CRONACA DEI MONUMENTI.
IL RESTAURO DELLE "PRIGIONI" DI VENEZIA.
Sono recenti le polemiche sulla destinazione da dare a quel palazzotto delle Prigioni che dalla fine del Cinquecento si eleva al di là del ponte della Paglia sulla riva degli Schiavoni e che è riunito al Palazzo Ducale col celebre ponte dei Sospiri.
Il palazzotto fu iniziato nel 1589 sotto il dogato di Pasquale Cicogna con architettura di quell'Antonio Da Ponte che è celebre per aver costruito il ponte di Rialto. La costruzione terminò sotto il dogato di Marino Grimani nel 1602 e fu tutta in pietra istriana, con la severa facciata a bugnato, scompartita in tre piani, l'inferiore dei quali è completamente occupata da un portico di sette arcate su pilastri.
La parte anteriore della fabbrica, da poco tempo liberata dall'antica destinazione a prigioni, è stata concessa in uso al Circolo Artistico veneziano con l'obbligo del restauro. E gli artisti si sono messi subito all'opera, talchè per l'impulso appassionato impresso ai lavori da Ilario Neri, da poco la nuova sede del Circolo è stata inaugurata e aperta all'ammirazione dei visitatori.
Le stanze occupate dagli artisti sono quelle prospicenti la riva degli Schiavoni. Su esse aveva sede la magistratura dei "Signori di notte al Criminale" specie di Questura della Repubblica di Venezia, istituita per la vigilanza del buon ordine cittadino con facoltà di prevenire e investigare e - se necessario - di reprimere e di punire. Nel 1650 parte di quelle stanze fu adibita ad uso di infermeria per i carcerati e parte ad uso di primo ricovero per coloro che spontaneamente si costituivano fino a che, con sollecita procedura, fosse conosciuta la loro posizione verso colpe di cui erano sospettati.
Più tardi Napoleone I fece di tutta la parte anteriore un ospedale militare e così d'anno in anno, di destinazione in destinazione, fino all'ultima di Direzione delle carceri, l'austera bellezza delle sale rimase offuscata, seppellita sotto vari strati di intonaco e di calce, frammentata da tramezzi e da soppalchi. Nel 1755 erano state applicate alle finestre del 1° piano le massicce inferriate, nel 1856 si era chiuso il portico terreno con un cancello in legno, che l'Austria per economia non aveva voluto fare di ferro, e così il palazzotto aveva assunto anche all'esterno un'aria di chiusa ferocia.
Il restauro oggi compiuto e di cui diamo le principali vedute fotografiche si è limitato per ora al ripristino di tutto quanto si è potuto ritrovare dopo la demolizione delle superfetazioni. L'opera è stata condotta con tanto scrupolo che si può dire risuscitata l'antica severa bellezza degli interni col loro carattere piranesiano: le grandi muraglie in pietra istriana, annerite dal tempo, son riapparse di sotto lo scialbo. Un particolare costruttivo interessante è che tutti i conci di pietra dei muri accuratamente lavorati, sono maschiettati ad incastro in modo da rimanere solidamente collegati di per sè stessi oltre che dalla malta. Sono tornate pure in luce le schiette modanature delle cornici delle porte e degli archi sormontati da stemmi e da iscrizioni, sono ricomparse le volte e le stanze austere hanno riacquistato l'antica proporzione.
Il restauro è stato compiuto con l'applicazione di vetrate a motivi geometrici collegati dal piombo secondo modelli del Cinquecento e con l'ammobiliamento sobrio di tavoli, dossali, sedie, lampadari in ferro battuto, intonati al carattere di semplicità e di severità degli ambienti.
Chi ha visto i locali dopo la recente opera di ripristino ha avuto l'impressione d'assistere ad una rivelazione, tanto la bellezza di quelle stanze sembrava perduta durante tre secoli di rimaneggiamenti e d'adattamenti. Rimane ora la prosecuzione del restauro nella parte destinata a carcere fin dall'inizio della fabbrica. Ma vorremmo che in questo secondo stadio di restauri si continuasse a seguire il criterio seguito nel primo, a limitarsi cioè alla semplice demolizione delle superfetazioni recenti in modo da mantenere alle carceri quel carattere tragico che tuttavia conservano.
Sappiamo vagamente di progetti di demolizione, perpetrati senza rispetto ad una delle più caratteristiche fabbriche di Venezia e sappiamo anche che certe demolizioni si vorrebbero fare per determinate destinazioni a sale di concerti, di adunanze e simili. Di fronte a tali minacce riaffermiamo il principio generale che gli antichi edifici prima si restaurano in modo da conservare il loro carattere di bellezza e la loro importanza di storia e, poi, a restauro compiuto, si sceglie quella destinazione che più si conviene al carattere dell'edificio ripristinato. R. P.
NOTIZIE VARIE.
PER LA I BIENNALE INTERNAZIONALE DELLE ARTI DECORATIVE (1923).
La Famiglia Artistica di Milano, si è fatta iniziatrice di un Congresso degli Artisti e degli Industriali d'Arte Italiani, allo scopo di stabilire fra essi quegli opportuni affiatamenti e quelle cordiali collaborazioni che possano garantire una ricca e nobile partecipazione dell'arte italiana alla prima mostra biennale delle arti decorative internazionali, che avrà luogo nella Villa già Reale di Monza dal maggio all'ottobre 1923.
L'importanza che assume tale Mostra, alla quale hanno promesso l'intervento le maggiori industrie artistiche d'Europa, è evidente. Il congresso darà modo agli organizzatori della Mostra di illustrare il loro programma e di spiegarlo ai futuri espositori: industriali ed artisti, in tale occasione, fra di essi, potranno essere scambiate quelle intese e poste le basi di accordi che facilitino alla nostra produzione ornamentale un'affermazione improntata a indirizzi nuovi, a schietta originalità e a superiore bellezza.
L'occasione è sembrata anche favorevole per discutere la necessità di una tutela da parte della legge anche per le opere d'Arte Decorativa, affinchè, gli autori come i produttori, non siano più, come per il passato, defraudati poco scrupolosamente del frutto d'ogni loro studio e di ogni loro geniale fatica.
Il Congresso si aprirà il 21 Maggio alla presenza del Sottosegretario per le Belle Arti, nella Sala delle Asse nel Castello Sforzesco di Milano e si chiuderà con una visita alla Villa Reale di Monza, sede dell'importantissima Mostra Internazionale di Arti Decorative (maggio 1923).
EDILIZIA MILANESE.
A vivacissime polemiche ha dato occasione il nuovo vasto edificio che si sta costruendo sull'isolato dov'era il signorile villino e il bel giardino di casa Borghi, ornamento del Corso Principe Umberto, di recente sacrificato ad una mal consigliata speculazione. Il fabbricato, comprendente più di mille locali distribuiti in ben sette piani, ha già fatto parlare di sè per gli allarmi a cui la stessa novità ed arditezza delle strutture ha dato origine durante la costruzione. Ora, non appena scoperti i piani superiori dell'edificio, ecco apparire in alcuni giornali cittadini violentissime proteste contro le sue forme architettoniche definite stravaganti: proteste di cui si ebbe un eco nelle assemblee dei sodalizi tecnici e persino in Consiglio Comunale; perchè a quel che si dice, i giovani architetti della fronte non si sarebbero attenuti ai disegni approvati dalla Commissione edilizia cittadina.
Queste polemiche, se paiono un confortante indizio di interessamento da parte del pubblico a questioni d'arte, devono però essere contenute entro limiti doverosi di misura e di equità; e doveroso sarebbe stato attendere lo scoprimento di tutta la fronte; dacchè, lo sappiano gli intenditori e i critici improvvisati, un insieme architettonico non si può giudicare da alcuni particolari. I quali d'altronde, comunque si vogliano giudicare, non sono certamente comuni e appaiono studiatamente lontani dalla tronfia volgarità e dalla banalità melensa di troppe architetture del cemento; alle quali vorremmo fossero rivolte le aspre ed in parte ingiuste critiche sollevate dalla casa di Via Principe Umberto.
Ciò posto, non diremo certo che il tentativo dei giovani architetti sia riuscito. Esso vuole ispirarsi alle fonti classiche e ci sembra mancare precisamente, in un tormento di linee e di modanature, della peculiare dote delle architetture classiche: di serenità. Per un eccesso di ragionamento, gli architetti, disperando di trovare un equilibrio e un'armonia nella distribuzione delle innumerevoli aperture, hanno cercato di togliere a queste ogni interesse, rivolgendolo tutto ad elementi intermedii, nicchie e riquadri, creando così un insieme ingegnoso, che l'occhio però non riesce ad afferrare e a comprendere senza sforzo.
Taluni motivi poi di architettura rustica nei piani superiori poco si spiegano nè si legano a sufficienza col rimanente dell'edificio; sono questi appunto che, scoperti per i primi, hanno sollevato la prima tempesta nella stampa. Sarebbe stato bene evitare anche taluni particolari, quali i pilastrini delle terrazze a forma di paracarri, che per la loro inutile singolarità non potevano che dar buon gioco alle esercitazioni dello spirito meneghino. Abbiamo, principalmente nell'interno, elementi decorativi di eccessiva pesantezza, che in luogo di "far grande" sembrano opprimere e impiccolire gli ambienti già piuttosto ridotti di una costruzione moderna.
Ci riserviamo di presentare al giudizio dei lettori, non appena possibile, copia fotografica, dell'edificio che, nonostante i molti e non brevi difetti riteniamo offra nella faticosa se anche non fortunata ricerca di una nuova formula e nuove soluzioni, buona materia di attenzione e di considerazione serena.
P.MEZZANOTTE.
Il nostro amico e corrispondente Paolo Mezzanotte ci mandò poco tempo addietro questi appunti di edilizia milanese; ma, noi pensammo che ogni opinione sull'opera tanto discussa non potesse rendersi chiara se non accompagnata almeno da alcune illustrazioni. Ci siamo quindi procurate le fotografie delle Case di Via Moscova, che qui riproduciamo insieme alle piante del piano terreno e di un piano superiore.
Prima ancora di aver le fotografie, io ebbi occasione di passare per Milano, e mi recai subito sul luogo del delitto, acutamente incuriosito di vedere finalmente questa casa che aveva eccitato tanti nervi perfino alcune signore in villeggiatura ne parlavano come di un terribile scandalo mondano che aveva dato lo spunto a tante punture del Guerrin Meschino e che aveva perfino allarmato i Consiglieri dell'Amministrazione Filippetti.
Non faccio dello spirito, ma dico la pura verità: arrivato al Corso Principe Umberto non riuscii nel primo momento a scorgere il parto mostruoso. Non poteva essere quel casone violaceo, quasi gotico, in angolo con via Principe Amedeo perché troppo patinato dalla vecchiaia: e poi mi ricordavo di averlo visto tante volte, quell'organo di chiesa evangelica! Nè poteva essere il fabbricato dei garages, anche questo vecchio e impolverato!
Dunque questo parto mostruoso, la pietra dello scandalo è certamente quella casa li sull'angolo, arrotondata, a tre zone orizzontali di colore, piatta, semplice, modesta, quella casa che è veramente una casa e che non vuole essere altro che una casa. Perché gridar tanto alto contro un'opera così silenziosa, così a posto? Tanto profondamente dunque la degenerazione architettonica di questi ultimi decenni ha fatto presa sul gusto estetico degli italiani, da non far loro comprendere, che siamo all'alba anche di un risveglio architettonico? Non so comprendere questo fatto: da tutti unanimemente si ripeteva, e da anni, il disgusto per la opprimente decorazione cementizia delle facciate, e la speranza, l'ansia per una prossima, definitiva liberazione.
Perché dunque, oggi che questa liberazione, sia pure in mezzo ad alcune incertezze, si annunzia, non la si vuoi riconoscere? Io non voglio entrare in un esame analitico di queste facciate: contentiamoci delle impressioni generali. Ma parliamoci chiaramente: non sono queste facciate mille volte preferibili ai tormenti e alle stanchezze di Via Boccaccio e di Piazza Giovane Italia, a tutta la ingenerosa imitazione e degenerazione del Sommaruga?
Vi sono, si, alcune ingenuità forse troppo insistentemente volute, come le mezze sfere, i graticciati di stucco bianco, certe cartellette stecchite e riquadri. Ma sono piccolezze. E chi ci dice che se non vi fossero stati questi elementi, l'effetto voluto non sarebbe scemato? Le case sono leggiadre, fresche, e, come dicono le note illustrative, lungi dal mettere soggezione, tendono ad essere ridenti e tali da invogliare ad abitarle. Vi par poco?
L'ispirazione - salvo qualche eccesso, come nei colonnoni sulla via privata - è italiana, è milanese anzi, limitata ai primi decenni del secolo XIX (leggete in uno degli ultimi numeri dell'Emporium l'articolo del Muzio sulla Milano imperiale e post-imperiale).
Questo occorre far ben comprendere; che questi tentativi d'arte minore sono eminentemente un ritorno alla schiettezza della nostra razza. Alcune forme ed alcune proporzioni necessariamente nuove non dovrebbero far sfuggire alla nostra attenzione questa verità. L'arte cementizia degli ultimi decenni, questa sì, è profondamente, radicalmente antinazionale. Non vedete come queste case di Corso Principe Umberto stanno ottimamente accanto alla signorile modestia delle anonime case del 700 e dell'800, umilmente allineate lungo il Naviglio o lungo le silenti strade della vecchia Milano?
Siano dunque benvenute queste case di Corso Principe Umberto: tra pochi anni, forse tra pochi mesi, sarà loro restituito l'onore d'avere abbattuto l'architettura del cemento nella Città che più ne era stata afflitta.
Spettacolo ben più triste - e opposto - abbiamo avuto noi in Roma in questo stesso periodo di tempo. Mentre qui già da qualche anno, forse perchè meno offesi da quelle degenerazioni, si cominciava (dico soltanto si cominciava) a far finalmente accettare ai cittadini questo senso dell'arte minore, e questo ritorno alla costruzione sana, schietta, libera di volgarità e di presunzione, proprio ora abbiamo veduto inaugurarsi, tra gli osanna della stampa commerciale, la bruttura della Galleria di Piazza Colonna che ci ha ricondotti, e col peggior degli esempi, alle tristezze di venti anni fa!
MARCELLO PIACENTINI.
NOTE ILLUSTRATIVE DELL'OPERA.
1.- Sfruttamento massimo dell'area disponibile col massimo numero di locali padronali verso strada.
2. - Utilizzazione integrale della maggior cubatura consentita dai regolamenti comunali.
3.- Condizioni molto favorevoli di aria e luce per tutti i locali avuto riguardo anche alla loro orientazione.
4.- Costruzione della gabbia completa in cemento armato.
a)- Con l'apertura della strada e con gli arretramenti verso Via Appiani e Cavalieri si sono ottenuti il 95% dei locali padronali verso strada e di questi solo pochissimi esposti nettamente a Nord; si sono evitati con ciò anche gli inconvenienti dei corpi doppi a T. Nel lotto maggiore si è fatto un esperimento di abolizione dei cavedi.
b)- Le masse risultanti sono quelle determinate dall'applicazione integrale dei regolamenti edilizi, masse che si è cercato di seguire e giustificare con l'architettura.
c)- Gli appartamenti possono essere divisi in tre parti nettamente distinte: ricevimento, alloggi padronali, servizi. Il movimento dei servizi avviene per scale, ascensori ed ingressi stradali appositi.
d) - Esiste una centrale termica (a carbone od a nafta) pel riscaldamento e la produzione di acqua calda; però ogni appartamento ha appositi contatori.
e)- Nel sotterraneo sono ricavati 45 box-garages, i serbatoi, i depositi, le cantine e qualche ufficio semisotterraneo (verso Via Cavalieri).
CRITERI GENERALI PER LE FACCIATE.
f)- Si è tenuto come motivo dominante la nuova strada per cui furono accentuate le due testate verso Via Principe Umberto, non rigorosamente simmetriche, ma della stessa massa e congiunte da un arcone decorativo nella intenzione di ottenere un motivo solo.
g)- Criterio principale della composizione è stato di non dare alla costruzione pretese di palazzo particolare evitando motivi retorici sproporzionati alla condizione della casa. Si è fatta una ricerca particolare di motivi di architettura minore (come la chiamano gli americani) valendosi pure di qualche motivo da giardino nella parte superiore dell'edificio.
h)- Si è mirato dunque a che l'architettura della casa lungi dal mettere soggezione, fosse ridente e tale da invogliare ad abitarla, quindi non farraginosa per mensole, per cornicioni che levano luce, per colonne non necessarie, per merlature ed altri artifici di messa in scena. A tale proposito è da notare che i tagliafuochi decorativi del quinto piano celano strutture necessarie o scarichi e tubazioni che si sono volute nascondere perfettamente. In generale tutti i condotti per qualunque uso, compresi quelli per lo scolo delle acque piovane, gli esalatori, i comignoli, gli sfiatatoi, ecc. sono stati completamente dissimulati in modo da non togliere ai tetti in eternit il loro principale pregio che è la pulitezza.
i)- La casa è stata divisa in striscie orizzontali per diminuire apparentemente l'altezza della facciata cercando di dare ai piani valori diversi sebbene essi siano per ragioni commerciali rigorosamente eguali in altezza.
l)- Il rivestimento della parte inferiore della facciata è in lastre di travertino il cui peso viene scaricato piano per piano sull'ossatura rigida in cemento armato; la parte mediana è intonacata e spruzzata di cemento naturale con tutte le sporgenze protette da grembialini di zinco; la parte superiore è ricoperta da stucco vicentino all'antica (calce viva e marmi).
m) - Nella scelta degli elementi di dettaglio sono stati adottati soltanto elementi nostrani classiccheggianti dal 500 all'8OO, ma non aventi carattere archeologico troppo accentuato.
n) - Si è evitato di unire verticalmente i buchi della facciata, ma anzi tutti i piani sono stati marcatamente segnati e spessissimo individuati dalle fasce segnapiano.
o)- Si è cercato di mantenersi fedeli alle leggi tradizionali degli organismi classici; ma in quanto alle dimensioni dei singoli organi e specialmente delle cornici e degli spessori in chiave degli archi, si è proceduto necessariamente con molta libertà.
p) - Si è cercato di aderire con motivi architettonici alla modulazione verticale delle finestre così come risultanti dai bisogni interni di pianta, poiché si è voluto evitare lo sconcio così frequente di finestre mal disposte rispetto ai locali, sempre compatibilmente con le disposizioni talvolta tassative di alcuni acquirenti di appartamenti.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
ARTE DEL RINASCIMENTO
A. DUDAN. La Dalmazia nell'arte italiana - Venti secoli di civiltà - vol. II dal 1450 ai nostri giorni. Milano, Fratelli Treves, 1922.
Dell'opera che avemmo già il pregio di segnalare ci giunge ora il secondo volume che tratta in prevalenza di quella gloriosa arte del rinascimento che rese celebri tra noi i nomi dei due Laurana, di Giovanni Dalmata, di Giorgio da Sebenico e d'Andrea Alessi,
Maestro Giorgio (il cui cognome: Orsini è stato da poco accertato) appare una prima volta con movenze goticheggianti nei due angeli reggistemmi della casa Papali - Della Costa in Calle del Tribunale a Spalato (circa il 1420), ma poi la sua arte guadagna in vigoria di movenze e in classica ispirazione giungendo a rivelarsi compiuta nella mirabile Flagellazione dell'arca di Sant'Anastasio nel Duomo di Sebenico. Al di qua dell'Adriatico Giorgio si afferma nella Loggia del Mercanti d'Ancona ove eseguisce la statua equestre del S. Ciriaco, la statua della Carità e altre due colonne lasciando il resto al discepolo Andrea Alessi, e nei portali di S. Francesco delle Scale e di Santa Maria del Popolo pure di Ancona. Una delle sue ultime opere è il rifacimento del primo piano del Palazzo del Rettori a Ragusa (dopo il novembre del 1464) che l'A. rivendica interamente a Giorgio essendo il suo competitore, Michelozzo fiorentino, già da sei mesi partito dalla città. Il miglior discepolo di Giorgio Orsini, il dalmata Andrea Alessi, è già sciolto da qualunque legame con l'arte medievale come dimostrano le sue sculture nel battistero del Duomo di Traù (1466-67).
Ma quelli che onorano più degli altri l'arte dalmatica, sono i due Laurana da Zara (Luciano e Francesco). L'opera architettonica di Luciano che nel 1451-1453 lavorava forse per la corte di Napoli, nel 1465 per quella di Mantova, nel 1467-1472 al celebre palazzo ducale d'Urbino, nel 1476-79 al Castello di Pesaro fu già sufficientemente tratteggiata, in base ai documenti, dal Budinich. L'A. ne segue i risultati e accetta anche l'attribuzione del Palazzo ducale di Gubbio fatta dal Colasanti su pure osservazioni stilistiche. Le magnifiche opere scultorie di Francesco sono anch'esse molto note perchè si debbano qui di nuovo segnalare. Noteremo soltanto come l'A. proponga di attribuire in gran parte all'artista il portale della Cappella del SS. Sacramento in S. Francesco d'Urbino, dissimile assai, come già notò il Lipparini, dalla decorazione interna, opera di Costantino Trappola. Diligenti, ma unicamente basate sulle attribuzioni tradizionali, sono le notizie sulla parentesi francese dell'artista e sui suoi lavori nel Mezzogiorno d'Italia, ove indubbiamente dovette esercitare un grande influsso.
Giovanni Dalmata, l'ultimo della grande triade fa campo della sua attività Roma dove l'A. pensa che non possa esser giunto prima del 1470. Dopo i lavori del palazzo Venezia (tra cui il famoso tabernacolo nella unita Chiesa di S. Marco) e la tomba di Paolo II (statua della Speranza), dopo la cantoria e la cancellata della Cappella Sistina nonchè la tomba Roverella in S. Clemente, fatte in collaborazione con altri, l'A. vede la mano di lui nello stemma roveresco del palazzo degli Scolopi in Via del Nazareno e ne immagina la partecipazione in molti monumenti funerarii della Capitale. L'ultimo periodo dell'attività di Giovanni, quello ungherese, è assai poco noto.
Lo studio del Dudan non si limita a queste grandi figure di scultori e di architetti, ma investe opportunamente tutte le arti. Con piacere possiamo rilevare che tutti gli studii, sino ai più recenti, sono stati messi a profitto. Terminano il bel volume un'abbondante bibliografia sulla Dalmazia e un buon corredo di tavole.
C.CECCHELLI.
ARTE CONTEMPORANEA
Collection " Urbanisme ". Sotto la direzione di Léon Rosenthal. Edizioni di Ernest Leroux, 28 Rue Bonaparte, Paris, VI.
È una interessante collezione di volumetti non illustrati È detto nella presentazione: 'Città e villaggi del Nord e dell'Est, rovinati dalla barbarie germanica, debbono rinascere piu ampii, più belli, più adatti alla civiltà contemporanea: tutte le nostre città e tutti i nostri villaggi, senza
rinunziare al lor passato nè alle loro tradizioni, debbono organizzarsi per rispondere allo sforzo della Francia vittoriosa?.
La collezione Urbanisme è stata fondata appunto per concorrere a questo movimento atteso e necessario. Essa studia i problemi complessi, d'architettura, d'igiene, problemi sociali, finanziari: questioni teoriche, tecniche, pratiche, d'economia politica e d'arte, che comporta la organizzazione razionale della città.
Sono già usciti i seguenti volumi: L'Hygiène urbaine, di Paul Juillerat, l' Urbanisme en pratique, di B. Ford, Urbarisme et Tourisme, di Léon Auscher et Georges Rozet, l'Edifice et le milieu, di Adolphe Dervaux.
V'è da qualche anno, in Francia, tutto un movimento di studi e di interessamento per la trasformazione e l'ingrandimento delle città. La Francia è la prima Nazione (e credo sia ancora l'unica) che abbia votato una legge (legge Cornudet votata alla Camera dei Deputati il 28 maggio e 1° giugno 1915) relativa ai piani regolatori, prescrivente che ogni Città di più di 10.000 abitanti debba, senza alcun ritardo, procedere alla redazione d'un progetto di miglioramento delle attuali condizioni e il programma degli sviluppi futuri. Vi sono poi tutte le norme per l'approvazione e l'applicazione di tali progetti. Tutta una schiera di Architetti (Architectes urbanistes) s'è dedicata esclusivamente a tali studi, principali tra gli altri, Henri Blanchard, J. Marcel Auburtin, Agache e Redont (architecte paysagiste).
L'Architetto Jaussely, il vincitore del nuovo piano d'espansione di Parigi (v. il secondo numero del 1° anno, di questa Rivista) regge la Cattedra d'urbanesimo alla Scuola di Belle Arti di Parigi.
Su questi argomenti e da questi architetti sono stati pubblicati in questi anni (e specialmente a proposito della legge Cornudet) due interessantissimi volumi (librairie Armand Colin, 103 Boulevard Saint Michel, Paris), l'uno intitolato "Comment reconstruire nos citès détruites ", l'altro "La cité de demain dans les régions dèbastées ".
In Italia questi studi stentano a penetrare. Pochissimi sono gli architetti che vi si dedicano, anche parzialmente. E pure io sono profondamente persuaso che, dato l'orientamento della civiltà, tutto l'avvenire, tutta la speranza dell'arte Architettonica sia principalmente fondata sull'urbanesimo.
M.P.
COMMENTI E POLEMICHE
AI CITTADINI DI PADOVA.
Ci si assicura che questo disegno rappresenti la visione della Padova avvenire. Ci si assicura che il piano regolatore della intera trasformazione della città in base a tale visione sia già redatto ed approvato dalle autorità. Ci si assicura infine che alcuni abbattimenti di vecchie case sieno già iniziati.
Nonostante tali ed altre assicurazioni, noi ancora non possiamo credere a tutto questo. Voi, cittadini di Padova, che avete voluto nel vostro vecchio centro, con tanta elevatezza di criteri, la nuova facciata del Palazzo Comunale, che avete testè premiato il bell'inno architettonico di Romeo Moretti, quel bel prospetto che sembra un organo celebrante la grande vittoria, non potete volere oggi la devastazione, la rovina intera della vostra città,
Guardate questo orribile schizzo. La vostra antica Piazza dei Frutti, oggi chiusa e raccolta all'ombra della loggia meravigliosa, convertita in una volgarissima piazza moderna con strade radiali, larghissime e porticate: il povero vostro Salone sbandato e avvilito dai cento nuovi casoni che le sorgono intorno, a sei piani, con le cupolette angolari di alluminio.
Più giù, verso Via Garibaldi, tra Via Calatafimi e Via dei Borromeo, in asse con quella e quindi col Salone, un'altra Piazza, più grande, tutta nuova, anche questa tutta porticata, adorna di tre monumenti, od obelischi, o fontane (per ricordare ai posteri la grande onta?). Anche a Padova si vuole una piccola Place de la Concorde.
Non vi dico quello che succede al di là del Palazzo della Ragione! La Piazza delle Erbe è sventrata da una nuova radiale che si slancia verso il Duomo, sboccando avanti a questo in una piazza ad esedra, formata dalle punte degli edifici, come tutte le consorelle dei moderni quartieri fuori di porta. Di qui nuovi stradoni, nuovi porticati, e ovunque cupole rotonde, angoli arrotondati, smussature ed edifici fatti ad ago. Come potete, o cittadini di Padova, ammettere un simile sconcio?
Non vi basta il nuovo Palazzo della Cassa di Risparmio al Corso del Popolo?
Volete anche voi, come già tanti altri italiani, distruggere con le vostre stesse mani i vostri tesori, le vostre ricchezze, la vostre bellezze?
Volete anche voi cancellare i ricordi, cancellare la passione di tutti i vostri avi? Non sapete rinunziare al vostro centro nuovo, con i porticati di cemento e con le strade assolate e insipide? Quella bella impronta della vostra Città, che ve la fa distinguere da tutte le altre, quel taglio, quella fisonomia che ve la dovrebbe render cara, come le persone della vostra propria famiglia, non vi garbano più. Vi siete arricchiti, e vi lasciate sopraffare dallo spirito provinciale? Ma ricordatevi che le altre città hanno compiuto la loro trasformazione quando ancora questi problemi di edilizia non erano ben chiari, se pure eran posti. Oggi voi non commettereste più un errore, ma un delitto.
E sappiate, da ultimo, ancor questo: che noi non ve lo lasceremo compiere, questo delitto. Le bellezze e le memorie d'Italia sono proprietà di tutti gli Italiani. E come voi gioite delle memorie e dei tesori delle altre Città, così tutti gl'Italiani debbono poter gioire delle vostre memorie e dei vostri tesori.
Nessuno vi negherà mai di poter preordinare la vostra città al radioso avvenire commerciale che s'aspetta e che merita. Potrete sviluppare il vostro ingrandimento cittadino in mille maniere più facili, più semplici ed economiche, senza distruggere i vecchi quartieri del centro. (m. p.)
DETURPAZIONI A TRENTO.
Il Circolo artistico (e per esso il Rettore Luigi Boni e il Consiglio d'Arte Zucchi, Ratini e Wenter Marini) ci invia una protesta contro l'apposizione di una lapide sul Palazzo Municipale di Trento, opera eminente di Architettura cinquecentesca trentina.
Sembra che la lapide sia stata eseguita e murata senza che prima si fosse interpellata la Commissione di pubblico ornato. La protesta fa giustamente rilevare la volgarità floreale della targa, la scritta mal disposta, la cimasa goffa e pesante, i miseri peduncoli d'appoggio, le enormi dimensioni (tre metri d'altezza) e in generale la sgradevole forma, collocazione e preparazione.
Noi non possiamo che associarci alla giusta querela del Circolo artistico di Trento, e facciamo voti perchè venga senz'altro cancellata la inconsulta deturpazione.
Ma non soltanto per l'apposizione di questa lapide noi siamo spinti a gridare l'allarme. Altri errori e più gravi, si vogliono perpetrare a Trento. Abbiamo qui sotto gli occhi un piano regolatore che si dice approvato dalle autorità - che è quanto di più indecoroso si possa immaginare. Non lo pubblichiamo perchè non vogliamo deturpare troppo la nostra Rivista: basta la pubblicazione della lapide!
Del resto il lettore se lo immagina subito, questo nuovo piano regolatore: una scacchiera, la solita scacchiera, la quale, urtando contro una larga strada diagonale, spezza gli ultimi lotti in tanti triangoletti acuti, dove non sarà possibile neppure costruire!
E' la genialità medesima che ha aleggiato sul capo dei creatori del piano regolatore di Messina e di quello di Reggio Calabria. È la genialità delle teste quadre dei geometri! È il triste sintomo dell'ignoranza dei nostri amministratori, dell'assoluta negligenza e del disprezzo in cui oggi è tenuto il sentimento della Bellezza (m. p.).