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GIUSEPPE GEROLA: Per la chiesa italiana di Bolzano, con 5 illustrazioni |
I primi frati Predicatori erano giunti a Bolzano nel 1272, dal convento di S. Biagio di Ratisbona; ma per più di un secolo il nuovo monastero appartenne alla provincia domenicana della Lombardia; poi - dal 1409 - a quella austro-ungarica: finchè nel 1785, in seguito alle disposizioni dell'imperatore Giuseppe II, venne soppresso (1).
La spettanza regionale del convento non fu priva di valore per le manifestazioni della sua storia artistica, culminante nella fabbrica della chiesa - dedicata al Nome di Gesù - e dell'attiguo monastero. Chiesa e monastero risentono oggigiorno delle fatali conseguenze del decreto gioseffino. L'una, ridotta nelle più desolate condizioni, ha perduti tutti i suoi altari e, divisa in due piani, serve di magazzino e di forno militare; l'altro, ricostruito ad uso scolastico, non conserva di antico se non l'elegante chiostro gotico a pianterreno, impiastricciato di intonachi. Notizie sicure sulla fabbrica del tempio - che vien ricordato già da un documento del 1276 - non ci sono state tramandate. Qualche discontinuità e variazione di muratura, osservabili sopra tutto all'angolo di sud-est, fanno pensare che quivi sorgesse in origine una chiesa di più modeste proporzioni e debitamente orientata verso levante, mentre l'abside è ora rivolta a mezzogiorno; ma senza meglio assaggiare le murature di quella parte del tempio e del campanile e della sagrestia, nascoste sotto alla malta, non è possibile di risolvere il quesito. La massa del campanile apparisce oggigiorno intimamente collegata con quella del presbiterio e quindi del resto della chiesa quale attualmente essa è: il che significa che, a prender norma dallo stile del campanile stesso, l'intero edificio potrebbe appartenere alla prima metà del secolo XIV. E poichè sull'alto di quella torre è ripetutamente scolpito, e negli affreschi della navata come in quelli della sagrestia ritorna con insistenza lo stemma a fascie bianche e nere, giova credere che alla nuova fabbrica da prima, alla decorazione poi, abbia generosamente contribuito quella stessa famiglia di banchieri fiorentini, detta dei Rossi o Bamborossi e poi dei Bocci (in tedesco Botsch) (2), il cui nome è legato del pari alla storia del duomo di Bolzano, della chiesa francescana, di quella teutonica e della chiesetta di S. Giovanni in Villa. La chiesa constava allora di un'ampia navata rettangolare, munita di confrafforti esterni - semplici e massicci - agli angoli della facciata, e coperta di unico tetto su capriate a vista: soltanto il cantone di nord-est mostrava una piccola volticina di raccordo angolare, di cui non sapremmo ben precisare lo scopo. Il coperto, assai più aguzzo dell'odierno, si coronava di una piccola torricella sul fastigio della facciata. Il lungo presbiterio, sporgente verso mezzogiorno con nuovi contrafforti esterni ed alto quanto il rimanente della chiesa, accusava nelle sue proporzioni l'influenza del gusto di settentrione. Doveva fin dall'origine dividersi in tre campate, coperte di crociere a costoloni, tuttora conservate nella loro parte integrale; mentre la copertura gotica dell'abside poligonale, smantellata dai ricostruttori barocchi, si indovina soltanto dalle superstiti reliquie del sottotetto e si ricostruisce idealmente sull'esempio di quella dei Francescani. Alla stessa epoca è lecito assegnare altresì non solo il bel campanile terminante a piramide (3), ma la sagrestia, il convento nell'originario suo aspetto e forse anche la prima di quelle cappelle di sinistra dedicata a Santa Rosa e proprietà dei Bocci che oggigiorno sono totalmente distrutte. Alquanto posteriori sino alla fine del secolo sembrano invece le pitture a fresco, in parte tuttora conservate, in parte nascoste sotto lo scialbo. Nella facciata si pena a riconoscere una Annunziata sopra alla porta e resti di un cavaliere più in basso (4). Nella parete destra della chiesa sbuca dall'intonaco un intera teoria di santi e di sante. Ma la decorazione principale si osserva nei sottotetti, a cominciare dalla metà della fronte fino ad un tratto della parete di mattina, ove cessa bruscamente: e sono finti archi e finte nicchie, limitate superiormente da un fregio cogli stemmi dei Bocci, ed intercalate da figure di santi e di angeli, fra cui spiccano tuttora un caratteristico S. Ambrogio ed un bel S. Michele (5). Altri avanzi di figurine si rilevano all'esterno della parete di levante, in corrispondenza coll'arcone della demolita cappella. Ma assai meglio riprendono gli affreschi nel chiostro, fino alla tarda crocifissione di tipo brissinese (6), e nella sagrestia: ove alle narrazioni leggendarie della vita di S. Nicolò partecipano alcune donzelle stranamente abbigliate coi colori araldici dei Bocci. Il carattere prettamente italiano di tali pitture, opera di qualche tardo giottesco del Veronese, talora pedissequo imitatore delle scene istoriate dal maestro all'Arena di Padova, è fuori contestazione (7). Discutibile è invece a quale epoca siano da assegnarsi le finestre gotiche del tempio ora in gran parte ostruite : vuoi l'occhio della facciata, vuoi i finestroni rettangolari della nave e dell'abside, caratterizzati dal ricco diaframma traforato, che a giudicare dai resti tuttora visibili in due di quelle aperture accenna al periodo di maggior sviluppo dell'arte gotica (8). Per quanto nell'attuale ingombro è lecito di riconoscere, la prima finestra di levante non coincide affatto colla soprastante decorazione pittorica sì da apparire ad essa posteriore. Dell'antico portale divelto manca qualsiasi notizia. Ma fuori dubbio si è che tutto il sistema di volte che attualmente divide la chiesa in tre navi di altezza pressochè eguale e la ricopre con uno dei soliti motivi geometrici a costoloni, venne ideato posteriormente a quelle finestre (9): tanto che il secondo finestrone di levante fu dalle volte medesime troncato a metà. Il vasto rimaneggiamento deve attribuirsi forse agli ultimissimi anni del secolo XV, allorquando si lavorava anche alla trasformazione del chiostro nel grazioso aspetto che esso tuttora conserva: ma a sua volta non andò immune da nuove modificazioni, come quella dell'ultima campata della navatella destra, ridotta alla nuova foggia forse per lasciar miglior adito al campanile. Se non i medaglioncini dipinti al centro delle volte, almeno i grandi capitelli dei pilastri sembrano dovute pur essi ad altre riforme. Messi sulla via delle tramutazioni, i Domenicani non si fermarono tanto presto. Altre due cappelle, sporgenti sulla via, vennero aggiunte a mattina, modificate poi più volte nell'arco di imboccatura la prima (S. Tomaso d'Aquino) apparteneva ai mercanti, l'ultima (S. Domenico) alla famiglia Brandis, di cui l'arco di ingresso mostra tuttora lo stemma ; anche esse sono ora rase al suolo. E più tardi ancora tutto il presbiterio fu adattato al gusto barocco, appesantito di stucchi e completato di figurazioni settecentesche, rappresentanti i misteri del Rosario. Alla catastrofe del 1785, la pala dell'altar maggiore, con Santa Caterina da Siena, dipinta da uno degli Unterpergher trentini, fu acquistata dal Comune di Caldaro; l'altare marmoreo di S. Domenico, insieme colla pala (copia di quella di Soriano in Calabria), pervenne al duomo di Bolzano; gli altari di legno della Croce e dell'Angelo Custode furono comperate dal Comune di Romeno; l'altare di S. Pio ed altri due altari lignei furono assegnati rispettivamente ai comuni di Colderano e di Laces; ad un privato l'altare di Santa Rosa e la pala di S.Vincenzo Ferreri. Il bel presepio toccò ai Francescani di Bolzano; l'organo alla parrocchiale di Nova Ponente; l'orologio alla chiesa di Mils; parecchi marmi e l'intero pavimento del tempio al comune di Caldaro; pilieri, stalli ed armadi agli Agostiniani di Gries; la grande campana al comune di Foiana; e così via (10). Riscattare il tempio dall'odierno squallore per ripristinarlo nell'antica sua forma è il compito che il nostro governo proprietario dell'edificio si è ora proposto, al fine precipuo non solo di rimettere in onore il vetusto monumento, ma altresì di provvedere una chiesa per la popolazione italiana di Bolzano che ne è tuttora priva. Il progetto non si presenta davvero troppo arduo. Appena siano buttati all'aria soppalchi e tramezze, il tempio acquisterà per incanto la maestà delle antiche proporzioni. E mentre il coro resterà tale quale esso è, nel suo rimaneggiamento barocco, il rimanente del tempio altro non esige che la chiusura delle finestre moderne e l'apertura di quelle antiche, la rimessa in opera del pavimento e del portale, e lo scrostamento delle pareti che tuttora celano sotto alla calce un promettente tesoro di pitture giottesche. E sarà illuminata opera di patriottismo e di civiltà, (1) K. ATZ U. A. SCHATZ, Der deutsche Antheil des Bisthums Trient : Das Decanat Bozen, Bozen, 1903, p. 57, segg. (2) Cfr. su essi F. MENESTRINA, Bernardo Clesio e i restauri del palazzo di Cavalese (Tridentum, VII, 3), Trento, 1904, p. 110 segg. (3) K. ATZ, Kunstgeschichte von Tirol, Innsbruck, 1909, p. 283, fig. 284. (4) K. ATZ, Die Reste der Fassadenbemalung der ehemaligen Dominikanerkirche zu Bosen (Mitteilungen der k. k. Zentral-Kommission, III, 2), Wien, 1903, p. 346. (5) J. WEINGARTNER, Die Wandmalerei Deutschtirols am Ausgange des XIV. Jahrhunderts (Jahrbuch des Kunsthistorischen Institutes), Wien, 1912, tav. 1. (6) K. ATZ, Wandmalereien im ehemaligen Dominikanerkloster und dessen Kirche zu Bosen (Mitteilungen der k. k. Central-Commission, III, 1), Wien, 1902, p. 353 seg.; K. ATZ, Ein Darstellung der Kreuzigung Christi zu Bosen (Der Kunstfreund, II, 18), Bozen, 1902, p. 103 segg.; H. SEMPER Eine neuaufgedecktes Freskobild im Kreuzgangder ehemaligen Dominikanerkirche zu Bozen (Mitteilungen der k. k. Central - Kommission, III, 2), Wien, 1903, pag. 173 segg. (7) J. GARBER, Neuaufgefundene Wandgemälde in Deutschtirol (Mitteilungen der k. k. Central-Kommission, XIV), Wien, 1915, p. 145 seg. (8) A. MESSMER, Alte Kunstdenkmale in Bozen und seiner Umgebung (Mitteilungen der k. k. Central-Kommission, I, 2), Wien, 1857, p. 97; K. ATZ, Kunstgeschichte, cit., p. 444, fig. 478. (9) K, ATZ, Die alte Kirche am Dominikanerkloster zu Bozen (Der Kunstfreund, XVI, 10), Bozen, 1900 p. 77; J. WEINGARTNER, Mittelalterliche Kirchenumbauten in Tirol (Mitteilungen des Staatsdenkmalamtes, vol. II-III) Wien, 1920-21, pag. 60. (10) Cfr. P. LINDNER, Die Aufhebung der Klöster in Deutschtirol (Zeitschrift des Ferdinandeums, III, 30), Innsbruck, 1886, p. 20 segg. Per i più vecchi codici miniati del convento, ora dispersi pur essi, cfr, J. WEINGARTNER, Die frühgotische Malerei Deutschtirols (Jahrbuch des Kunsthistorischen Institutes), Wien, 1916, p. 61 segg. |
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