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NOTIZIARIO |
CRONACA DEI MONUMENTI.
Per la ricostruzione del Duomo di MESSINA, distrutto dal terremoto del 1908, una commissione nominata dai Ministeri della Istruzione e dei Lavori Pubblici è, dopo lunghi studi, giunta alla proposta che la ricostruzione avvenga nelle antiche proporzioni e con le antiche linee, solo escludendo quelle superfetazioni neo-gotiche che deturpavano la facciata. Il tema è nei riguardi statici non di facile soluzione; ma la commissione con alcuni calcoli schematici si è persuasa che opportune provvidenze costruttive possano assicurare all'edificio un grado di stabilità non dissimile da quello che i regolamenti per le costruzioni nelle regioni sismiche richieggono per le comuni fabbriche; non certo con l'adozione delle stesse norme, il che renderebbe impossibile tornare alle dimensioni primitive, ma con applicazioni a schemi più vasti di analoghe ipotesi e di analoghi concetti. In particolare potranno essere conservate le absidi, che hanno mostrato una resistenza grandissima all'azione sismica. Pel braccio principale della chiesa la ricostruzione avverrà adottando strutture in ferro od in cemento armato che formino intelaiatura portante connessa con le linee dell'edificio. Queste armature formeranno, in altre parole, telai trasversali, di cui saranno elementi essenziali pilastri resistenti racchiusi entro le colonne vuote. La soluzione non sarà in tutto gradita ai sostenitori della organicità architettonica, quella organicità architettonica che purtroppo però negli edifici moderni non riesce a passare dalla teoria alla pratica. Ma non sembrerà ingiustificato averla sacrificata in questo caso in cui tutto un popolo reclamava la sua cattedrale "dov'era e com'era". A ROMA da qualche tempo ormai è nella dei monumenti e del ruderi una rilasciatezza che solo può spiegarsi per la deplorevole mancanza di mezzi o di personale in cui la locale Sovraintendenza è lasciata. E l'incuria si manifesta non solo nel deperimento dei monumenti e del ruderi, a cui nessuno più pone mano per dare il "punto a tempo", ma, forse più, nell'assenza di difesa contro le diuturne minaccie multiformi della speculazione e della invadenza del nuovo sviluppo fabbricativo: compito codesto che dovrebbe richiedere un paziente lavoro di segnalazioni in tempo, di notificazioni agli interessati, di rapporti con l'Amministrazione comunale, dapprima nei riguardi del tracciamento edilizio, poi in quelli delle concessioni ai privati. Così intorno alle mura nessuno ha pensato a stabilire una adeguata zona di rispetto ed i casamenti nuovi vi sorgono quasi addosso, come presso la magnifica porta Ostiense e subito fuori della porta San Lorenzo, ove recentemente un altro nuovo casermone è venuto a distruggere uno del quadri più suggestivi, o come tutto intorno alla cinta Vaticana ove quasi più deplorevole della grossolana vastità del falansterio è la vegetazione dei meschini villini pretenziosi che con le loro torrette vorrebbero dar la scalata ai forti baluardi cinquecenteschi. Così il mausoleo di Sant'Elena, la Tor Pignattara, è ornai soffocata da nuove fabbriche bianche che vi si stringono intorno. Così sul Monte Sacro ed intorno al ponte Nomentano urge la minaccia dl una propaggine della città-giardino dell'Aniene. Così la bellezza di Monte Mario, l'integrità della caratteristica serie di cancelli della via Salaria dovranno forse la loro salvezza solo ai disperati sforzi volonterosi delle Associazioni artistiche romane ...... A ROMA sono stati iniziati i lavori, da tanti anni attraverso tante vicende auspicati, per la liberazione almeno parziale del tempio della Fortuna Virile. Qualche anno fa la liberazione parve definitivamente compromessa dalla costruzione di una grande casa nell'area adiacente al tempio, di proprietà del collegio degli Armeni. La costruzione, prima imsprovvidamente permessa, fu poi arrestata, ed ora, terminate le lunghe pratiche per le espropriazioni, i lavori sono da tempo cominciati a cura della Sovraintendenza ai monumenti, e condurranno all'isolamento del tempio dal lato Sud ed in parte dal lato Est ed al ripristino del suo pronao. È da augurarsi ora che, seguendo i voti e le proposte dell'Associazione fra i cultori d'Architettura, la quale tanto si è adoperata a spronare la pubblica opinione, così torpida in questioni di Arte e di monumenti, ed a studiare dal punto dl vista edilizio ed architettonico il complesso tema, tutto l'antico foro Boario abbia adatta sistemazione il bel tempio ionico ritrovi la sua platea e si ricongiunga agli altri mirabili monumenti della importantissima zona. Altri notevoli restauri si stanno eseguendo in S. Giorgio di VALPOLICELLA, l'interessante chiesa che, pur nella sua povertà, assume tanto valore nella Storia dell'Architettura, e non è improbabile che nello scrostare i muri dall'intonaco qualche nuovo elemento possa. recare nuova luce sui vari quesiti ancora non perfettamente determinati che riguardano le date delle sue sovrapposte fasi della costruzione. A PISA sono stati eseguiti, per opera della Sovraintendenza ai Monumenti, i lavori per la ricomposizione in duomo del monumento dell'imperatore Arrigo VII, l'"alto Arrigo" di Dante. E nella ricomposizione trovano luogo sia l'urna con la statua giacente, opera egregia di Tino da Camaino, che era stata portata nel Camposanto, sia la zona inferiore a mensole ed a ricchi intagli aggiuntavi alla fine del Quattrocento dai maestri carraresi in un primo lavoro di spostamento e di ricostruzione, sia infine la lunetta con un bell'affresco ghirlandaiesco che ancora conservasi in situ e che appartenne allo stesso secondo stadio; l'unico a cui (sia pure con qualche necessario elemento aggiunto senza una dimostrazione sicura) può esser riportata l'opera di restituzione. IL CONCORSO PER IL NUOVO BRACCIO DEL PALAZZO COMUNALE DI PADOVA. Rallegriamoci: ecco finalmente un Concorso bene impostato e ben concluso. Fu bandito nel Novembre del 1919 dal Municipio di Padova, in due gradi "per la compilazione del progetto di un nuovo Corpo di fabbrica del Palazzo Municipale, che dovrà sorgere sull'area prospiciente la Via 8 Febbraio, a sistemazione e coordinamento di tutti i servizi Municipali, per la sistemazione delle vie G. Oberdan, 8 Febbraio e Municipio". Il programma, dopo la esposizione delle modalità generali, diceva in seguito: "Tale nuovo corpo di fabbrica, mentre servirà a risolvere in via definitiva il problema della sistemazione degli Uffici comunali da tempo reclamata, dovrà corrispondere ad una alta finalità patriottica col ricordare nella forma più degna il fatto storico della grande guerra 1915-1918. Il nuovo corpo di fabbrica, mentre dovrà avere una espressione artistica moderna, anche per il significato patriottico che gli viene assegnato, non potrà mancare però di coordinarsi con gli altri edifici costituenti l'attuale palazzo Municipale, e cioè tanto con quello che prospetta sulla Piazza delle Erbe, quanto con quello verso via G. Oberdan, in modo che le vecchie e le nuove costruzioni risultino anche negli aspetti estetici parti di un tutto unico ed in armonia con l'ambiente esterno. La costruzione del nuovo corpo dl fabbrica e le trasformazioni di quelle parti della attuale costruzione (rese possibili per difetto di pregio artistico e storico) debbono tendere a dare al Palazzo Municipale: a)un cortile ampio e corrispondente alla importanza ed al carattere dell'edificio; b)almeno quindici nuovi locali da assegnarsi agli uffici ed ai servizi in aggiunta a quelli esistenti ed oltre a tutti quelli che dovranno essere sostituiti a quelli che venissero soppressi con la riforma alle parti di fabbricato attuale e che dovranno essere coordinati agli Uffici esistenti in modo che la distribuzione ne risulti non solo avvantaggiata per ampiezza, ma anche nella pratica del servizio; c)una sala ed una antisala alla Divisione I per i matrimoni, più comodi locali di accesso e di sosta per il pubblico agli Uffici di Anagrafe, elettorale e di Stato Civile; d)locali ampi per l'archivio, utilizzando in proposito nel miglior modo l'ala antica del fabbricato sulla via Giuseppe Oberdan sapendo conciliare le necessità interne con il ripristino della facciata esterna; e)una scala principale diretta alla residenza del Sindaco, della Giunta e del Consiglio oltre che alla Segreteria Generale lasciando il compito del servizio ordinario generale ad altre scale situate con giusto criterio di praticità ed economia; f)tali accessi dall'esterno che facilitino l'economia del personale di servizio e la migliore utilizzazione dei vestiboli e dei magazzini ricavati al piano terreno (tra i locali di servizio a piano terreno dovranno essere compresi un garage per tre autoveicoli e un deposito per custodia di 120 biciclette). Per corrispondere all'alta finalità patriottica di ricordare nella forma più degna il grande fatto storico della guerra 1915-1918 è lasciata libertà di concezione al concorrente. Solo si esprime il desiderio che si tragga partito dal concetto architettonico e decorativo esterno per creare il simbolo della guerra vittoriosa, con particolare riguardo alla cooperazione di Padova, che fu sede del Comando Supremo nei momenti più epici della guerra, che vide nel suo territorio la resa completa del nemico con la firma dell'armistizio e che ha dato per essa largo contributo di sangue. I progetti saranno sottoposti all'esame di apposita Commissione giudicatrice la quale sceglierà quei progetti i cui autori saranno meritevoli di essere chiamati a prendere parte al concorso di secondo grado e definitivo. Saranno prescelti per il concorso di secondo grado quei progetti che avranno meglio contemperato con la massima economia della spesa, commisurata alla importanza della città ed in armonia con gli edifici contermini, le esigenze della viabilità, quelle dell'estetica, quelle del rispetto agli antichi edifici verso Piazza delle Erbe e verso via G. Oberdan, quelle degli Uffici Comunali e quelle finalità patriottiche a cui dovrà ispirarsi l'opera. Ai progetti prescelti nel concorso di primo grado, i quali non potranno essere in numero minore di tre, nè maggiore di cinque, verrà corrisposta la somma di L. 15.000 da suddividersi in parti uguali e da liquidarsi subito dopo il giudizio della Commissione. Per il concorso di secondo grado l'Amministrazione comunale si riserva di comunicare agli interessati il programma definitivo: fin da ora però fa noto che al vincitore verrà corrisposto un ulteriore premio di L. 25.000 ed al progetto più prossimo in ordine di merito un ulteriore premio di L. 10.000. Entrambi i progetti rimarranno proprietà del Comune. All'autore del progetto prescelto per la esecuzione sarà riservata la direzione artistica in collaborazione con la direzione tecnica dell'Ufficio competente comunale e sempre quando per titoli professionali e per opere eseguite ne dia serio affidamento. Per tale collaborazione verrà corrisposta una percentuale pari all'uno e mezzo per cento sul conto consuntivo dell'opera, e alle condizioni e modalità di apposita convenzione da stipularsi fra il progettista e l'Amministrazione comunale. Quando per qualsiasi ragione il progetto non venisse attuato, o il progettista non potesse prestare l'opera sua, non potranno essere accampati diritti di sorta". Bando onesto, chiaro, e, cosa assai rara, riguardoso per la dignità degli artisti concorrenti. L'assegnazione della direzione artistica al vincitore del concorso attesta la conoscenza e la coscienza d'arte di chi ha voluto il Concorso. La Commissione giudicatrice fu così composta: Ing. Vittorio Tognetti, Arch. Guido Cirilli, Ing. Tullio Paoletti, Arch. Adolfo Coppedè, Ing. Giuseppe Indri. Nel primo grado del Concorso vennero scelti per la seconda prova i progetti contrassegnati dai motti: Fidentes, Giocondo, Patavino. Tra i vari concorrenti si palesava pienamente degno di concorrere al secondo grado l'Arch. Armando Titta, con un progetto serio, equilibrato, perfettamente ambientato. Non si comprende perchè la Commissione, che poteva invitare fino a 5 concorrenti alla nuova gara, non abbia creduto richiamare pure il Titta. Stralciamo dalla Relazione del Concorso di secondo grado, stesa dall'Ing. Indri, quanto si riferisce al voto definitivo, e all'esame critico dei tre progetti premiati. VOTO: 1. - È da darsi la preferenza per l'esecuzione e quindi da assegnarsi il 1° Premio stabilito dal bando di Concorso al progetto distinto col motto Fidentes dell'Architetto Romeo Moretti e Ing. Gio. Batta Scarpari. 2. - È da assegnarsi il 2° Premio stabilito dal bando di Concorso al progetto distinto col motto Giocondo dell'Ingegnere Vincenzo Fasolo. 3. - È opportuno, a documentazione e memoria dell'importante concorso, che il Comune conservi nei suoi atti anche il progetto distinto col motto Patavino dell'Ing. Max Ongaro, assegnando all'autore un equo compenso, commisurato al 3° Premio del Concorso. Ciò esposto si passa ad esaminare ogni singolo progetto. FIDENTES L'assieme planimetrico e la pianta. Anche nel giudizio di 1° grado la Commissione aveva avute parole di lode per il progetto relativamente allo studio delle piante e della distribuzione dei servizi, eseguito con perizia di pratico e gusto di artista, inteso questo ad ottenere effetti prospettici notevoli anche di ben studiate disposizioni planimetriche. Richiamava poi l'attenzione dell'autore, nei riguardi della prova di 2° grado, sulla opportunità che la scala di accesso agli uffici del Sindaco e della Giunta avesse principio al piano terreno. Il lavoro che viene presentato al giudizio definitivo porta alcune varianti al primitivo, fra le quali il raccomandato inizio al piano terreno della scala per gli uffici del Sindaco e della Giunta. Impronta artistica. Già per il concorso di primo grado la Commissione aveva avuto a lodare i concetti architettonici che animavano i beni ideati prospetti. In quello di secondo grado l'impressione non è meno favorevole per il complesso dell'assieme, che, se corretto in qualche dettaglio, sarà veramente opera degna di ammirazione. Lo sbocco dato ai portici dei due fianchi sulla via 8 Febbraio, crea sulla fronte principale due nuovi motivi di testata distinti dalla massa centrale del prospetto principale, che risulta per ciò più ristretto di quanto appariva nel 1° progetto. Di questo nuovo partito guanto riguarda la parte architettonica, si osserva che le due fronti di testata vengono a sminuire quella uniforme severa maestà già giustamente apprezzata nel 1° Concorso, e che la grandiosità troppo rimarchevole delle arcate di sbocco, oltre a non essere proporzionata all'ampiezza dei due portici laterali, crea nell'interno del vano uno squilibrio non vantaggioso ai fini estetici e toglie valore ed importanza all'ingresso principale, che non ha ampiezza maggiore di esse. La diminuita ampiezza dei due sbocchi laterali arrecherebbe pertanto vantaggio al monumento anche dal punto di vista architettonico. Studiando poi il nuovo partito, vedranno i progettisti se non sia anche il caso di Introdurre al piano superiore un motivo diverso dalle bifore ideate. Altra variante al primo progetto è l'abbassamento della torre centrale che risulta così più armonica con l'altezza del fabbricato. Ma la parte terminale, per quanto di minori proporzioni di quella immediatamente sottostante, appare pur sempre eccessiva rispetto alla figura della Vittoria che vi si sovrappone. Venendo all'esame dei due prospetti sui fianchi, la soppressione dell'ultimo piano, che si osserva nel nuovo progetto, è assai encomiabile e la studiata trasformazione già consigliata della testata verso Via 8 Febbraio aggiungerà perfezione a questo prospetto con tanto buon esito ideato. Per quanto riguarda quello sulla Via Oberdan, si conviene nel modo di ripristino della parte medioevale e quando si addivenga, oltre alla più volte indicata trasformazione della testata, alla semplificazione della loggia progettata nel nuovo tratto di collegamento fra questo e la parte medioevale, può ben a ragione considerarsi il non facile problema del trapasso fra l'uno e l'altro stile felicemente risolto. Venendo infine all'esame del cortile d'onore, si approva l'organismo della parte inferiore comprendente il porticato e l'ammezzato posteriormente al prospetto principale e nei due fianchi, ma non altrettanto si può dire per i due piani compresi nella zona sovrapposta, perchè nel carattere stilistico troppo visibilmente si differenziano. La soluzione poi dello scalone di attacco e di comunicazione col cortile Cavalletto è assai apprezzabile, ma, pur riconoscendo la difficoltà nell'immaginare un organismo architettonico esterno che collegasse tale prospetto interno con quello dei due fianchi a diretto contatto, è da desiderare che i progettisti prestino ancora il loro studio sulla soluzione ideata, perchè si faccia meno sentire l'attuale palese distacco. Per riassumere, si può con sicurezza affermare che, per i pregi stilistici generali, per il parco ma elegante movimento delle linee, per i castigati ma geniali motivi decorativi, l'opera d'arte, come ideata dai valenti progettisti, si presenta meritevole di plauso e va solo studiata in alcuni partiti di dettaglio, allo scopo di aggiungervi perfezione. L'estetica generale. Il progetto che si presenta corrisponde sostanzialmente a quei propri criteri di estetica generale con gli edifici contermini esistenti che la Commissione ebbe già a fissare prima di procedere all'esame dei lavori sottopostile a giudizio. Nel progetto in esame, si riscontra quella unità di concetto per cui le nuove masse chiaramente si rivelano appartenenti ad un tutto unico, di guisa che, pure nella espressione di modernità, ben si collegano con la parte cinquecentesca della sede comunale, nè costituiscono certo elemento di contrasto con la fronte medioevale da ripristinarsi, mentre la tranquillità della massa, senza eccessivi movimenti e frazionamenti, armonizza euritmicamente con la severità e la sobria tonalità dei monumenti limitrofi. La significazione del sentimento patriottico. Il monumento con un crescendo eccezionale, ricorda nel bellissimo basamento, e quindi nel modo più visibile, i nomi dei cittadini che caddero per la gloria d'Italia e che costituisce, nella loro semplici elencazione, la parte più suggestiva delle nostre sacre memorie; sopra, in posizione d'onore, è riportato il Bollettino Diaz che preludia l'armistizio di Villa Giusti, e precisa, con rigorosa eloquenza di cifre, le proporzioni dei fattori nazionali e stranieri che contribuirono alla magnifica vittoria: e la Vittoria, apoteosi di tanti eroismi e di così meravigliosi successi, si erge dominatrice nel culmine, quale meta sognata dai martiri e raggiunta dai vincitori, da coloro che fecero rivalicare in disordine le Alpi al baldanzoso esercito invasore. In forma quindi espressiva e sintetica, cui partecipa tutto il prospetto principale esterno, sono resi quei sentimenti di idealità patrie dai quali la Rappresentanza cittadina fu animata nelle sue deliberazioni per il completamento del Palazzo Municipale. GIOCONDO L'assieme planimetrico e le piante. Il giovane autore, che rivela nel suo lavoro fantasia e genialità invero non comuni, sembra aver perseguito l'idealità artistica creatasi nel suo spirito, assoggettandovi lo studio delle piante, in luogo di rivestire queste, ben concretate in precedenza, dei motivi architettonici che l'estro ispira, come avviene di consueto. Ne risultò un insieme planimetrico che è inteso ad ottenere mirabili effetti di prospettiva con arditi movimenti delle masse, più che essere adatto ai tipo di costruzione cui deve servire. Così l'avere progettato nel corpo principale, su Via 8 Febbraio, il portico a giorno, dà modo di vedere dalla stessa Via sia l'interno del cortile colle due importanti scale laterali a giorno, sia la grande scala centrale di accesso al cortile del Cavalletto. Inoltre la costruzione della torre sovrastante alla Loggetta, destinata a ricordare i fasti della guerra, consente che possa essere visibile un fianco del nuovo fabbricato principale, prominente oltre l'allineamento della loggetta stessa. In Via poi del Municipio l'apertura esistente fra l'estremità della scala a giorno e la parte posteriore dell'edificio principale, nonchè l'altezza limitata della prima rampa dalla scala medesima, dà maniera che dalla strada si possa avere la visione completa di tutti i tre lati del cortile. Crea infine vaghezze prospettiche, oltre a comodità di comunicazioni, l'aver tenuto aperto il lato destro del cortile del Cavalletto, che ne risulta a sua volta più mosso e più aperto. Ma per raggiungere questi effetti prospettici, veramente ben riusciti, l'autore ha abbandonato larghi tratti di superficie utilizzabile, onde non ne è risultata favorita la distribuzione ed il numero dei locali, che non si potrebbe aumentare anche demolendo il corpo di fabbrica verso Via Oberdan, che il progettista, a differenza degli altri concorrenti, mostra di voler conservare. Ne venne così la necessità di sopraelevare un quarto piano nella zona all'intorno del cortile, in modo che il nuovo fabbricato, in questo e nei vari prospetti interni, compreso anche il tratto di sfondo alla Via del Municipio, vengono riportati all'altezza dl metri 21.50, non compreso l'attico, con una sopra elevazione di m. 3. - sulle vecchie costruzioni da conservarsi. Anche il cortile di onore, in conseguenza della soluzione ideata, risulta troppo limitato nelle sue proporzioni di metri 14 x 19, quando si consideri che deve essere atto a permettere il facile movimento dei veicoli per l'entrata e uscita, e contemporaneamente quello sicuro del pubblico che intendesse usufruire dell'attraente scalone di accesso al cortile pensile del Cavalletto. In conclusione, l'assieme planimetrico determina un effetto scenico di vaghezze e di variati movimenti prospettici, a detrimento però della significazione alquanto severa che deve avere l'edificio e della larga e comoda distribuzione degli ambienti, che deve essere una qualità principale. Impronta artistica. L'autore dimostra indubbiamente qualità di concezione artistica non comuni, le quali ispirano partiti geniali e svariati di architettura e di ornato, distribuiti con generosa profusione. Ma, a parte la considerazione che in tanta abbondanza e varietà di motivi non appare l'idea d'arte che li componga e li fonda in un tratto armonico di stile sia pure personale, si rimane molto perplessi nel giudicare se tale esuberanza di concezioni diverse sia la più adatta per un edificio severo quale è quello di un Municipio, e se invece di ricreare non abbia a confondere ed apparire stridente. Ciascun corpo, preso a sè, potrà soddisfare al gusto di molti, ma, a mo' di esempio, non certo bene si fondono la maestosità esuberante del progetto interno sulla linea del cortile Cavalletto, con la grazia e semplicità alquanto delicata del prospetto principale sulla Via 8 Febbraio, di gusto veneziano. Impronta artistica quindi c'è ed anche esuberante: essa non figura però bene ordinata, nè consona con l'ufficio cui il monumento è destinato. Estetica. L'aspetto frammentario dato alle piante, se raggiunge, come fu già dichiarato, ottimi risultati agli effetti prospettici, non favorisce quella armonica unità della parte esistente del fabbricato municipale con la nuova, che imprimerebbe severa imponenza ricca di significazione, a tutta la massa, e che non è certo avvantaggiata dalla varietà troppo accentuata dei motivi architettonici adottati nei vari prospetti, i quali contrastano in modo troppo appariscente con estetica dell'ambiente intorno. Torna anche qui il caso di ripetere che la parte nuova del complesso edificio ha meriti d'arte invero apprezzabili in sè stessa, così che, come costruzione isolata, sarebbe atta a soddisfare il gusto di molti e la considerazione di tutti messa a contatto con la parte esistente ed a riscontro con i monumenti che la racchiudono, non viene ad imprimere a tutto l'assieme quella euritmia estetica che è pur necessaria per un favorevole giudizio del pubblico. Significazione patriottica. Fu già detto nella relazione sul concorso di primo grado che la significazione patriottica del monumento era resa in modo altamente suggestivo dalla elegante loggetta sull'angolo fra le Vie 8 Febbraio ed Oberdan, come quella che destinava, al culto dei Martiri ed alle sacre memorie di guerra, un ambiente a sè, quasi santamente inviolato. Ma appunto perciò non appare opportuno che la suggestiva loggetta partecipi direttamente al servizio di accesso per il pubblico agli Uffici municipali dimodochè lo spazio che si volesse racchiudere per essere più specialmente destinato ai ricordi patrii, ne risulterebbe eccessivamente ristretto ed angusto. Non è poi da tacersi che se il recinto così appartato imprime quasi un senso di religiosità al sentimento verso i Caduti, esso fa corpo distinto a sè stante, onde, alla significazione patriottica, tutto il resto del monumento ne è perfettamente estraneo. PATAVINO L'assieme planimetrico e le piante. L'assieme del grande edificio, quale si delinea dalle piante, appare sobrio e severo, bene adatto all'uso cui è destinato, senza capricciosi movimenti o frastagliato frazionamento di masse, qualità già rilevate nel progetto di 1° grado, dal quale quello di 2° poco si differenzia nei riguardi della planimetria. Gli ingressi principali si presentano sulla Via 8 Febbraio e in Via del Municipio; da quest'ultimo si accede allo scalone d'onore, conservato dalla struttura precedente, e cioè a rampe sovrapposte, e contemporaneamente alla scala destinata al pubblico ed agli impiegati. Altre due scale sono progettate, l'una a diretto contatto con l'atrio d'ingresso di Via 8 Febbraio, l'altra ricavata presso la torre del Municipio, con ingresso dalla estremità destra del cortile. Vari quindi e ben distribuiti si mostrano gli accessi alle diverse parti. Si nota però che quello dello scalone d'onore, per il tratto a piano terreno, è in comune fra Sindaco, impiegati, pubblico e consiglieri, i quali ultimi, per accedere alla Sala consigliare, devono attraversare gli ambienti destinati esclusivamente al Sindaco; e il pubblico, per accedere allo stesso ambiente, deve attraversare il cortile del Cavalletto, usufruire di una piccola scala, presso a poco nella posizione della attuale, che lo porta al cortile pensile del Cavalletto, e da questo all'attuale ingresso della Sala. Le comunicazioni si mostrano quindi alquanto forzate, ne prive dl incomodità, fra le quali va pure rilevata l'indipendenza, sia planimetricamente che altimetricamente, dello scalone d'onore dal cortile del Cavalletto. Impronta artistica. Nei riguardi dei prospetti esterni, il progettista si differenzia da quelli elaborati nel 1° grado del concorso, ottenendo il vantaggio di dare a quello principale una maggiore organicità, con più accurato studio negli effetti e nella ornamentazione. Però nella Via Municipio, il risalto dato al corpo centrale, nonchè il motivo architettonico dei due piani superiori, che si differenzia da quello adottato per il prospetto principale verso Via 8 Febbraio, non va a vantaggio della fusione delle masse, così che il corpo laterale e quello principale sembrano appartenere a due fabbricati distinti, tanto più che la fiancata, mentre sporge nel secondo, rientra nel primo. Circa al prospetto verso Via Oberdan, mentre nel progetto di 1° grado troppo stridente si accentuava il distacco della parte nuova con quella medioevale, nel progetto attuale si è studiato un motivo che servisse da transazione fra i due differenti stili. La Commissione però avvisa che il risultato non corrisponde al fine, perchè il partito adottato non si mostra spontaneo, non ben legato nè con l'una nè con l'altra delle due facciate da riunire e non corrisponde a quanto, per questo particolare, risulta dalle piante, poichè l'ambiente del 2° piano, ricavato nella loggia in questione dovrebbe di fatto essere illuminato come risulta nelle piante, non come appare nel grafico altimetrico. Nei riguardi dello stesso prospetto, ai nota che il progettista non considera il ripristino della parte di fabbricato al di là della torre, e non prevede quindi la utilizzazione degli ambienti corrispondenti. Circa l'organismo architettonico dei prospetti interni, si riscontra un certo contrasto tra la zona inferiore di carattere moderno e quella superiore che si riporta alle forme tradizionali del 500, onde ne risulta un effetto di pesantezza generale, acuito dallo squilibrio di proporzioni fra i vuoti del portico e le masse murarie interposte, che rende altresì più difettosa la luce, e dal carattere e dalle suddivisioni praticate nelle aperture dell'ammezzato. Estetica. In quanto all'armonia con i fabbricati dell'ambiente esterno, non si ravvisa ragione di contrasto. Sarebbe però stato desiderabile che la nuova costruzione avesse meglio significato, col suo aspetto esteriore, la funzione alla quale è destinata. Significazione patriottica. Le alte idealità patrie e le memorie della vittoriosa guerra combattuta con tanti sacrifici, le quali diedero motivo alle deliberazioni del Consiglio cittadino, sono più studiate che nel progetto di 1° grado, ma sempre di scarso effetto. Così i rostri sulle fiancate non sono sufficientemente significativi per esprimere le vittorie navali, nè il gruppo adagiato sul frontespizio per rendere in modo evidente quelle terrestri; manca poi un posto, studiatamente ricavato, per la elencazione dei morti, la quale come fu detto altrove, rappresenta, nella sua semplicità, la parte più sacra e più intima della memore riconoscenza cittadina verso i fratelli caduti. Tale mancata significazione patriottica rende il progetto non corrispondente ad uno dei due intendimenti fondamentali ai quali il nuovo corpo di fabbrica doveva corrispondere, i quali, come si legge nel bando del concorso, erano che esso fosse atto a risolvere, in via definitiva il problema della sistemazione degli Uffici comunali, e corrispondere ad una alta idealità patriottica, col ricordare, nella forma più degna, il fatto storico della grande guerra 1915-1918. Di questi, che erano i due quesiti fondamentali sottoposti ai concorrenti, il progettista Patavino ne ha lasciato uno senza esauriente soluzione e se ne deve perciò concludere che esso non ha corrisposto completamente alle prescrizioni del bando dl concorso. M. P. NOTIZIARIO D'ARTE MODERNA CONCORSO PER LA SISTEMAZIONE DELLE ADIACENZE DELLA PICCOLA STAZIONE CHE SORGERÀ NEL QUARTIERE DELLA BALDUINA IN ROMA E PER I PROGETTI DI ALCUNI EDIFICI CHE DOVRANNO ELEVARSI IN QUELLA LOCALITÀ. 1. L'Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura in Roma per conto e per incarico del sig. ing. Carlo Pomilio bandisce un pubblico concorso per la sistemazione delle adiacenze della piccola stazione che sorgerà nel quartiere della Balduina e per i progetti di alcuni edifici che dovranno elevarsi in quella località. 2. La disposizione della stazione e degli altri edifici come pure la sistemazione complessiva delle adiacente, non potranno troppo scostarsi da quanto è indicato dall'unita planimetria. 3. Il concorso sarà di due gradi: preliminare e definitivo. Sarà libero a tutti il primo, limitato ai soli prescelti il secondo. 4. Il concorso preliminare comprenderà, oltre lo studio della piazza e delle adiacenze della nuova piccola stazione, anche i progetti degli edifici che sulla suddetta piazza dovranno sorgere e cioè: a) La sala d'aspetto di circa mq. 50 con due sportelli per i biglietti; stanza adiacente per gli impiegati agli sportelli; ufficio del Capo stazione: stanza per gli impiegati d'ufficio suddetto. b) Ufficio di posta, telegrafo e telefono; eventuale sala per il pubblico (di circa mq. 25) in comunicazione con quella d'aspetto della stazione; stanza per gli impiegati dell'ufficio suddetto. c) Caffè ristorante con sala di circa 40 mq. e annessa cucina. d) Tre stanze per i bagagli in partenza, in arrivo, in deposito. Queste stanze saranno in relazione con la sala d'aspetto e con i binari. Al piano superiore vi sarà l'abitazione del Capo Stazione, composta di 4 camere, cucina e bagno. In un locale a parte saranno disposti i cessi. Lungo i binari sarà collocata una tettoia per magazzino merci (di circa mq. 150). La Chiesa avente una area utile di circa mq. 200. Annessi alla chiesa: la sacrestia di circa mq. 25, due stanze d'ufficio per il parroco e due locali di riunione; quindi la abitazione del parroco composta di quattro camere, cucina e bagno. Edifici di abitazione di altezza non superiore ai tre piani compreso il terreno (è ammessa qualche parziale sopraelevazione). Al piano terreno conterranno magazzini e negozi; al piani superiori, appartamenti di abitazione, ed eventualmente anche d'ufficio, comprendenti in media 5 camere e cucina ciascuno. In uno di detti edifici troverà posto un circolo di riunione, con una sala di circa 70 mq, e tre ambienti minori. I progetti dovranno essere ispirati alla massima semplicità di linee e di organismi architettonici ed al criterio economico di costruzioni che dovranno elevarsi per scopi pratici e concreti. 5. I disegni da presentarsi al concorso preliminare saranno: a) una planimetria generale nella scala di 1 : 200, e le piante dei piani superiori dei fabbricati nella stessa scala; b) tre prospetti per la stazione, nella scala di 1 : 100: un prospetto per la chiesa; c) tre prospettive della piazza. 6. Non saranno accettati quei grafici che risultassero in più dei prescritti e quelli che fossero eseguiti in scala differente da quella richiesta. Si farà solo eccezione per una prospettiva generale d'insieme che i concorrenti saranno lasciati liberi di presentare. 7. I disegni di cui al precedente N. 5 dovranno essere consegnati all'Associazione artistica fra i Cultori di Architettura non più tardi delle ore 20 del 15 Giugno 1922 dove un apposito incaricato ne rilascierà regolare ricevuta. 8. I disegni porteranno un motto ed in busta chiusa, contrassegnata con lo stesso motto, sarà indicato il nome, la paternità e la residenza del concorrente. 9. In altra busta contenente all'esterno l'indicazione "Nomina dei Commissari" potranno esser fatte dai concorrenti le designazioni dei commissari di cui al N. 11. 10. Dei progetti presentati al concorso sarà fatta una pubblica esposizione dalla durata non inferiore al giorni otto; e dopo il responso della Commissione giudicatrice, tutti i progetti suddetti rimarranno esposti al pubblico per altri otto giorni almeno. 11. La Commissione giudicatrice sarà composta di cinque membri. Di questi uno sarà nominato dal Sig. Ing. Carlo Pomilio; due su designazione dell'Associazione fra i Cultori di Architettura, e due saranno eletti a maggioranza di voti fra i nomi liberamente proposti dai concorrenti, come al precedente N. 9. 12. La Commissione giudicatrice: a) farà un primo esame dei progetti presentati prima di ammetterli alla pubblica esposizione, escludendo quelli che non fossero eseguiti nella scala richiesta e che risultassero in numero maggiore di quanto è detto al N. 5; b) curerà la disposizione dei disegni nei locali destinati alla esposizione; c) sceglierà, dopo il primo periodo d'esposizione, quelli fra i concorrenti che dovranno essere ammessi al concorso definitivo; d) redigerà una relazione dalla quale dovrà risultare chiaramente che tutti i progetti furono singolarmente esaminati e giudicati. 13. Fra coloro che saranno ammessi al concorso definitivo sarà divisa in parti uguali la somma di L. 9.000 (novemila), assegnata dall'Ing. Carlo Pomilio a titolo di indennizzo di spese. 14. A cura dell'Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura e della Commissione Giudicatrice, che rimarrà inalterata, saranno fissate le condizioni per il concorso definitivo. Queste condizioni rimarranno in massima simili a quelle qui stabilite, ma potranno essere richiesti ai concorrenti maggiori disegni, redatti in scale diverse e i nuovi progetti potranno anche essere vincolati ad un preventivo di spesa. 15. Per il concorso definitivo saranno assegnati dall'ingegnere Carlo Pomilio due soli premi: il primo di L. 7.000 e il secondo di L. 4.000. Inoltre al vincitore del primo premio sarà riservata la direzione artista dei lavori in caso di esecuzione di essi. 16. Eccettuati i progetti premiati che resteranno di proprietà dell'Ing. Carlo Pomilio, tutti gli altri dovranno essere ritirati entro gli otto giorni successivi alla chiusura dell'esposizione. Trascorso questo tempo l'Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura non si riterrà responsabile della conservazione di essi rispetto ai loro autori. Presso l'Associazione sono visibili le piante generali della località. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ARTE MEDIEVALE. C. CALZECCHI. Il duomo di Bari nella Napoli Nobilissima 1921, fasc. III, IV. VII, VIII. - Partendo da una accurata analisi degli studi precedenti, troppo spesso improntati ad una esotica superficialità ovvero ad un feticismo locale, che hanno sinora avuto per oggetto i mirabili monumenti medioevali di Puglia ed in particolare il duomo di Bari, ma, meglio ancora, basandosi su di una diretta indagine su vari elementi di struttura e di arte, il Calzecchi illustra le vicende dell'importantissimo duomo; escluse le ipotesi del De Rossi, del Bernich, del Carabellese, che nelle costruzioni attuali vorrebbero ancora vedere i resti della chiesa sorta nel XI sec., dibattute le complesse affermazioni del Fantasia, egli giunge alla conclusione che il monumento nelle sue linee attuali è posteriore alla grande distruzione di Bari nel 1156 e che la ricostruzione devesi a Rainaldo, eletto nel 1171. L'aspetto definitivo del tempio dovette esservi impresso più di cento anni dopo dall'arcivescovo Romualdo e trova il suo suggello nella consacrazione avvenuta sotto Carlo II d'Angiò. In questi studi sugli edifici chiesastici pugliesi - si constata una breve digressione - troppo è trascurato dai ricercatori lo studio di un elemento costruttivo che, a parere del sotto scritto, può contenere il germe di importanti determinazioni di tempo e di stile, e può riassumersi nel quesito: Quando è che l'era della copertura a tegole si sostituisce a quella della copertura a grosse e rozze lastre di pietra, alla quale primitiva struttura (più che a influenze stilistiche) devesi la grande inclinazione caratteristica dei frontoni? Ma a parte tale osservazione, è veramente un buon contributo questo del Calzecchi alla conoscenza storica ed artistica di un così grandioso e così poco noto periodo architettonico (pur dopo gli studi dello Schultz e del Bertauz) quale è il romanico pugliese. Sul duomo di Bari dà anche l'A. con diretta competenza notizia dei restauri recentemente compiuti nel monumento, tutto mascherato ancora da stucchi insignificanti del Settecento. L'ultima fase, che ora sta compiendosi, di questi lavori ha condotto alla liberazione del transetto e dell'abside maggiore, al ripristino delle sue arcate cieche nel fianco destro, e si è avviata ad altri bei risultati, che è da augurarsi non siano lasciati a mezzo dalla mancanza di fondi. G. G. W. DE GRÜNEISEN. Les caractéristiques de l'Art Copte - Firenze: Istituto di Edizioni Artistiche Fratelli Alinari, 1922. Il fatto che una Casa Editrice Italiana imprenda la pubblicazione dl una serie di volumi sull'arte orientale non classica, ci sembra così straordinario da meritare tutte le più incondizionate lodi e da venir segnalato con forte sottolineazione alla grande massa degli studiosi e degli artisti. Vi è in Italia, come già ve ne sarete accorti, una penosa lacuna nelle nostre cognizioni storico-artistiche relative al periodo che va dalla fine dell'impero agl'inizî del periodo romanico. Appena i pochi studiosi di archeologia cristiana e l'opera di qualche erudito regionale riescono a colmare qualche tratto, ma queste indagini non si spingono oltre i confini della patria e del resto non sono in grado di trattare comparativamente delle cose di qui in relazione a quelle di fuori. Sfugge perciò la possibilità di controbattete alle grandi teorie straniere sulle origini e sullo svolgimento di talune forme d'arte, altre nostrane che forse sarebbero ben più sensate e quindi più solide. È doveroso che io citi alcune eccezioni: Il Toesca, per esempio, nella sua recente "Storia dell'Arte Italiana" arrivata appena al periodo romanico, ha tratto con più ampio respiro che i predecessori sulle varie influenze che si contendono il campo della nostra arte alto-medievale. Il Monneret de Villard con largo sloggio di sana e profonda erudizione ha aggredito importantissimi temi ponendoci al corrente degli studî che si fanno all'estero. Ma (se è permessa una lieve nota critica) anche questi autori si sono per lo più accontentati delle teorie straniere e nei pochi luoghi in cui han tentato di mettere innanzi la propria, lo han fatto con timidezza così grande che la buona idea è passata quasi nell'inosservanza. Ad ogni modo, sia lode ampia a questi volonterosi (cui aggiungo il Muñoz, troppo presto ritiratosi) e sia nuovamente ringraziata la Casa Editrice Alinari che, pur avendo incominciato con l'opera di uno straniero, si prepara ad accogliere studi di italiani come uno del Monneret sulla chiesa di S. Barbara al Cairo, che speriamo di recensire tra breve. Il De Grüneisen, già favorevolmente noto per i suoi studi su S. Maria Antiqua e su altri argomenti, ci presenta una serie d'interessanti ricerche sull'arte copta, creatasi lungo le rive del Nilo in una popolazione mista che accoglieva i resti delle antiche razze egizie, i rappresentanti della civiltà greca ed anche di altre orientali. Questo curioso amalgama che traduce in strani caratteri greci le parole di una lingua in parte demotica ed in piccola parte ellenica, che pratica il cristianesimo fondendovi quando può le antiche credenze e i simboli egizî, che propende insomma ai più bizzarri sincretismi, dà l'esempio anche di un'arte che al palesa originata da luoghi assai diversi ma unificata e rielaborata dalla sensibilità media dell'agglomerato locale. Conveniamo quindi col De Grüneisen quando premette: 1° Che bisogna ricercare le origini dell'arte copta nell'arte indigena trasformata, a partire dall'epoca tolemaica (332-330), dall'arte ellenistica. 2° Che l'arte industriale indigena, anche prima del Tolomei, ha dovuto subire forti influenze asiatiche, specie persiane (525-332) e più tardi sassanidi e siriache sopratutto pel commercio dei prodotti tessili. 3° Che a partite dall'epoca tolemaica può constatarsi in Egitto l'esistenza parallela dei prodotti d'arte dei grandi maestri ellenistici, della riproduzione industriale di opere minori, dei motivi orientali più in voga. 4° Che ad Alessandria, a partire dal I secolo dell'era volgare l'arte monumentale (cioè la pittura al servizio dell'architettura), divenendo sempre più decorativa, apre la via alle influenze indigene della grande arte orientale arcaica, didattica e decorativa riservando nello stesso tempo all'arte ellenistica vera e propria il quadro portativo e le arti minori, specie la miniatura. La buona premessa dell'autore riesce un po' guasta nelle dimostrazioni e nelle deduzioni. È, per esempio, alquanto pericoloso l'individuare nettamente l'origine orientale, egizia ed ellenica di certi motivi decorativi. Vi sono molti elementi e temi che, come ammette solo in parte anche l'A., rappresentano il fondo artistico comune di tutti i popoli. L'arte copta ne fa grande uso poichè, non bisogna dimenticarlo, è arte essenzialmente popolare. Così pure la mancanza di piani nelle figurazioni, la soppressione del dettaglio, il fondo neutro comune, la prospettiva inversa, le campiture piatte di colore, le proporzioni varianti a seconda dell'importanza dei personaggi, ed altre simili convenzioni sono frutti di una mentalità primitiva e non possono dirsi caratteri esclusivi dell'arte copta. Così pure la fobia degli spazi vuoti, la mancanza di euritmia fra le varie parti della composizione che arrivano tutt'al più a tentare una simmetria molto relativa, l'osservazione vivace di talune scene della vita comune come quelle della caccia e della pesca che dà modo di copiare dal vivo le figure di animali (che più interessano all'artista) mentre la flora si stilizza, la tendenza a raggruppare alcune scene in cicli simbolici o storici, la giusta posizione meccanica di soggetti eterogenei, non sono, ci sembra, peculiarità dell'arte copta o dell'orientale. Invece cominciano i caratteri a specificarsi quando si tratta della spartizione del cielo in zone (terra, firmamento medio, cielo superiore con empireo) che deriva forse dalle concezioni cosmogoniche egizie, quando si parla del Santo cavaliere trionfatore degli spiriti malefici, eco della lotta di Horus contro il terribile Seth Tifon (a non parlare di analoghi miti babilonesi), ovvero quando si marca la predilezione per talune scene bibliche ed evangeliche di colorito locale o quasi (Daniele nella fossa dei Leoni - Sacrificio d'Abramo - Ciclo dl Giona - Ciclo di David - Fuga in Egitto, ecc.). La scena dell'Anastasis col Signore che discende si Limbi, ha indubbie relazioni, come notò già lo Strzygowski, con i racconti egiziani della discesa di Setne e dl Si-Osiris all'Inferno, ma non mi azzarderei, come fa il Grüneisen a paragonare il tipo del Signore a quello del Faraone vincitore Ramses II nel rilievo d'Abu Simbel. Pensandoci bene si vede che quella poca analogia di atteggiamenti è del tutto fortuita. Il tipo dell'Orante al riannoda al comune atteggiamento della preghiera antica e non v'è bisogno di scegliere proprio come precedente la figura del defunto avanti ad Osiris. Così pure il riferirsi per la Vergine lattante alla iconografia buddistica è far mostra di un'erudizione soverchia. Per contro è raccolto di peso dalla pratica egizia il simbolo della vita, l'hankh, trasformatosi nella croce ansata e, forse, nella croce trionfante col medaglione del Salvatore sopra (Mosaico di S. Stefano Rotondo, sfuggito alla diligenza dell'A.). L'arte ellenistica ha dato alla copta parecchie figurazioni. Così David che suona l'arpa ha il suo immediato precedente in Orfeo (o anche in Arione), mentre la scena di Apollo e Dafne passa con significato di trionfo del Cristianesimo sulla religione pagana. Tuttavia non v'è nell'arte copta molta varietà di soggetti. Il ciclo cristologico non vi appare che eccezionalmente e finora non lo si è trovato in alcuno dei numerosi manoscritti anteriori al mille. Il fiorire dell'arte copta, sorta dopo il periodo ellenistico, va dal V al VII secolo. In questo lasso di tempo si compiono le decorazioni di Karmudz presso Alessandria (una parte, giacchè altre, oggi svanite, erano forse del IV secolo), di Deir Abu-Hennis (convento presso Antinoè) di Bauit, di Abutig, di Saqqara, di EI Bagauât, del conventi di S. Simeone presso Assuan, del Convento Bianco e di poche altre parti. Andando innanzi nei secoli quest'arte si spoglia di tutti i principi ellenistici, attributi di una civiltà superiore, e rimane col suo carattere popolare in cui naturalmente prevalgono i temi cari all'anima orientale. Così, offrendo molti elementi all'arte araba del luogo, si mantiene più o meno stabile fino all'XI secolo, quando cioè vien soverchiata dalla civiltà mussulmana non però che un resto di tradizione non si perpetui negli angoli solitari. di qualche cenobio. Vuole il De Grüneisen che l'arte copta abbia influito sulla formazione della barbarica, ma noi pensiamo che quest'ultima, pure accogliendo temi decorativi e iconografie da varie parti, le abbia talmente rielaborate con la sua speciale mentalità da riuscire quasi sempre assai difficile il tentare delle identificazioni. E osiamo dire che quelle portate in campo dall'A. non ci convincono affatto. Uno speciale capitolo dedica il De Grüneisen all'origine del capitello canestro. Comincia con l'osservare che il capitello a paniere di giunchi intrecciati si trova già nell'antichità greca, romana ed orientale. Poi questo capriccio leggiadro della scultura classica di genere va gradualmente stilizzandosi e finisce in una specie di pulvino. I tipi intermedi sono innumerevoli: Si fora a giorno la pietra con abilità peculiare degli ornatisti orientali, si pongono teste di animali ai quattro angoli sotto l'abaco, là dove l'arte antica metteva con vera naturalezza fiori e frutta, si sdoppia il capitello in una zona a foglie superiore e una a canestro inferiore ottenendo talvolta il goffo risultato di far affondare nel canestro fino a mezza altezza le foglie d'acanto e di ridurre il medesimo a un ridicolo anello intrecciato, al piega a ondulazioni il giro del canestro, si riduce alfine lo stesso a una sorta di pulvino tronco-piramidale con decorazione di fogliami e di fiori irriconoscibili, oppure di semplici bucherature. Questi tipi di capitelli si propagano per quasi tutto il bacino dal Mediterraneo e, come suole avvenire, furono abbondantemente imitati dalle maestranze locali. Ma riconosciamo col De Grüneisen che la loro origine è tutta orientale. Non tanto egizia (il fatto di essersi trovati alcuni esemplari in ambienti copti non può giustificare l'ipotesi) ma più verosimilmente siriaca poichè è sintomatico il fatto che molti e fra i migliori si trovino in opera a Gerusalemme (moschea EL Aqsa - chiesa del S. Sepolcro) e in altri luoghi della Palestina e della Siria. A parte i rilievi da noi mossi che si giustificano con un eccessivo amore della tesi assunta, questo volume del Grüneisen racchiude tesori di cognizioni sull'arte orientale e sviscera l'argomento con abilità di provetto studioso. L'evoluzione della popolaresca manifestazione egizio-cristiana vi è tracciata con mano sicura mentre un corredo d'importanti illustrazioni illumina sufficientemente il dotto discorso. Crediamo che per lo studio dell'arte copta questo volume debba considerarsi fondamentale. C. CECCHELLI. A. GIUSSANI. L'abbazia dei SS. Pietro e Calocero in Civate. Estr. dalla "Rivista Archeologica della Provincia e antica Diocesi di Como", fasc. 79-80-81, anni 1919-1920 e l921. Quel gruppo insigne di costruzioni benedettine che s'eleva sui colli della Brianza presso il borgo di Civate e che si dice fondato dagli ultimi sovrani longobardi (senza che però alcun serio documento suffraghi tale antica tradizione) ha fornito al ch.mo ing. Giussani il soggetto di una lucida illustrazione abbellita da mirabili clichés fotografici. La parola "illustrazione" dichiara molto bene il carattere di questa monografia la quale non intende altro che dare una serie di utilissime notizie del monumento in ordinato racconto e rifugge di proposito dal risolvere i molti problemi storici ed artistici che avvolgono l'importante gruppo monastico. "Il voler precisare con esattezza l'età di un monumento architettonico, per cui i documenti sicuri fanno difetto, costituirebbe un atto di vera temerità" dice l'autore, il quale si limita ad assegnare il proprio ad epoca tra l'XI e il XII secolo, in cui possono trovarsi parecchi confronti nella regione lombarda ed altrove. Per quanto concerne la chiesuola triabsidata di S. Benedetto gli sembra che sia più recente del X secolo a cui l'assegnò il Toesca, e nega che sia costruzione battesimale perchè uno scavo eseguito dal locale ispettore dei monumenti, non accertò tracce di vasca. La Basilica di S. Pietro è uno degli esempi di chiese ad absidi opposte rarissime in Italia, frequenti invece nei paesi soggetti alla influenza carolingia. Sulla questione se le due absidi sieno le originarie, il Giussani s'attiene all'opinione affermativa del can. V. Barelli che ebbe ad eseguire importanti assaggi nella chiesa. E questo è per noi di capitale importanza, giacchè conferma quanto intuì il Dott. Diego Sant'Ambrogio: che cioè il S. Pietro debba rannodarsi (sia pure nel suo piccolo) al tipo di chiesa monastica cui pure appartennero il St. Gallen in Svizzera (v. la pianta frammentaria pubblicata dal Lénoir in Architecture monastique, to. I) e il St. Riquier di Centula (v. la riprod. del Petau dal distrutto codice di Hariulf). Del resto tutta la decorazione in pittura, in istucchi, in marmo (ricordo la meravigliosa lotta angelica sopra il triplice arco d'ingresso del pronao, lo stucco della passione di Cristo nella Cripta, i capitelli e gli archivolti in istucco, i plutei nelle transenne del pronao e della scala d'accesso alla cripta) parla eloquentemente delle origini transalpine di quest'arte i cui confronti il Giussani avrebbe potuto trovarli nelle numerose miniature nordiche dal IX all'XI secolo (v. per esempio il partito architettonico dell'Evangeliario di S. Medardo di Soissons che quasi riproduce la fronte interna del pronao), nelle costruzioni monastiche germaniche (insegni la cripta di Quedlingburg coi suoi stucchi, il monastero di Nonnberg con le sue pitture, ed altri molti), nei resti scultorî ed architettonici sparsi in terra franca ed alemanna. Certo l'influsso bizantino non si riscontra in Civate che attraverso la possente rielabozione barbarica. E mentre in un altro esempio di arte carolingia, il tempietto longobardo di Cividale, noi avevamo i primi frutti di questo periodo artistico, in Civate noi ne riscontriamo la tarda manifestazione che può dirsi sulla soglia dell'arte romanica. Le scarse, ma significative notizie della comunità di Civate, riprodotte con cura dall'A., son là per dare una conferma alle nostre illazioni. Forse la più antica e certa notizia di essa appare nei libri della confraternita sveva di S. Gallo, Reichenau (Augia) e Pfäffers (Fabaria), (seconda metà IX secolo), i quali danno i nomi di 25 monaci del cenobio clavatense. Anteriormente si sa soltanto di un trasporto di religiose da Albenga a Civate fatto da Angilberto II arciv. di Milano tra l'824 e l'859. Il Giussani osserva che la piccolezza delle costruzioni monastiche annesse al S. Pietro male fa concepire l'importanza che ebbe questo centro claustrale, dimodochè è più logico ritenere che il centro maggiore fosse nel borgo e, invece, qui sul monte, esistessero gli oratorî dipendenti, il che sarebbe confermato dai resti di una piccola chiesa anteriore trovati sotto il S. Pietro dal nominato Barelli nel 1879-8l. L'attuale chiesa di S. Pietro e fors'anche il S. Benedetto, posti sul monte detto già Pedale, devono dunque, con tutta probabilità la loro fisionomia odierna alla confraternita fabariense la quale aveva sotto di sè anche il S. Abondio di Como. Essi devono ritenersi opera della fine del X o dell'XI secolo, generata da forti influssi dell'arte monastica d'oltralpe. Sarebbe cosa utile estendere le indagini anche alla ricordata chiesa comasca. CARLO CECCHELLI. ARTE DEL RINASCIMENTO DAGOBERT FREY. Michelangelo Studien. Schroll. Wien, 1920. - Siamo in periodo di fioritura di studi michelangioleschi. Dopo l'opera fondamentale del Thode e l'edizione dei disegni del grande maestro curata da Karl Frey, giunge questo interessante volume che può dirsi di episodiche ricerche di carattere architettonico. E di vero la figura di Michelangelo architetto, nelle grandi discontinuità di tempo e di stile nella sua produzione, nella collaborazione di artisti secondari a cui, suo malgrado, ha dovuto ricorrere, richiede ancora di essere ben determinata e lumeggiata se si vuole intendere il significato della vasta impronta che anche nell'Architettura ha impresso il suo genio. Sarebbe tuttavia esagerato dire che un grande passo il recente lavoro del Frey abbia fatto compiere in questo campo. Volendo anticipare la conclusione dell'esame critico, può dirsi che sia in esso di grande importanza tutto l'apparato di dottrina storica ed artistica, ed abbiano notevole elevatezza le considerazioni di estetica e di filosofia storica sparse nella trattazione, ma scarsi o addirittura quasi nulli siano i risultati nei riguardi di nuove nozioni acquisite su Michelangelo e la sua opera architettonica. Dopo una prefazione, che contiene interessanti osservazioni sul metodo nella Storia dell'Architettura, "terreno di confine tra il dilettantismo storico degli architetti e la insufficienza tecnica degli storici d'Arte", il 1° ed il 2° capitolo hanno per oggetto lo studio del cortile del Belvedere e del nicchione che ne occupa il fondo. Un accurato excursus sulle vicende costruttive che vi si riferirono riordina le cognizioni già note e cerca acutamente di assegnare una data ai disegni, attribuiti al Coner, che riproducono questa parte del Vaticano; ed è preceduto da una ingegnosa ipotesi, fondata tuttavia molto debolmente su di un cenno del Vasari e su alcuni dati relativi alla costruzione della scalea, per la quale verrebbe attribuita a Michelangelo l'idea del nicchione come ora lo vediamo, con cui è stata completata l'esedra bramantesca (ispirata probabilmente al tempio della Fortuna prenestina) fatta forse per essere ad un piano solo, certo per essere aperta a guisa di teatro antico. Pirro Ligorio non sarebbe stato che l'esecutore sotto Giulio III e sotto Pio IV di questa grandiosa concezione michelangiolesca, che però è ben lungi dal rappresentare un dato sicuramente acquisito. Un altro capitolo riguarda l'opera di Michelangelo per S. Giovanni dei Fiorentini. Documento grafico essenziale l'A. trova nel disegno del Maestro pubblicato da Karl Frey al N. 296 (già del resto ben noto e discusso) che da molti finora, ad es. dal Geymüller e dal Burger, era stato ritenuto progetto architettonico per una tomba in mezzo ad una rotonda, forse la tomba di Giulio II, ovvero anche per un catafalco od un rogo. Per dare una spiegazione della costruzione collocata in quel disegno nel mezzo dell'edificio e per definirla una specie di cripta sotterranea, invero poco probabile in una regione adiacente al fiume, il Frey porta in campo il grave errore di una vecchia attribuzione, che occorre rettificare. I disegni di Antonio da Sangallo il giovane nella coll. degli Uffizi, contrassegnati dal N.551, 865, 866, sono da lui ritenuti, seguendo il catalogo e l'opinione dei Geymüller, come progetti per S. Giovanni dei Fiorentini. Lo sono invece, e mi sarà facile dimostrarlo tra breve, per quella chiesa di S. Tolomeo in Nepi che è stata una delle maggiori e più geniali iniziative architettoniche di Paolo III e del Sangallo, rimasta purtroppo appena all'inizio. Ed in questo inizio c'è difatti completamente eseguito quel santuario sotterraneo che risponde al vecchio schema della Confessione, e che in Nepi è pienamente giustificato, come lo sarebbe poco in S. Giovanni dei Fiorentini. Posto da parte questo dato, tutta la trattazione si sbanda, specialmente quando il Frey quasi esclude, attribuendolo alla ispirazione di Giacomo della Porta, il modello di Valeriano Regnard, che finora ritenevasi si riannodasse al progetto michelangiolesco, e forse non a torto, dati gli stretti rapporti coi disegni del Maestro, e specialmente con quelli dai N. 294 e 296 (K Frey). Gli ultimi capitoli del lavoro hanno per oggetto la grande cupola di S. Pietro. Dimostrato, o per dir meglio ridimostrato, perchè da un pezzo si sapeva, che il modello attualmente conservato al Vaticano non è di Michelangelo, ma è o tarda copia, o più probabilmente, il modello fatto da Giacomo della Porta e dal Fontana quando sul tamburo michelangiolesco elevarono la cupola, l'A, mette in rilievo (come del resto già avevano fatto il vecchio Fontana, il il Letarouilly, il Durm) la differenza tra la forma emisferica voluta da Michelangelo e quella rialzata che di fatto è stato eseguita, e di cui il modello suddetto coglie il momento di passaggio, poichè nei suoi tre strati unisce lo schema michelangiolesco con quello della effettiva esecuzione. E questo schema michelangiolesco l'A. rintraccia con grande cura e minuta analisi in varie testimonianze, quali la stampa del Du Perac, i disegni conservati a Lilla e ad Oxford e, più interessante tra tutti, anche perchè finora sconosciuto, quello del Teyler Museum di Haarlem. Manca tuttavia tra questi quello che potrebbe dirsi il documento principe e che io pubblico in questo stesso fascicolo, cioè la sezione delineata dal Dosio, come diretto interprete dei progetti di Michelangelo, e che conservasi tra i disegni della Collezione degli Uffizi: miniera ancora in gran parte inesplorata, nella quale forse le condizioni del momento non hanno consentito all'A. di scavare direttamente. Una bella ed elevata trattazione sulla evoluzione del tipo e della forma della cupola nel Cinquecento e del suo ritorno dal classico bramantesco schema paganeggiante alla tradizione medioevale che aveva avuto in S. Maria del Fiore la massima espressione, chiude il libro e ne costituisce forse il maggior interesse: poichè questo, come si è detto, va ricercato nella erudizione su cui si fonda e nel pensiero che lo anima, non nei risultati concreti. Forse unico tra questi, su cui invece l'A. transvola, quello del riconoscimento di uno schizzo frammentario contenuto in un disegno di Michelangelo (K Frey 284) del prototipo per la pianta della cappella Sforza in S. Maria Maggiore, una delle più nobili e semplici e mal note opere dovute, sia pure con la povera collaborazione di Tiberio Calcagno, all'artista sommo. GUSTAVO GIOVANNONI COMMENTI E POLEMICHE Gli Statuti della Reggenza del Carnaro contengono quest'ammirevole pagina che potrà essere letta con soddisfazione da quanti vogliono che l'aspetto di una città sia materiato di bellezza così nelle grandi come nelle umili cose. DELLA EDILITÀ. - LXIII. È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con discernimento fra gli uomini di gusto puro, di squisita perizia, di educazione novissima. Più che l'edilità romana il collegio rinovella quegli "ufficiali dell'ornato della città" che nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel medesimo senso musicale che li guidava nell'apparato di una pompa repubblicana o in una rappresentanza carnascialesca. Esso presiede al decoro del vivere cittadino; cura la sicurezza, la decenza, la sanità degli edilizi pubblici e delle case particolari; impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate; allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di quei padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera ghirlanda, l'arte del movimento e dell'aggruppamento umano; persuade ai lavoratori che l'ornare con qualche segno di arte popolesca la più umile abitazione è un atto pio, e che v'è un sentimento religioso del mistero umano e della natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si trasmette inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella canocchia, nel forziere, nel giogo; si studia di ridare al popolo l'amore della linea bella e del bel colore nelle cose che servono alla vita di ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse fare con un leggero motivo geometrico, con una stella, con un fiore, con un cuore, con un serpe, con una colomba sopra un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio; si studia di dimostrare al popolo perchè e come lo spirito delle antiche libertà comunali si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle commettiture delle pietre, ma perfino nella impronta dell'uomo posta su l'utensile fatto vivente e potente; infine, convinto che un popolo non può avere se non l'architettura che meritano la robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua frode, si studia d'incitare e di avviare intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie - il ferro, il vetro, i cementi - non domandino se non di essere innalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni della nuova architettura. PER VILLA MATTEI Su di un contrafforte del Celio che scoscende avanti alle terme Antoniniane, fremono i pini e le macchie di allori della villa eretta sulla fine del '500 da Ciriaco Mattei. Nel testamento di questo gentiluomo si narra con quanti sforzi e quanto dispendio ebbe a ridursi a dilettoso giardino ciò che era prima un'umile vigna "io con molta spesa et tempo l'ho redutto in forma di giardino, con avervi fatte molte et diverse statue, pili, tavole intarsiate, quadri di pitture et diversi marmi, et fattovi all'anni addietro condurre l'Acqua Felice, et fattovi varie et diverse fontane, et reduttolo in quel buon stato nel quale al presente si trova, nel che dico et confesso realmente haver speso più di sessanta mila scudi come appare per testimoni esaminati ad peripetuam rei memoriam da messer Ottavio Capogallo, già notaro capitolino, reposti nel mio archivio, qual giardino è stato anco di molta mia recreatione et trattenimento, et di esercitio di virtuosi et di recreatione non poca della casa essendo visto et visitandosi giornalmente non solo da personaggi et gente di Roma, ma da forastieri con buona lode et fama, il che sia detto senza obstentatione, ma solo per la verità et per esortatione delli miei posteri a conservarlo". I posteri non furono certamente troppo osservanti delle ultime volontà di Ciriaco Mattei. Si cominciò con il far emigrare alcune delle magnifiche "anticaglie" ai nascenti Musei Clementino e Capitolino. Poi si lasciò che la vegetazione parassitaria invadesse ogni angolo della villa. E sarebbe andata incontro alla estrema rovina se, passata in mani diverse (il primo acquirente fu il principe Mario Godoy, ministro di Carlo IV di Spagna), non fosse stata nuovamente oggetto di cure amorose. Ultimamente ne era proprietario il signor Hoffmann suddito austriaco, da cui fu, quale proprietà di suddito nemico, confiscata dallo Stato italiano che la passò al Municipio di Roma. Ma a quanto pare le delizie di Villa celimontana saranno precluse ai cittadini e ai visitatori dell'Urbe poichè è quasi accertato che essa verrà usufruita per una benefica istituzione che l'occuperà tutta. Noi ci chiediamo se non sia una istituzione ugualmente benefica, e forse più, schiudere ad ogni classe di cittadini una visione di bellezza ed anche permettere l'accesso ad uno dei luoghi più salubri. Noi ci domandiamo se non sia altrettanto opportuno e meritorio raccogliere in quest'angolo meraviglioso attorniato dai ruderi più suggestivi della Roma imperiale, tutte le sparse memorie della Città eterna in modo che ognuno possa rievocare gli aspetti attraverso i secoli ed inoltre vi ritrovi quei resti monumentali che ora vanno disperdendosi in magazzini di materiali eterogenei. Pertanto il nostro Sodalizio ha voluto formulare il voto che qui appresso trascriviamo: "Associazione: facendo vivo plauso al Governo che ha voluto con nobile iniziativa assicurare al Comune ed alla cittadinanza di Roma la Villa Mattei sul Celio, esprime il voto che il dono non sia in pratica sottratto da ragioni particolaristiche ai fini di bellezza e di Arte insiti nel concetto stesso della mirabile villa: e che cioè il parco sia aperto, con determinate norme, per godimento del pubblico e per ornamento della città, e che il palazzo sia adibito all'unico scopo cui ora può essere adatto, ossia quello di raccolta di opere d'Arte e di ricordi artistici e storici di Roma. Trovino in esso finalmente luogo i tanti frammenti dispersi di Architettura e di decorazione della vecchia città e le testimonianze di topografia, di aspetto, di tipo degli edifici monumentali scomparsi; e si costituisca quel museo cittadino, che sembra inconcepibile manchi tuttora in Roma, in cui il passato glorioso è faro pel cammino avvenire". |
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