età tarda è trattata nelle prime tre parti; l'architettura dei conventi e degli edifici pubblici (ospedali, mercati, teatri, arene, ecc.), quella delle città e delle ville, castelli e giardini, nelle seconde tre. Per la Francia, dopo aver notato l'influenza preponderante che vi ebbe Il Barocco Italiano, passa a dividere la materia in tre periodi, quello Classico, quello Rococò e quello del neo-Classicismo; poi continua, come per l'italia, a trattare dell'architettura pubblica e privata nelle città e nelle campagne. Le numerose notizie che l'A. dà non sono sempre esatte e le conclusioni non sempre convincenti. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la materia trattata è in gran parte vergine di quel lavoro di revisione dei monumenti e dei documenti che è gli stato fatto per le epoche precedenti. Ma il valore di questo libro è certamente quello di un primo coscienzioso tentativo di affrontare l'argomento, di iniziare appunto quel lavoro dl revisione e di intavolare una larga discussione. Per questo merito e per il larghissimo materiale illustrativo è consigliabile agli studiosi ed agli architetti. Con più facilità e quindi con minori difetti ha compilato il suo volume lo Schubring. Egli ha dato un'importanza maggiore alla scultura fiorentina ed ha trattato in sette del quattordici capitoli tutto il resto, da Siena a Bologna e Ferrara, da Padova a Verona e alla Lombardia, da Venezia a Roma ed a Napoli. Lo Schubring è un ben noto studioso dell'arte Italiana che conosce con appassionato amore. Anche in questo volume, fedele alla tendenza storica più che a quella estetica nella valutazione delle opere d'arte, il ricchissimo materiale illustrativo e la diffusa bibliografia sono pregi notevoli. Indici preziosi completano entrambi i volumi. Torneremo a parlare dell'opera quando le altre parti ci saranno inviate. ARTE CONTEMPORANEA MARANGONI G. e VAMBIANCHI C. - La Scala. Studi e ricerche. Notizie storiche e statistiche. Bergamo, I. I. d'Arti Grafiche, 1922. V.FERRARI e C. ALBERTINI. - il teatro alla Scala nella vita e nell'arte dalle origini a oggi. Il Rinnovamento. Milano, Tamburini, 1922. Segnaliamo ai lettori della nostra Rivista queste due pubblicazioni recenti, particolarmente interessanti per chi si occupi dl architettura dei teatri e di scenografia. La storia del massimo teatro milanese vi è trattata con ampiezza di notizie e con ricco materiale lllustrativo. Specialmente il volume edito dalle Arti Grafiche di bergamo con la consueta cura ha molte notizie interessanti sull'architetto Piermarini e sui vari scenografi che dai Galliari al Ferrario si succedettero nell'allestimento degli spettacoli. Guido Marangoni, dopo aver parlato degli antenati della Scala, I teatri ducali di Milano, abbozza un confronto fra la Scala e i maggiori teatri del mondo: poi parla lungamente del Piermarini e degli scenografi, del musicisti e dei cantanti, dei coreografi e dei ballerini. Carlo Vambianchi con minuziosa pazienza aggiunge una larga messe di notizie storiche e statistiche. La pubblicazione del Ferrari e dell'Albertini, più modesta di mole, è specialmente interessante là dove parla del rinnovamento recente, riassumendo quanto già l'Albertini pubblicò nel giornale dell'Associazione degli Architetti Italiani. ARCH. ALDO AVATI. - Fantasie di Architettura - Visioni di Architettura. 100 tavole in 2 volumi, con prefazione di Giulio Ferrari. Soc. Ital. di Ediz. Artistiche C. Crudo. Torino, 1921-22. «E' l'architetto pittore, è lo scenografo, è l'ingegno chiaramente italiano al quale mi permetto di raccomandare di guardarsi dal cedere talvolta a seduzioni meno italiane". A queste parole di Giulio Ferrari, scritte nella prefazione, sottoscriviamo pienamente. Le visioni e le fantasie di questo giovane architetto bolognese sono derivate per virtù di razza dall'arte di quei prospettici bolognesi che furono stupendi maestri di scenografia. Senza dubbio l'influenza del Piranesi è forte e vi è vigorosamente sentita insieme con quella degli scenografi romantici del tardo Ottocento. Egli batte la strada segnata da Otto Rieth con tanta bravura e proseguita con talento, più di quello dell'Avati, architettonico, da Giuseppe Mancini. L'abilità del disegnatore, il gusto con cui le masse son poste in luce e in ombra, il brio con cui sono schizzate fanno di questa raccolta di tavole una piacevolissima serie di quadri fantastici. Avremmo preferito che fossero intitolate scenografie piuttosto che architetture: sarebbe stato titolo più chiaro e più giusto. Le tavole sono riprodotte benissimo, con vera perfezione tecnica anche nei contrasti più arrischiati di colore c di tono. R.P. La Casa nel Paesaggio di Capri, EDWIN CERIO (Edizione Alfieri e Lacroix 1922). Questo elegantissimo volume appartiene alla collezione bibliografica caprense: «Le Pagine dell'Isola». L'autore che vive da moltissimi anni in Capri, e che è il fortunato possessore del luogo forse più suggestivo dell'isola affascinante, la «Casa solitaria», ci offre in una visione luminosa di innamorato, non una guida completa. non una descrizione esatta nè una storia del piccolo scoglio mediterraneo, ma alcune pagine profuse di lirica entusiastica, che ci rivelano ed esaltano le bellezze divine della Casa e del Paesaggio caprense. - «Paesaggio di sogno e di leggenda, dice il Celo: terre rlflorenti dl una giovinezza più volte millenaria, allegre di luci e dl calori della più violenta gamma dell'azzurro: isola gioiosa di canti e suoni che serbano ancora il ritmo di cantilene greche e fenicie. «Paesaggio di balze infernali che riflettono il loro orrore nel più placido dei mari; di piani argentati dall'ulivo e prati giulivi d'una flora intensa.... «Paesaggio permeato da memorie, ricordi, tradizioni e superstizioni leggendarie....» L'autore passa rapidamente in rassegna, sempre con alata poesia, le successive immigrazioni di popoli nell'isola incantata, le traccie di tante e tanto varie civiltà, «per la campagna, sulle pendici dei dodici colli che conobbero la grandezza di dodici ville imperiali, oggi ancora una profusione di marmi infranti: dovizia di pentelico, serpentino, porfido, granito egizio e giallo e nero e rosso antico. Poi altri segni ed altre impronte: nel sesto acuto degli archi, nelle finestre bifore il ricordo della bionda barbaria di Goti e Geti, Alani e Messsageti e Normanni. Nei portici e nei viottoli angusti di Capri medievale, negli sbarramenti delle gole rocciose che ci diedero il modello delle mura a secco, l'impronta del terrore che dovettero in. cutere su queste sponde I poeti della pirateria mediterranea -Barbarossa, Bassà, Draguti, Mustafà. Negli ondeggiamenti della palma dattilifera ancora qualche reminiscenza della dominazione saracena". L'autore descrive poi con profonda conoscenza e commnozione la casa di Capri. «Ognuna, egli dice, ha un suo peculiare carattere che risultato dai particolari bisogni, dalla speciale estrinsecazione del gusto dei loro costruttori. Ed ognuna porta l'impronta dell'opera concepita individualmente. Ogni fabbrica ha, nella massa e nel particolare - nel sesto degli archi, nella modanatura delle colonne, nella foggia dei comignoli ognuno differente dall'altro sull'istessa casa - un'impronta di fattura a mano, che è come il marchio della nobiltà e dignità d'ogni fatica umana ingenerata dal genio creativo sposato alla passione dell'artefice. Il carattere della casa di Capri, nel paesaggio di Capri, risulta dalla perfetta rispondenza dell' una all'altro: dalla sana armonia delle linee scaturisce spontanea, dalle fonti della tradizione del popolo sobrio, composto; dalla intima dimentichezza e dalla osservazione e conoscenza degli usi e dei bisogni del popolo stesso che, per la stratificazione culturale della razza, trova in sè stesso gli elementi estetici dell'edilizia e può fare a meno degli insegnamenti formalistici della tecnica artata». Il Cerio parla anche della varietà infinita della flora e del delittuoso disboschimento avvenuto in questi ultimi tempi. Finalmente segnala, con animo addolorato, le prime rovine della nuovissima civiltà. «Con i tentativi di industrializzazione, dell'isola, si sono avute le prime minaccie al carattere del paesaggio e dell'architettura locali..., da mezzo secolo a questa parte sono incominciate le prime deformazioni di quel gusto, si è perduto l'equilibrio tra l'idea e la cosa, interrotta l'armonia tra il mezzo ed il fine, che sono gli elementi della statica vitale d'un popolo e d'una regione. Abbiamo avuto tante, ahimè troppe, deturpazioni dello stile e della maniera architettonica paesana. Abbiamo avuto la mostruosa caricatura della palazzina medievale, a strisce di porfido imitato con la calcina spruzzata di nerofumo - ed i merli copiati con una esattezza esasperante dai più brutti esempi di questo pessimo genere. Il cancello enorme che finge l'entrata ad un parco inesistente, i loggiati con le colonne di ghisa argentata.... tutte le imitazioni leziose di un romanticismo architettonico, superato oramai come è superato tutto il ciarpame della vanità locandiera che ha infestato l'Italia in questo ultimo quarto di secolo». Ma il Cerio non dispera del tutto. Già S. E. l'on. Micheli ordinò tutto un piano di rimboschimento. «Ed una mente ispirata, non necessariamente d'un poeta o d'un artista, ma d'un uomo pratico, forse potrà ancora ricondurre l'attività dei costruttori alle sorgenti vive del gusto locale. La conservazione del carattere, la preservazione del paesaggio di Capri s'impongono oggi più che mai per salvare dalle deturpazioni del cemento armato e della trave di ferro le bellezze di un'isola che ha un patrimonio regionale di architettura del più alto valore materiale e spirituale». Le illustrazioni sono dovute a Carlo Siviero (una tricromia dl un angolo della Certosa, ricchissima di luce smagliante e di colore intenso - due qualità supreme che forse soltanto in Capri riescono ad andare d'accordo) a Enrico Gargiulo, uno degli artisti che con più profondo intuito ha interpretato, col colore e l'atmosfera di Capri, la foggia cdilizia così caratteristica, ed Hans Paule, autore del bel disegno di Anacapri. Finalmente la monografia è arricchita da venti tavole del fantasioso pittore Gennaro Favai che «con una arditezza di tratto ed una insuperata originalità di sintesi ha fissato in magistrali disegni lo stile e la foggia dell'architettura rurale caprese». Così dice il Cerio. A noi questi disegni sembrano, per quanto arditi e sintetici, piuttosto freddi e poveri di vera commozione paesistica, specialmente se li confrontiamo con quelli del Siviero e del Paule e sopratutto con quello serenissimo del Gigante. - Tuttavia il complesso di tutti i disegni e delle fotografie serve efficacemente a far comprendere e giustificare l'inno poetico che il Cerio scioglie all'isola incantata. Türen und Tore (Porte e Portali) di Germania, Austria e Svizzera, raccolti dal Prof, Ludovico Nolte-Biirner, Edito da Juilius Hoffmann (Stuttgart 1921), con prefazione di C. H. Baer. Sono 350 nitidissime illustrazioni fotografiche di porte, portoni (infissi) e portali (in pietra, in cotto, in stucco, in legno), del basso e alto Tirolo, della Svizzera, d'Austria e dl tutti i Paesi della Germania, dal medioevo fino a tutto il secolo scorso. È una varietà infinita di modelli, dai più semplici e pratici, al più sontuosi e monumentali. Il libro è utilissimo non solo per il suo contenuto di erudizione storica, ma ancora e sopratutto perchè fornisce un materiale preziosissimo e vario anche per gli architetti italiani, che possono, con giudizioso discernimento, efficacemente giovarsene. Innen-Dekoration (anno XXXIII, gennaio-febbraio 1922, Alexander Kock, Darmstadt). Volume doppio di 78 pagine di decorazione interna, composto non di articoli lunghi, pesanti, a base di rigida erudizione, ma di una successione di articoletti brevissimi e leggeri, di appunti, di stelloncini. Sono Idee buttate giù alla testa, ed espresse con poche parole: mezza pagina, un quarto di pagina e basta. Grande sfarzo di illustrazioni invece, magnifiche riproduzioni di decorazione e addobbo. Dopo una introduzione al 33' anno di vita della Rivista redatta un poco enfaticamente dal direttore Alessandro Kock, un articoletto di Guglielmo Michel su: arti applicate ed economia mondiale (cenni d'attualità), sprona i tedeschi all'intensificazione della produzione e quindi della esportazione nel campo delle arti industriali, giacchè «la povertà costringe ad una attività febbrile e ci rende di ciò capaci». Il Michel fa insomma un poco di realpolitik.... artistica, senza illustrazioni. Herman Sörgel invece ci dà un vero articolo tecnico, sul: nuovo Casino-Odéon in Monaco di Baviera, decorato dagli architetti Eduard Pfeiffer e Josef Wackerle. In questi ambienti singolarissimi, destinati a Club musicale, con sale per concerti, sale da giuoco, restaurant, ecc., v'è uno spirito indiavolato, un umorismo spumeggiante tra settecentesco e quasi-futurista, che sorprende e mette di buon umore: arte non rappresentativa, ma suggestiva. Poche parole illustrano le originalissime stufe in maiolica di Tritz, Aug. Brenhaus di Colonia: «ad onta dei caloriferi, queste stufe sono sempre in voga, per la vera praticità ed economia». Altro articolo tecnico è quello su «la Casa B a Wannsee presso Berlino, dell'architetto Jean Krämer». Si tratta della modernizzazione di una villa già esistente. La grande halle, con lo scalone, a marmi, legno e stucchi, e l'ingresso imbastito su grandi motivi triangolari e ad angoli acuti, pur risentendo della fatica germana, sono assai signorili e grandiosi. Veramente magnifico è il salone da pranzo. Un altro stelloncino politicoide di Alexander von Gleichen-Russawurm sull' «Arte e prontezza tecnica» ci ammonisce sul valore economico del lusso. «La produzione e la vendita all'estero, dice l'A., di oggetti di lusso sono morali e pratiche: l'esportazione invece delle materie prime è contraria al dettami della morale e dell'economia. Seguono quattro righe dello stesso sull' «Arte di ascoltare,, (non ho compreso la competenza di Innen-dekoration a questo riguardo). Una pagina di Kuno Graf insiste sul noto insegnamento, che occorre progettare dall'interno all'esterno, e non viceversa: «così soltanto saranno felici gli inquilini», ed ha ragione. Anton Schnack ci parla della grande poesia della Camera al crepuscolo; Hugo Gorge ci dice che per riempire la vita non c'è che la bella casa; Maria Weinmann in «Fiori in camera» ci persuade come questi sieno gli ospiti più graditi e come si debbano disporre; I. D. nell' «Arte dell'abitazione e la donna", sostiene che questa è la forza motrice della casa, che dando alla donna una bella casa si può aspirare ad una forma più nobile di vita. «La donna, dice l'A,, è la canna su cui si appoggiano le nostre viti (uva) «. Articoletti leggeri, femminili, intimi, soffusi di pacata poesia domestica. Hans Schiebelhuth fa la storia del letto col baldacchino: «da quando l'uomo era nomade sentiva la necessità di dormire sotto un baldacchino, sia pur fatto di verdura: e poi nelle età classiche e nel medioevo, re e plebei hanno tutti dormito sotto il baldacchino: anche oggi sarebbe comodo e pratico usare il baldacchino». Chi non è di questa opinione, può leggere lo stesso, senza timore di doversi ricredere, questo articolo. Ancora articoletti brevi, pensieri delicati su «Gioia e vita» (intendi, naturalmente, la casa), sul «Bello e pratico «, sul «Gusto e forma». Heinrich Geron poetizza con molto spirito sulla «Camera da pranzo e la cucina,,; ne istituisce le differenze sostanziali. Scioglie un inno all'ordine.... musicale delle cucine antiche. In «Unità e vitalità» Oskar Wlach, sostiene che mentre fino ad oggi s'è cercata l'unità nei mobili di una casa e la varietà nelle pareti (decorazioni, quadri, portiere, tende, ecc.), d'ora in poi si dovrebbe fare il contrario: unità nella decorazione fissa di tutto l'appartamento (stucchi, porte, tende, ecc,) e varietà assoluta nei mobili. Ilconcetto è giustissimo, per i tedeschi specialmente. Noi italiani l'abbiamo sempre più o meno messo in pratica. Ancora Hugo Gorge in «Ambienti di abitazione e suppellettile», consiglia di usare pochi mobili, ma buoni. «La vita deve essere oggi assai semplificata: bisogna muoverci liberamente, in una casa non ingombra». Consiglia gli armadi a muro, pochissime suppellettili. Forse l'autore non sa che gli americani vivono proprio così: essi possono fare lo sgombero di casa con un solo carrettino a mano: due o tre tavoli, due o tre letti e poche sedie. Si possono visitate decine di appartamenti americani, senza trovare un quadro appeso al muro, o un qualunque vasetto di fiori sopra il tavolo o sopra il caminetto. Esagerazioni che immergono la vita nella più gelida aridità. Antonio Jaumann, in «Prontezza», osserva saviamente che è meglio «errori che anemia, meglio buonumore e vivacità che rettezza pedantesca»; e Edwin Redslob in «Volontà di stile e organizzazione degli ambienti», insegna che nel secolo passato si partiva dall'oggetto già posseduto per riempire l'ambiente: oggi invece è la decorazione dell'ambiente che ci deve suggerire la forma e le dimensioni dei vari oggetti. Con «Sogni alla tavola da thè», con chiacchiere e confessioni, termina questo volume denso dl spiritualità leggera e spumeggiante e dl pratica quotidiana. MARCELLO PIACENTINI COMMENTI E POLEMICHE I PINI E LA COOPERATIVA DELLA VOLGARITA'. In Roma, sulla Via Nomentana esistevano ancora, intorno al cosidetto Pozzo di S. Patrizio, una ventina di pini magnifici superstiti della devastazione della sontuosa Villa Patrizi. Ed i pini sono stati abbattuti nel modo più teppistico quasi sotto gli occhi dell'Assessore e della Commissione edilizia, che avevano cercato di porre un veto; sono stati abbattuti per dar luogo ad un immenso casermone, opera orrenda di una delle solite Cooperative parassitarie dei fondi statali, che tutto possono permettersi quando la presenza di non pochi pezzi grossi assicura l'impunità. Ilcaso è davvero tipico di quella incoscienza della bellezza, ed in particolare di quell'odio contro l'albero che è caratteristico di una civiltà arretrata e di una mentalità che nemmeno può dirsi bottegaia. Altrove si spostano le vie per salvare una pianta; da noi sembra naturale distruggere in poche ore una pineta che vive da più di un secolo, e sgombrare il terreno per elevarvi l'enorme ingiuria di un falansterio. E nessuno pensa che la volgarità delle linee del fabbricato «da Cooperativa», uno dei tanti fabbricati che purtroppo rappresentano ora in Roma la normale produzione ed il sistematico deturpamento, poteva invece inaspettatamente e prov-videnzialmente esser nobilitata ed acquistare un aspetto ridente e simpatico, e con esso (il che importa ai cooperatori) un valore economico, dalla presenza delle verdi chiome maestose. Certo per sapersene valere ci volevano alcune piccole cose: un po' di senso d'Arte e di coscienza civile, un po' di studio amoroso e paziente, un po' di competenza architettonica che permettesse soluzioni agile e vive..... PER LA MORALITÀ DEI CONCORSI. Ilbel sistema italiano dei concorsi artistici, ed, in particolare, architettonici, volto a chiamare a contributo tutte le vive energie d'Arte alla soluzione dei problemi più importanti e significativi, ha bisogno per dare buoni frutti di un ambiente di moralità e di giustizia. Quando questo manca ed i criteri personali e gl'interessi particolaristici vi si sovrappongono, quando gli impegni assunti implicitamente col bandire il concorso divengono chiffons de papier, ognuna di queste gare rappresenta un ritorno all'anarchia, e una battaglia perduta per l'Arte. Così è stato la cosa è ormai ben nota attraverso le proteste dei sodalizi artistici d'Italia per il Concorso del Monumento al Fante, pel quale si tenta di assegnare l'incarico ad uno dei concorrenti, giudicato dalla Giuria inadeguato all'alto tema.,... Più piccolo d'importanza, ma forse ancor più scandaloso, è quanto è avvenuto pel Concorso bandito in Torino dalla Società «L'Abitazione italiana» per progetti di un grande e complesso quartiere di villini. Dopo circa un anno i concorrenti che vi hanno creduto ed hanno mandato i loro disegni, si sentono rispondere con tutta disinvoltura che provvedano a ritirarli, perchè il concorso è stato chiuso senza l'assegnazione di premi per cause indipendenti dal buon volere dell'attuale Consiglio d'Amministrazione. E chi volete, se questi sistemi invalgono, che prenda più parte sul serio ai concorsi architettonici? PER I RESTI DEL PONTE SALARIO. Roma ha la disgrazia di aver troppi uffici preposti alla cura delle antichità e poche persone che realmente s'interessino delle medesime. Abbiamo deplorato già in queste colonne le continue manomissioni che subiscono i suoi monumenti. Ora ci si presta l'occasione di rinnovare le acerbe lamentele a proposito del seguente voto, che, emanato dalla solerte Commissione dei rioni in seno all'Associazione dei Cultori è stato unanimemente approvato dall'Assemblea ultima del nostro Sodalizio. «L'Associazione «fa voti perchè vengano salvati i resti del ponte Salario giacenti nella sottostante campagna, tenendo presente che essi rappresentano le uniche vestigia di un ponte bizantino, ed in tale contingenza al augura che vengano ricuperati tutti i frammenti sparsi nelle adiacenze e siano fatte ricerche della lapide con la nota iscrizione metrica dedicatoria che ai ritiene giaccia nel letto del fiume». A chiarimento del voto si può dir questo: Tutta la spalletta del ponte, in solida ferrigna pietra albana, era ancora a posto non solo a tempo del Piranesi (che la riprodusse nell'incisione qui sopra riportata), ma anche in epoca assai più vicina a noi tanto che il Mazzanti (nello studio sulla Scultura ornamentale romana dei bassi tempi pubbl. su L'Arte) poteva offrirne un disegno. E ai vedevano i pilastrelli con le loro eleganti croci greche e i bel plutei intermedi. Poi, non si sa come, la spalletta andò in dissoluzione e i pezzi giacquero nei vicini prati dell'Aniene alla mercè dei carrettieri e dei piccoli costruttori dei dintorni. Però qualche frammento rimane ancora, qualche altro si può ritrovare e noi stimoliamo la locale Sovraintendenza ad occuparsene sul serio e..... in tempo. PER LE SOVRAINTENDENZE AI MONUMENTI. Gli Uffici che un tempo si dicevano, giustamente, di conservazione dei Monumenti, e che alcuni anni or sono mutarono il loro nome in quello di Sovraintendenze, trovansi attualmente, conviene riconoscerlo, in un momento di crisi. Causa essenziale ne è la vergognosa, incredibile insufficienza dei mezzi finanziari disponibili per il loro compito vastissimo, i quali mezzi ora ammontano a cifre forse inferiori a quelle dell'ante-guerra; ma a questa si aggiungono cause secondarie che intervengono a rendere poco efficaci anche quei pochi mezzi, ad intralciare l'opera di sorveglianza che alle Sovraintendenze fa capo, a farvi mancare una vera unità di indirizzo scientifico, tecnico ed amministrativo, ad impaludare nella burocrazia l'attività che tante egregie persone dedicano nella lotta disperata per difendere il grandioso patrimonio di monumenti, cosi ingombrante alla presente miseria spirituale italiana. Rimediare dunque bisogna, ma non secondo il modo della inferma dantesca.... E' da tempo allo studio presso il Sottosegretariato delle Belle Arti un nuovo ordinamento che appunto si riferisce a questi uffici, e non ad essi soltanto, ma a tutti i servizi regionali che riguardano le Antichità e le Belle Arti. E di tale studio appare ora qualche notizia, bastevole per persuaderci dei danni gravissimi, forse irrimediabile, che questa «reformatio in pejus» porterebbe seco. Verrebbero con essa costituite quattro o cinque grandissime Sovraintendenze nei principali centri d'Italia, vere sotto Direzioni generali, le quali si occuperebbero promiscuamente tanto degli scavi di antichità, quanto della cura delle gallerie e degli oggetti d'arte, quanto infine della conservazione e del restauro dei monumenti. Soppresse tutte le Sovraintendenze attuali, esclusi gli uffici speciali come organismi per sè stanti, tutto il sistema di lavoro, di segnalazione, di ricerca farebbe capo a questi gangli amministrativi, in cui, rispetto i poteri governativi, sembrerebbe attuarsi un principio di decentramento. Diciamo meglio - una illusione di decentramento. In pratica le nuove Sovraintendenze non recheranno che un organo di più, un ufficio di trasmissione di carte in più, un complesso di spese inutili «di missione» ben maggiore delle attuali; ed intanto verrà tolta ogni iniziativa ed ogni libertà di azione agli uffici locali, che, nel diretto contatto con le reali esigenze, dovrebbero invece essere ben più che non ora, agili e vivaci nel loro funzionamento. Quando tutto tende a specializzarsi nella scienza, nell'arte, nella tecnica, qui invece ai ritornerà agli uffici generici, in cui verranno a concentrarsi servizi così profondamente diversi come quelli che si riferiranno ai vari rami delle Antichità e delle Belle Arti. Ed a seconda delle attitudini e della competenza del direttore, gli uni prenderanno sviluppo, gli altri si atrofizzeranno. Certo, in ogni caso, ne soffriranno sistematicamente menomazione d'importanza, di dignità, di mezzi. di cure, di competenza, gli uffici che ora si occupano di monumenti. Diuturna e minuziosa si richiede per essi l'assistenza ai lavori di consolidamento e di restauro, continui e diretti i rapporti coi privati e coi pubblici enti, non solo per i provvedimenti relativi alle notifiche di «importante interesse», quanto per le segnalazioni di ciò che tende a mutarsi abusivamente nei monumenti, per l'opera di persuasione, di consiglio, di collaborazione continuamente richiesta, per gli accordi volti a provvedere quei mezzi che l'Amministrazione per le Belle Arti non ha disponibili. Come potrà tutto questo compiersi di lontano, senza un personale interessamento diretto, il quale vivifichi un'attività che non può essere aridamente esecutiva? E poi il porre in minoratico tali Uffici, ed anzi il sopprimerli come organi a sè, il tagliar fuori gli Architetti da vere funzioni direttive, lasciandoli come esecutori, subordinati alle nuove grandi Sovraintendenze generiche, ci allontanerà sempre più da quell'ordinamento che dovrebbe essere il normale, se si volesse porre la competenza ben rispondente direttamente alla funzione. A dirigere servizi di tecnica e di Arte quali sono quelli relativi alla conservazione ed al restauro dei monumenti deve esservi, occorre affermarlo chiaramente, un Architetto. Abbia bensì l'Architetto una preparazione di studi storici, sia coadiuvato dagli ispettori, sia sorretto da organi centrali di consulenza e di revisione, ma non si capovolgano le parti, quasi che le Sovraintendenze ai monumenti fossero essenzialmente centri di studio storici-artistici, e non avessero invece per compiti principalissimi il sostenere edifici cadenti, il mantenerli con semplici e prudenti accorgimenti tecnici, il conciliare col rispetto ai monumenti i temi di architettura e di edilizia nuova. Questi problemi non possono e non debbono essere risolti da dilettanti. Nè vale allegare che in qualche circostanza anche i non Architetti hanno fatto buona prova; poichè, specialmente in Italia, non è raro il caso che la genialità personale riesca a trionfare di ordinamenti assurdi, sicchè può anche aversi ad es. una nave non troppo male comandata da un avvocato, un ospedale abbastanza ben diretto da un agricoltore.... Si lascino dunque le attuali Sovraintendenze ai Monumenti, e piuttosto che assorbirle in altri enti e privarle di ogni individualità e di ogni efficacia, si migliorino davvero. Si renda possibile la carriera al personale che vi è adibito, tra cui ora sono dei veri eroi che lavorano silenziosi per il loro ideale; si coordinino le funzioni, si sgombri l'apparato burocratico; si prepari il vivaio dei nuovi Architetti dando sostanza a quelle Scuole di studio dei monumenti che teoricamente dovrebbero esser istituite presso le nuove Scuole superiori d'Architettura, nelle quali appunto dovrebbe rivivere la preparazione culturale ed artistica dell'Architetto, ora incompleta e depressa, sicchè tutti credono lecito sostituirsi ad esso. E tutto questo si faccia con pazienza e con amore, con giusto senso sperimentale della realtà obbiettiva, al di fuori di ogni preoccupazione relativa alle persone. Non ci balocchiamo coi monumenti italiani. Essi traversano ora - e torneremo ad insistervi instancabilmente - un periodo critico terribile in una Italia incosciente delle sue glorie maggiori; non rendiamone più gravi le condizioni per tentare esperimenti oziosi e dannosi. G.GIOVANNONI. VILLA MATTEI (LA CELIMONTANA). Abbiamo già accennato nel precedente numero alla sorte riserbata a questa mirabile v,illa romana. Ora un decreto stabilisce che la villa debba essere riserbata a pubblico parco ed il fabbricato divenga sede di una istituzione di beneficenza la quale, come ovvio, vi si troverebbe quanto mai a disagio e distruggerebbe la possibilità già da noi accennata di adibire il magnifico edificio a sede del Museo Municipale romano. Su questo argomento siamo lieti di pubblicare le seguenti note dovute alla egregia nostra consocia, la contessa Maria Pasolini. Nelle necessità edilizie di Roma capitale, ville e ricordi di grande interesse storico sono stati distrutti senza che quel sacrificio abbia condotto a ottenere un piano regolatore soddisfacente. In parte molto avrebbe potuto essere salvato per decoro, igiene della città e godimento dei cittadini. Tutte le manomissioni avvenute spesso vengono giustificate come segno di vita rigogliosa, di vita nuova che infrange tutti gli ostacoli per espandersi. Ma per un paese civile la vita nuova consiste nel tener conto di tutti i bisogni, tra i quali sono quelli igienici, poi quelli ideali, artistici, per elevare il livello della vita. Ora una parte di cose distrutte offriva il modo di soddisfare a questi bisogni e nello sciogliere il problema della edilizia nuova queste cose appunto stavano a rappresentare una parte già acquisita intorno a cui svolgere il resto del problema. Non per forza di vita, nè per forza d'intelligenza dunque, ma per mancanza di queste qualità, per insipienza, per scanso di fatica intellettuale, sì veniva alla soluzione più facile, di sfruttare grossolanamente lo spazio esistente - invece di metterlo in valore - in tutto il suo valore. La trasformazione edilizia di Roma presentava un meraviglioso problema da risolvere: Villa Ludovisi e Villa Borghese vicine, formavano un insieme unico, e solo pochi lembi ne sono stati conservati. Di Villa Massimo fuori Porta Nomentana rimangono alcuni viali dati alla circolazione e un piccolo nucleo di giardino annesso all'Accademia tedesca. La storica Villa Albani, mutilata, circondata di case, è ridotta quasi a gran cortile, tra fabbricati soffocanti. L'antica Villa di Montalto di Sisto V non lascia neppure un ricordo di sè, mentre dopo il '70 ancora rimanevano alcune parti, che potevano dare amenità al monotono quartiere tra la stazione e Santa Maria Maggiore. La sistemazione dei terreni fatta anni dopo presso il viale Manzoni, ha assorbito Villa Alfieri, Villa Lancellotti, procedendo coi medesimi criterii. Si accenna soltanto alle ville maggiori: ma quanti altri vantaggi la città avrebbe potuto ritrarre da un concetto direttivo, che avesse studiato il problema nella sua complessità, con la previsione del futuri allargamenti! Per ultimo Via Salaria sta trasformandosi: era l'unica via fuori Porta che poteva conservare il suo caratteristico profilo, col pregio dei fabbricati che lo adornano, colla possibilità di dare al nuovo quartiere, che sta sorgendo al di là del muro a destra, un poco di giardino. Alcune voci autorevoli deplorano gli errori del passato e propongono di provvedere all'avvenire (vedi Nuova Antologia, Piacentini M.). Si rimpiange altresì che alcuni dei migliori monumenti siano nelle mani dei forestieri: dobbiamo riconoscere che sono rimasti così salvati, monumenti vivi e custoditi della nostra arte. Se in Roma molto si è letto coll'intenzione di rispettarla, pure la mancanza di un'idea direttrice superiore ha Irreparabllmente tolto alla città del vantaggi, che avrebbero aggiunto bellezza e comodità. Nel salvare il monumento lo si separava da quanto lo circondava, mentre nell'antica edilizia ogni fabbricato era parte di un insieme: c'era il senso di armonia, di amenità e dignità, che si poteva traaf.ndere in quella moderna con le modific.zionl richieste dalla vita di oggi. Ora, ecco uo. gIoiello d'arte, Villa aLttei (la Cellnsontana) che entra in possesso della città. Sorge in uno dei punti più ricchi di ricordi' antichissime basiliche le atanno vicine; In faccia I maggiori avanzi della grandezza romana. Sorge cosi in mezzo all'antico con tutta la seduzione di con viva a nostro sollievo e diletto. Poaseduta da foreatleri, .ln terreno vincolato dalla passeggiata archeologica, ci giunge quasi intatta. Già sede dl una delle più ricche raccolte di scultura antica, ne conserva un buon numero, ornamento e parte integrante della villa stessa. Notiamo le epigrafi dei vigili, documento che quasi da solo baatò a rivelare l'organiatazlone di quella milizia, e un obelisco egiziano che stava sul Campidoglio, donato dal Comune al fondatore della villa. Ricordo Villa awattei: se il palazzo non ha l'importanza dl quello Plnciano, pure è una bella costruzione, mirabilmente situata che domina la zona delle grandi memorie romane, mentre si affaccia a guardare i ridenti colli lazlali. È conglobata in una unità, che forma villa e giardino con tutti I suoi particolari. L'antico disegno delle parti remote è stato modificato, sostituendovi prati e viali irregolari, spatil adatti ad san pubblico passaggio, che sarà sempre più frequentato a ristoro e salute della cittadinanza. Questi apazll alterati non tolgono valore alla parte centrale, che mantiene il suo carattere di un elaborato giardino all'italiana, con petti dl scoltura dl grande importanza, con tutte le sue dipendenze vicine come a Villa Medici. Le ville maggiori, Borghese e Doria .Psmphili, hanno altro carattere: Villa Medici e Villa Mattel rappresentano un tipo ormai scomparso. Questo ultimo superstite monumento bisogna conservare nella sua Integrità per l'onore di Roma, a insegnamento del poj,olo che si deve educare al senso delle grandi tradizioni dell'arte italiana, alla responsabilità che incombe a noi Italiani di rispettare le fonti a cui oggi quotidianamente attingono i paesi esteri, a cui dobbiamo ritemprarcl nel soddisfare al doveri, alle necessità della vita moderna. MARIA PASOLINI. L'ITALIA E L'ESPOSIZIONE A RIO JANEIRO. L'8 settembre prossimo deve insugurarsl l'Esposizione Internazionale a Rio Janeiro e I' Italia ha accettato di prendervi parte ufficialmente erlgendo un padiglione apposito: pochi giorni or sono il Parlamento votava a questo fine uno stanzlametsto cospicuo di sei milioni ed i lavori s'intraprendevsto sollecitamente. Una Ditta di Torino sta compiendo un vero record ed entro questo mese tutta l'ossatura metallica del padiglione sarà spedita a Genova ed imbarcata a destinazione. Intanto a Torino si stanno studiando i particolari architettonici: ma è ben comprensibile che per quanto meravigliosa l'intensità di lavoro di coloro che sono preposti a questa impresa, soltanto con un miracolo si potrà giungere a dar Il padiglione più o meno mal compiuto alla data preflssa. Si pensi che in meno dl due mesi il padiglione dovrà essere eretto, decorato ed ultimato e che ancora si stanno preparando I progetti. È certo spiacevole che l'italia si sia lasciata sorprendere lmpreparata proprio all' ultimo momento e non puù certo sperarsi gran cosa neppure architettonicamente, data anche l'inesperienzs In simile imprese di esposizione di chi deve cursre la parte artistica del progetto. Nè meno spiacevole è il pensiero che i denari spesi così affrettatamente non diano tutto il risultato che pur ssrebbe da atteodersl da un sacrificio grave del nostro Paese, come quello a cui va Incontro per questa impresa. c. |
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