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MARCELLO PIACENTINI: Influssi d'Arte Italiana nel Nord-America, con 30 illustrazioni |
Nell'articolo intitolato «Il Momento Architettonico all'Estero» comparso nel primo numero di questa Rivista, accennai ad un recente indirizzo architettonico americano di pretta ispirazione italiana, ed accusai il grande interesse che tale argomento poteva avere per noi.
È ora di tornarvi sopra. Sorpassato, nella costruzione domestica, il periodo dell'influenza francese con lo pseudo-stile Luigi XVI (l'influenza francese appare ancora qua e là nelle costruzioni monumentali), calmato un poco - non del tutto - l'amore per l'architettura inglese a mattoni e tettoni acuti, la tendenza più attiva e più generalmente accettata in America è oggi questa ispirazione all'Arte italiana. Prima di ogni tentativo di creazione, gli americani hanno cominciato con lo studiare dal vero questa nostra bella arte dei secoli passati, limitando il proprio campo di studio all'architettura minore, all'architettura cioè non monumentale, ma pratica, rispondente ai bisogni modesti della vita, comuni a tutti gli uomini, e perciò più vicina a noi. Hanno disegnato, con infinito amore, i rilievi di un numero grandissimo di ville e di case paesane, specialmente della Toscana. Hanno fotografato mille angoli di portici, mille fontanelle, ogni portone, ogni finestrella di Val di Pesa, ogni inferriata e ogni tettone sporgente di Val di Chianti: fotografie nitide e grandi di assiemi, disegni a matita di particolari schizzati giù alla brava, con qualche misura e qualche linea di sezione per ricordare la modellatura degli aggetti. Qual senso di respirazione d'aria pura, quanta sanità paesana! Abituati nelle nostre scuole a curvarci sopra i macchinosi rilievi dei monumenti antichi, a stancarci gli occhi sulle aride tavole del Buhlmann, zeppe di sagome intrecciate e di listellini numerati, proviamo una sensazione di grande sollievo e di definitiva liberazione nel vedere questa raccolta ricca delle cose nostre più umili e fresche, e liete nella lieta natura circostante. Questi americani del Nord, come già i tedeschi da vari anni, hanno compreso che non soltanto l'architettura aulica e monumentale dobbiamo noi studiare; hanno compreso che le esigenze edilizie di tutti i giorni ed oggi queste esigenze, vale a dire le abitazioni, assorbono quasi la totalità della attività edilizia si debbono risolvere, come in tutte le epoche del passato, con intenzioni modeste, con materiali locali, con mezzi minimi, con arte popolaresca, facile e spontanea, libera d'ogni presunzione, Questa prosa architettonica, di poco contenuto personale, ma collettiva, anonima, deve risorgere contro gli sterili conati delle foggie architettoniche di questi ultimi decenni spinti verso una bellezza e un mondo che non è, non deve e non può essere quello d'oggi. Con questi intendimenti e con questo materiale di studi s'è formata la nuova scuola americana, che, nata in California paese tanto simile per natura e per clima al nostro s'è poi diffusa in tutti gli Stati Uniti del Nord, nel Texas, nel Colorado, nell'Arizona, nell'Illinois e in tutte le contrade dell'Est. Le poche fotografie che presento possono efficacemente dimostrare il nuovo indirizzo. Guardate quella villetta costruita dall'Architetto Myron Hunt a Santa Barbara in California: non vi rammenta un angolo dei nostri Colli laziali? La chiesina costruita da Thomas Mac Laren nel Colorado, e la villa di Howard Shaw vi fanno pensare alla Toscana, come le semplici casine di George Washington Smith vi fanno pensare al rustico Abruzzo. La villetta elevata da Reginald D. Johnson a Montecito fu certamente sognata in un soggiorno estivo in Capri, così come quelle di Willis Polk a Saratoga e di Edward C. Dean a New-York ci rievocano le dolcezze divine dell'isola incantata. Ammiriamo ancora le opere di Lewis Colt Albro e del Goodhue, il bel palazzetto, più sontuoso questo, ma sempre sano e sobrio, degli architetti Bigelow e Wadsworth in Boston, e quello a Manchester nel Massachusset degli stessi autori. Spesso anche nella distribuzione generale, nel taglio e nel carattere degli ambienti si ritrova la passione per l'arte italiana. Osservate la pianta della palazzina architettata da Willis Polk in S. Francisco, con il cortiletto chiuso dalle due logge e con la scala serrata tra due muri; osservate la villa di James Deering a Miami, con il grande cortile d'onore, i porticati e le logge all'italiana. Altre volte invece, su di una pianta schiettamente americana, come nella villa Ryerson (Lake Forest-Illinois) s'innesta la dolcissima e nuda armonia italica. Passando all'interno, noi troviamo gli stessi caratteri, le stesse ispirazioni. Volte nude, semplicemente intonacate, lunettate sugli zampini fermati da capitelli volanti in pietra grigia, o soffitti piani a travicelli di legno: arazzi grandiosi stesi sulle pareti, fanali alla veneziana in legno dorato, tavoloni bolognesi, ferri battuti senesi. Ecco dunque una grande vittoria della nostra Bellezza antica tra le giovani razze americane, riportata su consuetudini e pregiudizi centennali. Vittoria che ci potrebbe rendere orgogliosi, se non ci facesse anche riflettere con tristezza all'indifferenza con cui noi ci siamo lasciati precedere dagli altri, dai più lontani, in una conquista di valori, di cui noi avremmo dovuto essere sempre i legittimi e i più sapienti detentori. Questo rammarico tuttavia, è bene riconoscerlo, va oggi attenuandosi. Si manifestano anche tra noi segni vigorosi di un provvido ritorno alle più belle manifestazioni delle nostre arti paesane, fino ad oggi sottratte da vieti pregiudizi all'ammirazione e allo studio. Noi stessi stiamo organizzando a questo proposito in tutta la Penisola una raccolta di materiale d'architettura minore, che ci proponiamo poi di esporre in forma organica in questa Rivista. Siamo convinti che nessun altro insegnamento potrebbe essere più efficace nell'avviare le giovani energie verso una concezione architettonica sana, tutta nostra e suscettibile di originali rielaborazioni. M. PIACENTINI. |
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