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EDWIN CERIO: L'architettura minima nella contrada delle Sirene, con 28 illustrazioni |
Lungo il litorale del Golfo di Napoli e del Golfo di Salerno - la regione che gli scrittori un poco enfatici del secolo scorso chiamavano il Cratere ed il Golfo Poseidonate - il paesaggio, che è lo sfondo dell'Odissea, la 'regione delle Sirene', ha nella architettura e nella flora una nota che ricorda, ed approssima a noi, l'Oriente.
Le strutture murali ad archi dai sesti più eterodossi - raramente è il cerchio, l'ellisse, la linea geometrica scolastica nella foggia delle strutture di sostegno improvvisate da muratori che sono poeti improvvisatori e che maneggiano la malta e la pietra come i popolani innamorati maneggiano il verso e la rima - Le strutture di copertura a vôlta, le lamie dai sesti fantastici, che portano l'impronta della modellazione a mano, questi elementi di un'edilizia improvvisata, spontanea, impensata che scaturisce dall'animo del popolo meridionale come le sue canzoni, sono gran parte del fascino del paesaggio. Fascino orientale, che si accentua con le forme della vita vegetativa: i grandi pini isolati - non costretti a far la guardia, allineati e disciplinati in un viale, alla monotonia formale e convenzionale d'un parco, -ed i modesti, tenaci pini d'Aleppo, un essenza tipicamente mediterranea; la palma dattilifera nata dai noccioli sparsi dai Saraceni durante il millennio delle loro scorrerie sulla nostra costa e la Chamaerops, umile palma da scopa; tutta la flora delle piante grasse e delle cactee - mesembriantemi, cerei, portulacee - che nel nostro paesaggio avvertono la prossimità dei deserti d'Asia e d'Africa. Nota orientale: ché se Napoli è considerata, ai fini scolastici e puramente geografici, fa metropoli meridionale d'Italia, essa è pure la prima finestra che l'Europa spalanca sull'Oriente, la finestra dalla quale entrano, ad ondate calde, gli effluvi - non limitati solamente al profumo, ma comprendenti tutta la scala olfattiva - orientali e dalla quale si scorge il paesaggio storico della nostra terra, fino al lontano nebuloso orizzonte della leggenda. Quella potenza che impropriamente si è chiamata dominazione Saracena, i cui primi segni sono rintracciabili nel VII ed VIII secolo, ha avuto una influenza etnica sulla nostra regione che sopravvive nella tecnica e nel gusto dell'arte muraria, che si è fusa con la tradizione architettonica romana e greca, s'è innestata alla foggia gotica che incominciò a prevalere dopo il mille, con la discesa dei Normanni e lo stabilimento del loro dominio lungo il nostro litorale. E così fino a oggi s'è tramandato a noi nella vita e nell'arte delle popolazioni della costa meridionale tirrena, una caratteristica che la differenzia - particolarmente nella edilizia - da tutte le altre regioni d'Italia. La casetta semplice di campagna, intorno al Golfo di Napoli, L'abitazione rurale che fornisce una perfetta soluzione del problema architettonico, si adatta nella sua forma primitiva, a tutte le condizioni dell'ambiente, e costituisce una parte del nostro patrimonio artistico ed etnico la cui preservazione si impone ora, più che mai, minacciata com'è dalle nuove condizioni di vita sociale. Da quando la tecnica - o, per impiegare una brutta parola, il tecnicismo - e l'economia hanno incominciato a imperare anche sulla manifestazione dell'arte muraria, La nostra casa ha principiato a risentire l'influenza dei nuovi sistemi di costruzione che si vanno affermando con l'avvento del cemento armato, dei laterizi prodotti a serie, della trave di ferro e del calcestruzzo. L'arte edilizia nelle nostre regioni meridionali derivava da un'esperienza le cui radici si nutrivano ancora dello spirito ellenico e romano di cui è permeato questo suolo cosparso, come è, dei resti di una architettura che completò così felicemente l'opera della natura nella creazione di un paesaggio di leggendaria bellezza. I nostri muratori avevano così maturato, per esperienza atavica, un istinto delle belle forme architettoniche, un intuito delle leggi statiche dell'ossatura murale che suppliva alla mancanza di erudizione scolastica. Per la nostra gente di campagna, ignara di tutte le regole e di tutti i canoni dell'architettura aulica, l'espressione ornamentale della struttura derivava dal proprio gusto spontaneo innato, da una fantasia naturalmente inventiva, e cioè da fondamentali virtù creative che nell'architetto e nell'ingegnere laureato molto spesso sono inaridite da una educazione che insegna ad attingere, dai libri e dai modelli classici, la ispirazione costruttiva. Come il tiralinee, con la esasperante precisione che può conferirgli la vita micrometrica, ha ucciso il disegno architettonico franco, a mano libera che può spiegare la voluttuosa originalità d'un Bernini, così la scienza e la tecnica possono uccidere il senso e l'arte popolare della casa. A quel senso non si supplisce con le formule, con i moduli, i coefficienti ed i diagrammi statici cristallizzati in un manuale d'ingegneria. Per la nostra gente rurale non esistono canoni d'armonia ornamentale: questa risulta dalla ispirazione del momento, dalle accidentalità del suolo, risolute volta per volta senza premeditazione; dalle necessità della vita semplice, parca, elementare, cui ogni parte della abitazione è mirabilmente adattata. Ilproblema dell'organismo architettonico ridotto nelle scuole ad un sistema di strutture resistenti di sostegno e di copertura, classificato nei suoi aspetti di solidità, di convenienza e di espressione, diventa una questione di stabilità, di applicazione di formule, ed elaborazione di moduli: tutto un esercizio mentale che esclude il gioco della fantasia. Ed è l'assenza dell'elemento fantastico, la mancanza di immaginazione che ha caratterizzato l'opera degli ingegneri civili che in quest'ultimo mezzo secolo della terza e nuova Italia si sono venuti a sostituire ai mastri «fabbricatori » nelle nostre regioni, ai muratori estemporanei che conservano le tradizioni dell'arte muraria come una folklore. Lungo il Golfo di Napoli e la riviera amalfitana, sulle nostre isole, è stesa una collana di villaggi inerpicati sulle rocce, adagiati in dolci vallette e sprofondati in orridi burroni. Da Vico Equense al Promontorio di Minerva: Meta, Sorrento, Massa, Mitrano, Marciano, Mitigliano; dalla Punta della Campanella ad Amalfi: Mortella, Jerate, Montalto, Nerano, Sant'EIia, Positano, Cetara, Majori, Minori. Chi si sofferma in questi luoghi od a Capri - e non solamente negli halls dei Grands Hôtels, banali come tutti gli halls di tutti i Grands HôteIs - sentirà il fascino di questa contrada leggendaria delle Sirene; sentirà l'incanto non solamente del mare e del cielo, delle rocce e delle grotte, ma della architettura paesana che conferisce a tutta la contrada una nota di paese di sogno. Questo fascino, purtroppo, è minacciato; dovunque è arrivato l'ingegnere laureato, saturato di formule di statica e nutrito di coefficienti di resistenza, è incominciata l'opera di disgregazione della bellezza delle nostre architetture paesane. La tecnica e l'economia hanno incominciato per trasformare, deturpare gli antichi edifizi - conventi, monasteri, episcopii - per adattarli ad esigenze moderne - scuole, caserme, asili -senza alcun rispetto per la loro veneranda vetustà; poi son venuti i « caseggiati » a sostituire le dimore rurali, E la tecnica e l'economia hanno messo a disposizione degli ingegneri tutto l'armamentario della bruttezza per compiere l'oltraggio. Ultima, fra le macchine che vanno uccidendo la grazia del lavoro manuale, « la blocchiera» un ignobile ordegno che permette ad un solo operaio, come avverte la pubblicità, di produrre 300 blocchi al giorno... La blocchiera - continua la pubblicità che ne espone le virtù - oltre alla economia ed alla rapidità assicura anche l'estetica: con 100 stampi diversi si ottengono blocchi ignominiosamente sfregiati con tutte le più esasperanti ed esatte imitazioni della pietra scheggiata o scarpellata, la grana del porfido,,.. Una spruzzettatura di colore può dare anche l'illusione del granito. Questo trionfo dell'estetica meccanica, ottenuta con forza motrice a vapore od elettrica - senza viti e senza ingranaggi, e con minimo consumo di olio lubrificante -è reso evidente da una illustrazione che toglie ogni dubbio sull'effetto della applicazione dei blocchi monolitici: un sontuoso caseggiato che è fra i più suggestivi ornamenti di Busto Arsizio. Scrivendo appassionatamente delle bellezze d'Italia Renato Paoli - uno dei pochi italiani che si sia accorto che « a Capri e sulla sponda amalfitana si trovano modelli sorprendenti di architettura popolare » - ha penetrato lo spirito che informa il carattere delle costruzioni nell'Italia meridionale affermando che la loro architettura deriva dalla vivacità e duttilità dell'ingegno dei meridionali, dalla larghezza delle idee e da un senso poetico e giocondo della vita, da una discrezione sapiente di desideri materiali e da un assennato equilibrio tra i bisogni e le cose disponibili. Il contrasto fra l'arte muraria del Nord e quella del Sud è ingenerato oggi, più che mai, dalla diversa mentalità e concezione della vita. L'una saturata di odio di classe e da smodata sete di ricchezze e di benessere materiale, l'altra permeata da un senso umanistico della vita, intonata ad una permanente armonia, ad una freschezza di sentimento e ad una finezza di spirito che hanno origini etniche nella cultura greco-romana che fiorì su queste regioni. È questa attitudine mentale dei meridionali e le sue manifestazioni nell'arte edilizia che sono minacciate dallo spirito dei tempi nuovi, cosmopolita, brutalmente economico, che tende a livellare tutti i valori ideali della vita; minacciate dall'evento di una borghesia che ha conquistata la supremazia nel moderno organamento sociale con la potenza del danaro e che non ha avuto il tempo, e pare che non senta lo stimolo, di maturare la propria educazione culturale. In Capri si è fatto il primo tentativo per assicurare la tutela dello stile locale della sua architettura e proteggerla da ulteriori manomissioni e deturpazioni con la elaborazione di un Regolamento Edilizio la cui applicazione, ritardata da innumerevoli difficoltà burocratiche, osteggiata dalle autorità cosidette tutorie, è arrivata in tempo per salvare almeno i resti della edilizia paesana ed impedire la continuazione di quelle costruzioni che hanno deturpato il centro dell'abitato ed alcuni dei siti più pittoreschi dell'isola. Se si considera Capri come tipico esempio di tutti gli incantevoli paeselli che avevano ed hanno ancora un patrimonio edilizio da tutelare, il suo esempio dovrebbe essere presto imitato per salvare il carattere della architettura della Contrada delle Sirene, di tutto il litorale del Golfo di Napoli e del Golfo di Salerno. Il Regolamento definisce lo stile di Capri: «Questo stile di Capri non è classico; non romano, non gotico, non orientale, non barocco: è un po' di tutti questi stili, è semplicemente lo stile di Capri è, cioè, parte del patrimonio spirituale, cosa essenzialmente dei Capresi. E perciò come tutte quelle cose che sono, essenzialmente e naturalmente d'una famiglia, d'un popolo, è cosa sacra; e va conservato religiosamente». Il Regolamento che non è un documento scritto per gli esteti, non un appello inteso a commuovere solamente i cuori sensibili, ma una norma che vuol essere una guida pratica per tutte le classi sociali, nella parte esplicativa considera anche « l'argomento della borsa », il lato puramente materiale, finanziario della sua architettura: « La casa brutta, sulla casa bella, ha tutti gli svantaggi della bruttezza sulla bellezza; e non minore, fra questi svantaggi, è quello economico ». E questo teorema di economia costruttiva il regolamento spiega concludendo che il vero e maggior tesoro di Capri è nella bellezza del suo passaggio, fusione armonica delle bellezze naturali che sono opera della creazione - di un Dio benigno che dell'Isola volle fare una terra elisiaca - all'architettura che quelle bellezze completa con l'opera dell'uomo. La Commissione Edilizia del Comune di Capri, incaricata dell'applicazione del Regolamento, «oltre agli ordinari scopi di assicurare alla edilizia locale le necessarie condizioni di stabilità, di struttura, di igiene sanitaria, deve esplicare la sua funzione con il fine principale di conservare all'isola il suo patrimonio artistico e pittoresco e quel carattere locale che si è venuto formando attraverso le generazioni del suo popolo». Si può avere poca fede nella efficacia di norme legislative e di iniziative burocratiche intese a preservare la bellezza di un luogo quando a distruggerla concorrono non solamente le mutate condizioni della vita, lo spirito bottegaio di una generazione che antepone a tutte le condizioni estetiche il calcolo di una gretta economia e la pratica utilitaria che informa la tecnica moderna, ma anche le ostilità delle autorità stesse, cui incomberebbe il dovere della preservazione, dei costruttori incapaci di comprendere l'importanza della loro missione, dei proprietari poco accessibili alle ragioni ideali prospettate in nome della estetica paesana. Tutti gli ostacoli che si oppongono alla preservazione della bella architettura locale si sono presentati anche a Capri primo fra i comuni meridionali nel quale si è tentato di salvare il carattere edilizio del suo paesaggio. Ma gli ostacoli si vanno vincendo a Capri; ed è da ritenere che qualora uomini di buona volontà e di buon gusto svolgessero in tutti gli altri paeselli dell'Italia meridionale un'azione simile a quella che si è svolta e si va svolgendo a Capri, il prezioso patrimonio di architettura popolare che l'Italia meridionale possiede potrebbe per sempre restare inviolato - museo vivente di tipi e fogge di edilizia rurale, fonte perenne di ispirazione paesana, collezione pregevole di modelli architettonici insuperati per grazia, semplicità e praticità. La caratteristica strutturale tipica della architettura popolare, nel paesaggio di Sirenide, è l'organismo che, scolasticamente, si può definire come risultante da un'ossatura di piedritto sul quale poggia una copertura a vôlta e soggetto ad azioni di spinta. La vôlta - nel gergo locale lamia - viene utilizzata nei suoi tipi fondamentali: a botte, a sesto acuto, sferica. Ma la esecuzione non essendo quasi mai guidata da piani di costruzione, le lamie si foggiano secondo le necessità della utilizzazione degli ambienti come risultato della improvvisazione del muratore e spesso come manifestazioni della sua imaginazione, della fantasia stimolata dalla febbre creativa di uno spirito libero non costretto ad osservare le prescrizioni e le norme di un progetto prestabilito. La parte ornamentale della costruzione non è quindi un'appendice posticcia della ossatura murale, ma risulta come essenza stessa della struttura: non una sovrapposizione di stucchi, bande, cornici, svolazzamenti floreali, ma un gioco di masse movimentate, ineguali, varie per grandezza e foggia, armonizzate con le necessità della abitazione. Necessità di vario genere: pratiche, innanzi tutto, ché il nostro popolano, il pescatore ed il contadino, l'artigiano, proporziona la sua dimora ai suoi pochi, parchi bisogni materiali; epperò la semplicità, che è la più aristocratica virtù dell'edilizia, nella nostra architettura popolare risulta naturalmente e senza quel processo artificiale di eliminazione attraverso il quale essa è ottenuta dai raffinati. Necessità estetiche, di ambientazione in un paesaggio che è una fantasia di motivi sbrigliati, gai; una festa di colori. Necessità salutari: bisogno di sole, che è l'unico disinfettante che il nostro popolo conosca; di aria, che è la sua medicina abituale... Il muratore alla cui fantasia si impongono solamente queste necessità, plasma la casa risolvendo tutte le difficoltà del suolo - dislivelli, pendenze - con la impreparazione spensierata dell'improvvisazione. La casa rurale risulta così col segno plastico dell'opera fatta a mano; gli angoli sono smussati, arrotondati, e dove le superfici curve si incrociano con le superfici piane sono raccordate con quell'effetto così piacevole che gli Inglesi chiamano eyesweet - dolce all'occhio. Le provvidenze comunali studiate ed attuate per preservare il carattere della architettura locale, e gli sforzi compiuti da singoli artisti e costruttori hanno avuto in meno di un anno favorevoli risultati in Capri; anzitutto con la rieducazione della mano d'opera a sistemi di costruzione dei quali si andava perdendo il segreto e la pratica e poi con la adozione, in un numero rilevante di nuove costruzioni, di strutture a vôlte. Dopo più di un quarto di secolo, nel quale le vôlte erano state abbandonate per essere sostituite da coperture piane, a travi di ferro, abbiamo così visto rifiorire la lamia a gaveta, quella a vela, le vôlte a crociere con i sesti acuti; volticine a botte, a schiena d'asino. Ma forse la più bella e più utile rievocazione e rinascita di antichi sistemi di costruzione è quella di un'arte della quale si andava perdendo perfino il ricordo: l'arte della vôlta battuta, In quest'ultimo mezzo secolo la sostituzione del tetto piano alla vôlta, nella forma delle coperture, e la introduzione dell'asfalto fra i materiali atti a rendere stagna la copertura avevano quasi completamente cambiato il carattere del nostro paesaggio. Ma questa deturpazione è stata vendicata da circostanze dipendenti dalla stessa natura dell'ignobile materiale e da condizioni climatiche che ne rendono la applicazione, specialmente sulle coperture a vôlta, inutile o dannosa. L'esperienza ha infatti provato che, nel nostro clima, i tetti coperti di asfalto durante l'estate si arroventano, quasi, al sole che può dardeggiare per cinque o sei mesi senza interruzione di piogge, ed immagazzinano un calore tale da rendere insopportabile la vita negli ambienti sottostanti. Ma non è questo l'inconveniente più grave dell'uso dell'asfalto sui tetti nella nostra regione. Dopo breve tempo sotto l'azione continuata dei raggi solari, l'asfalto comincia a colare, ad arrugarsi, a screpolarsi, sicchè viene meno alla sua essenziale funzione di camicia stagna. Per conseguenza rende necessarie frequenti riparazioni e l'unica sua virtù - l'economia - che mai basterebbe a far perdonare ad esso la sua bruttezza vien meno. La spesa di manutenzione assorbe e supera di molto la primitiva economia. Questa constatazione è stata fatta a spese di tutti quelli che abbandonarono i vecchi sistemi di copertura allettati dalla apparente economia di primo costo dell'asfalto. È interessante il confronto fra i risultati ottenuti con il sistema antico - di vôlta battuta - e quello moderno di copertura ad asfalto nella nostra regione meridionale. Le antiche coperture ad «astrico battuto », meno che nei casi di edifizi completamente abbandonati e nei quali sia mancata ogni manutenzione, si sono conservate perfettamente stagne ed a Capri, per esempio, non è infrequente il caso di vôlte in perfetto stato di conservazione dopo due o tre secoli dalla loro costruzione. Edifizi che rimontano al 1300-1400 presentano esempi sorprendenti di coperture ancora stagne a vôlta battuta. Il fatto che in tutte le moderne costruzioni delle quali si è impiegato l'asfalto le riparazioni si sono rese indispensabili dopo pochi anni e debbono rinnovarsi frequentemente, ha indotto a considerare la possibilità ed opportunità della rinascita di una tecnica, disusata da oltre un quarto di secolo, nota come quella dell'astrico battuto. Il processo di questa tecnica è semplicissimo: sulla vôlta formata in muratura ordinaria, si dispone uno strato di 15 a 20 cm, di lapillo vulcanico inzuppato di latte di calce. Una squadra di operai incomincia il lavoro della battitura che dura tre giornate, normalmente servendosi della « mazzòccola» una grossa spatola di legno con la faccia inferiore piana ed i lati foggiati ad angolo acuto. La prima giornata la battitura si compie con la faccia piana della mazzòccola, la seconda giornata si batte di taglio e la terza di nuovo con la faccia piatta, e fino a che la superficie battuta non diventi perfettamente liscia. Durante tutto il tempo in cui si svolge la battitura la copertura viene continuamente inzuppata di latte di calce. Ad opera compiuta lo spessore deve ridursi a circa un terzo della grossezza originale. Irrigata convenientemente, la vôlta si ricopre di terra, erba o fieno o paglia, perchè asciughi lentamente, Nelle figure annesse è illustrata la pratica di questa tecnica di semplicissima esecuzione. I 'battitori' di vôlte siedono su uno scannetto ed adoperano la «mazzòccola» per battere le superfici curve, la «jannara» per quelle piane. La battitura che sarebbe un lavoro tedioso, se non fosse allietato da frequente accompagnamento di canto, procede rapida ed allegra al suono di una lunga cantilena che prende il ritmo dalla successione dei colpi di mazzòccola. Il canto incitatore è intonato dal più vecchio della compagnia e ripreso ad ogni ritornello dal coro completo. L'esperienza, oramai secolare, ha dimostrato la superiorità tecnica di questo sistema di copertura battuta su tutti i sistemi di copertura più moderni. Ma oltre a questa superiorità tecnica - di durata, resistenza, impermeabilità la vôlta battuta ha sulla copertura di asfalto un vantaggio estetico di primaria importanza per l'architettura di tutta la nostra regione. Essa ha anzitutto quella nobile impronta dell'opera compiuta, direttamente, dalla mano dell'uomo, che nessun ordigno meccanico arriverà mai ad uguagliare. La grana stessa della copertura è di effetto piacevole e con il tempo, quando le spore di numerose specie della flora protettiva dei ruderi e dei tetti hanno avuto il tempo di fissarsi e svilupparsi, la copertura battuta acquista una patina vegetale di piacevolissimo effetto. Con il ritorno alle costruzioni a vôlta ed ai sistemi di copertura di «astrico battuto» Capri si è posta alla testa di un movimento che mira ad una forma semplice, efficace di protezione del paesaggio: una forma che richiede un poco di buona volontà ed il rispetto di una tradizione architettonica quasi millenaria che si è affermata con la creazione dei più notevoli esempi di arte muraria paesana e popolare che conosca l'Italia. Nelle illustrazioni che accompagnano queste note sono raffigurati alcuni dei più caratteristici aspetti della architettura rurale della contrada delle Sirene. Un bel disegno di Duclère mostra il villaggio di Capri nel 1800. I disegni di Siviero, un pittore che ha rinnovata in Capri la bella tradizione dei paesisti di scuola napoletana, illustrano qualche angolo della bella Certosa di S. Giacomo. G. Favai, in una fantasiosa interpretazione del nostro paesaggio, se pure riesce poco analitico, arriva a rendere con la sua maniera decorativa il senso plastico delle messe movimentate e varie dell'architettura campestre dei contadini di Capri. Una serie di fotografie illustra i tipi più pittoreschi di costruzioni e strade, portici, colonne di Capri. Eccettuate alcune piccole concessioni alla decorazione esterna, le nostre case sono caratterizzate dalla assenza di ogni stuccatura e da una semplicità di linea e di forma che è il segreto della loro armonica bellezza e la ragione della loro dignità. |
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