FASCICOLO IV - NOVEMBRE DICEMBRE 1921
UGO MONNERET DE VILLARD: Sull'origine della doppia cupola persiana, con 9 illustrazioni
Il mausoleo di Tîmûr a Samarcanda, il ben noto Gûr Emir (fig 1), presenta una notevole struttura architettonica: sulla pianta quadrata si eleva una cupola raccordata alla planimetria con le solite nicchie an-golari a stalattiti. È una cupola di lieve spessore, a sesto quasi semicircolare. Al di sopra di questa si eleva una seconda cupola, a forma di bulbo, quella che dà all’edificio la sua esterna fisionomia (fig. 2). Di questa caratteristica struttura a due cu-pole sovrapposte pochi autori si erano occu-pati, e solo di sfuggita, quando il problema fu sottoposto ad una particolare disanima dal Creswell (1).
Secondo l’archeologo Inglese il procedi-mento trova il suo modello ed il suo punto di partenza nella cupola che copriva il santuario della grande moschea umay-yade a Damasco, quale fu rifatta da Malik Shah al più tardi nel 1082 (2). Essa ci fu descritta da Ibn Giubair (che qui citerò di su la traduzione dello Schiaparelli) e andò proprio distrutta per opera di Tîmûr nel marzo 1400. Tîmûr avrebbe trasportato a Samarcanda degli artefici di Damasco, per costruirvi un palazzo, secondo un passo di quelle "Istituzioni" di cui l’au-tenticità però non è sicura; sarebbero stati tali artefici ad applicare al Gûr Emî il procedimento costruttivo dell’edificio siriano.
Ecco sommariamente le indicazioni che Ibn Giubair (3) ci dà sulla struttura della cupola damascena. Egli dice di essere sa-lito sulla sua sommità e di esser entrato nell’interno in modo di poter ammirare la stia struttura portentosa e vedere a un tempo l’altra cupola che sta nel centro, come una sfera vuota inclusa entro un’altra sfera maggiore. Nella cupola esterna si entrava per uno dei finestroni aperti nelle lastre di piombo della copertura, e vi si poteva circolare camminando sovra un palco di grosse tavole posto intorno alla cupola minore. Questa aveva delle finestre per le quali si poteva, guardare nell’in-terno della moschea. Per la struttura della cupola ecco le indicazioni che ci dà il viaggiatore arabo: la cupola è tonda come una sfera l’esterno sub è di legno, tenuto assieme da costoloni pure di legno, rin-forzati con spranghe di ferro. Ogni costolone la cinge come un cerchio e tutti convergono in un disco centrale di legno posto nella parte superiore. La cupola esterna, coperta di piombo, è essa pure tenuta assieme da costoloni di legno ro-busti, rafforzati a metà con delle spranghe di ferro.
Questi costoloni sono quarantotto, di-stanti l’uno dall’altro quattro palmi. Descri-vono una curva bellissima e le loro estremità superiori convergono in un disco centrale di legno che sta in vetta. Il circuito di questa cupola di piombo è di ottanta passi, cioè di duecentosessanta palmi.
Le informazioni sono in vero preziose e a prima vista potrebbero avvalorare l’i-potesi del Creswell: ma osserviamo alcuni fatti.
L’uso di coprire con cupole in legname gli edilizi tondi o poligonali era abbastanza comune nella Palestina e nella Siria du-rante i primi secoli cristiani. Aveva una cupola di legno l’ottagono di Costantino-poli ad Antiochia (4): così era probabilmente coperta la chiesa di Bosra e certo la rotonda dell’Ascensione di Gerusalemme (5) e la chiesa di Edschmiatsin nel V secolo ante-riormente cioè al rifacimento del 618 nar-ratoci da Johannes Katolikos (6).
Ma per di più quella dell’ottagono de-scritto da Gregorio di Nazianza era pro-babilmente doppia, e certamente ebbero questa forma la cupola del S. Sepolcro dopo il restauro di Tomaso I (807-820), come ce ne istruisce Eutychius, e quella della “rotonda della roccia” il Kubbet es-Sakrah, quale ce la descrive nel 985 Muqaddasi (fig. 3).
Data la grande diffusione del procedi-mento (e chissà quanti monumenti di cui non ci è giunta memoria lo presentavano), nulla ci obbliga a prendere come modello della cupola di Samarcanda proprio quella di Damasco.
La seconda osservazione si riferisce al modo di costruzione della cupola damascena. Dai dati riportati ben si vede che essa aveva la struttura di uno scafo, cioè era costituita da un tavolato rafforzato da costolature disposte come i meridiani, le quali costo-lature erano collegate e rese indeformabili da rinforzi in ferro. Da dove è giunto nella Palestina tale procedimento? Non certo si deve pensare ad una tradizione classica: il mondo romano ed ellenistico lo ignorano totalmente. Nè si può pensare ad un’invenzione dei carpentieri bizantini, giacchè su nulla assolutamente è possibile basare una tale ipotesi. Vi è invece un’al-tra regione che tale procedimento ha largamente usato: l’India. Certo gli esempi di carpenteria indiana non sono giunti sino a noi, ma la precisa struttura ne conosciamo attraverso le loro riproduzioni intagliate nella pietra. Prendiamo il gran chaitya di Karli, quello figurato su una scultura di Bodh Gaya, i N. 10 e 19 di Ajunta e vi vedremo applicato e realizzato l’identico procedimento che i testi ci fanno conoscere nei monumenti della Siria e della Pale-stina (7).
Dato questo modo di costruzione il rad-doppiamento della cupola diviene quasi una necessità, onde aumentarne la sezione tra-versale e quindi la resistenza. Ad ogni modo il procedimento di costruzione delle cupole sirio-palestinensi in legname deve essere ritenuto uno dei vari casi d’influsso dell’india nelle regioni mediterranee: le fonti d’inspirazione per l’architetto del Gûr Emîr non dovevano limitarsi al solo caso di Damasco.
E infine un’ultima osservazione per provare la poca solidità intrinseca della teoria sostenuta dal Creswell. Egli deve ammettere che nel 1400 circa si imiti in mattoni una cupola in legno dell’XI secolo, senza tener conto del fatto che già tale tipo speciale di cupole in legno aveva trovato la sua traduzione in laterizi, dando origine ad una struttura caratteristica, ma che non ha nulla a che fare con quella dell’edificio di Samarcanda. Intendo parlare del tipo di cupole alveolate, di cui il mau-soleo dl Oldjaitu Khodabendeh a Sultanieh, elevato nel 1320 e. v., è il più bell’esempio.
L’analisi interna della teoria emessa dal Creswell ne ha dimostrato l’inanità: ma siccome per combattere una data teoria che vuole spiegare una serie difatti, bisogna ancora sostituire, a questa un’altra che me-glio con fatti s’accordi, così per spiegare la doppia cupola del Gûr Emîr e la forma bulbosa di quella esterna, dirò che proprio non era il caso di andare da Samarcanda fino a Damasco per cercarne i prototipi, ne bastava guardarsi attorno e osservare le costruzioni che sorgevano nel Turchistan al momento della conquista mongola.
Prendiamo in considerazione i monu-menti da non molti anni scoperti nell’oasi di Turfan, centro d’antichissima civiltà, e che studi recenti ci hanno fatto ben cono-scere. Ivi, a Idiqut Schäri ed a Sengyma, si trovano dei monumenti che col mauso-leo di Samarcanda hanno una stretta e logica correlazione.
A Idiqut Schäri, ad oriente (fig. 4) dei mu-ri della città, sorgono due gruppi di stûpa, il piccolo gruppo del sud ed il grande gruppo del nord: essi si distinguono dal solito tipo degli stûpa indiani per il fatto che invece di essere massicci, sono internamente vuoti e constano di una cupola impostata su una pianta quadrata, servendo di passaggio dall’una all’altra forma di raccordi a conchiglia. Alcune di queste costruzioni hanno, invece che una sola cupola, due sovrapposte, esat-tamente come al Goûr Emîr. Tale è ad esempio lo stûpa che il Grünwedel (8) ha indicata con la lettera A, e la stessa strut-tura di copertura ha anche la sala centrale quadrata che si trova nell’edificio N. 10 di Sengyma (9). Lo schizzo che del primo edificio ha pubblicato il dotto tedesco (10), ci mostra chiaramente che uno stesso concetto architettonico ha guidato il costruttore della tomba di Tamertano e l’antichissimo che molti secoli prima aveva costruiti i sacri edifici dell’Oasi di Turfan. In entrambi una leggera cupola interna sferica che porta la decorazione e al di sopra di questa una grande e forte cupola ovoide che dà la fisionomia esterna del monumento. Questa seconda cupola offre invero a Samarcanda la caratteristica forma a bulbo. Anche qui l’origine, come già suggerì il Texier e di cui l’opinione fu accettata anche dallo Choisy, deve essere cercata in India nella forma bul-bosa dei dâgaba. Ad esempio in quello di Ajanta, contraddistinto abitualmente col N. XIX, che secondo il Burgess fu elevato sul finire del secolo V (11). Il Creswell os-serva invero esattamente che nessuno degli stûpa indiani si presenta vuoto interna-mente; ma nulla ci vieta di credere che la forma bulbosa degli stûpa fosse passata già anticamente dall’ India al Turchistan e che ivi, secondo l’uso locale, lo stûpa invece che massiccio fosse stato costruito a cupola.
Una riprova delta ipotesi qui avanzata l’abbiamo nel seguente fatto. La forma dello stûpa arrivò in China (col Buddismo), non direttamente, ma per il tramite e la via del Turchistan. Ora nella China tale speciale tipo dl edificio religioso presenta proprio le due caratteristiche di essere vuoto internamente e a forma bulbosa esterna-mente, sia nella forma primitiva di stûpa propriamente detto, quanto in quella deri-vata di t’a, o torri a scaglioni sovrap-poste ad uno stûpa. E nota la leggenda raccolta da Hiuen Tsang sull’origine della forma architettonica dello stûpa (12): la cu-pola sarebbe stata fatta ad imitazione di un vaso per raccogliere le elemosine (pâtra) rovesciato: ora tali vasi erano panciuti. Gli stûpa che ancora si conservano sono assai recenti (ad esempio quello sulla cima dell’Uan Suei Chan presso Pechino co-struito nel 1651), ma vi producono un’an-tichissima forma canonica. Meglio siamo informati sulla trasformazione dello stûpa in torre a scaglioni che ha conservata la parte emisferica fra lo zoccolo ed il. coro-namento. Tale parte è bulbiforme e vuota, cioè a cupola, accedendovisi da una porta: ciò è provato da una interessante serie di disegni di tali antichi monumenti, conser-vati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, ed editi dal Combaz (13) (fig. 5). Per quanto essi siano del XVIII secolo, sono stati tracciati da qualche erudito chinese che certamente disponeva di documenti antichissimi a noi ignoti. Nel passaggio dall’ India alla China lo stûpa si vuota, diviene cioè a cupola, ed assume la forma bulbosa: la prima trasformazione l’abbiamo già osservata nel Turchistan ed è assai probabile che ivi sia avvenuta anche la seconda.
E’ ovvio dunque pensare che tutte e due le forme caratteristiche del Gûr Emir preesi-stessero nel Turchistan alta conquista mon-gola: una, la doppia cupola, certamente, e l’altra, la forma bulbosa, con grande pro-babilità. L’architetto del mausoleo di Ta-merlano non avrebbe quindi fatto altro se non ripetere un procedimento costruttivo abituale nel paese dai mongolo conquistato.
Nè conta ricordare che l’architetto è un persiano, Mohammed figlio di Mahmoud d’Ispahan, come persiano di Chiraz fu l’architetto dell’altra moschea, elevata da Tamerlano ad Hazrat-i-Turkistân, Khodja Hussein, giacchè da questo non se ne può dedurre che egli abbia importati a Samar-canda dei procedimenti speciali alla Persia, dei quali ad ogni modo non abbiamo nessun esempio sul suolo dell’ Iran. In quanto la doppia cupola al mausoleo dell’ Imâm Rizâ a Meshed, attribuita alla costruzione di Suri governatore di Nishâpûr nel 1037, appar-tiene invece ad una ricostruzione di Shâh Sulaimân del 1672, essendo l’originale stato distrutto da un terremoto (14). Il procedi-mento applicato alla costruzione di Gûr Emir non è persiano, ma rientra invece nel repertorio di quelli dell’ambiente sud-altaico. Che poi il tipo delle cupole bulbose si diffonda nella Persia è cosa ovvia data la celebrità che sempre ebbe il mausoleo di Tîmûr il quale funzionò da prototipo. Meno diffuso è il tipo di edilizi dalla doppia cupola: bisogna escludere la moschea di Gawhar Shâd a Meshed (1418), e la mo-schea ed il mausoleo del sultano Husain Mîrzâ a Herât (1487- 1506), dove l’esistenza della struttura non è punto documentata e ancor più la moschea bleu di Tabrîz (1437-1468), dove la doppia cupola ivi voluta dal Creswell dipende solo da una sua cattiva interpretazione della descrizione datane dal Tavernier, La doppia cupola non la ritroviamo con sicurezza se non in India, nel mausoleo di Khan Khânân a Delhi elevato nel 1626 (15) e al celebre Tâj Mahal di Agra, avanti il XVIII se-colo. In tutt’altra direzione, per la via del Caucaso, le cupole a bulbo penetrano nel XVI secolo in Russia, e ivi anche appaiono le doppie cupole, ma costruite in quel modo tutto affatto speciale che già nel XIII se-colo aveva fatta la sua apparizione in San Marco a Venezia (fig. 6). La cupola in-terna è in laterizio, la esterna in legname rivestita generalmente da lastre di metallo. Anche per la spiegazione del caso di San Marco il Creswell ricorre all’abusata imita-zione di Damasco: penso invece che lo svol-gimento storico sia tutto affatto diverso. Non dimentichiamo che la chiesa di San Marco aveva le sue cupole emisferiche, di trac-ciato tutto affatto bizantino (fig. 7), quando a queste fu applicata la seconda copertura di cui lo scopo, per nulla costruttivo, deve ricercarsi in un concetto puramente artistico, in quello cioè di dare nell’aspetto esterno del monumento una maggior importanza alla cupola; è una trasformazione della plastica monumentale bizantina ben mar-cata quando si comincia con l’inserire fra la massa, della chiesa e la cupola un tam-burro, S. Marco riproduce nella sua planimetria, secondo l’asserzione di testi ben noti, la chiesa dei SS, Apostoli in Costan-tinopoli; ma nel tracciato delle cupole si avvicinava più al tipo di S. Sofia (cupole cioè senza tamburro) che non al suo mo-dello che doveva avere degli alti tamburri con grandi finestre, come ne fa fede la miniatura del codice Vaticano Greco 1162. All’atto pratico poco si vedevano dall’ester-no le cupole e nell’insieme l’edificio doveva apparire assai appiattito. Non volendosi certamente rifare le cupole sopraelevandole con un tamburro, si è ricorso alla seconda copertura, Non nego che alcuni monu-menti dell’oriente possono aver inspirati gli architetti veneziani: ma meglio che non a Damasco, mi riferisco a due cupole che i veneti dovevano ben conoscere nel XII e XIII secolo, le gerosolimitane del S. Se-polcro e del Kubbet-es-Sakrah. Troppi sudditi della Serenissima erano in quei se-coli a Gerusalemme e i due monumenti troppo celebri perchè rimanessero senza influsso su coloro che . dovevano dirigere i lavori del S. Marco.
Non credo con queste note d’ aver de-molita punto per punto la tesi del Cre-swell: spero però d’aver fornito ad ogni studioso spassionato una copia di ma-teriale sfuggito all’archeologo inglese, così abbondante e così logicamente concate-nato da invogliare almeno a riprendere in esame il problema.
Giacchè ho dovuto richiamarmi ai mo-numenti ancora poco noti del Turchistan, desidero fare un’ultima osservazione a pro-posito di una forma particolare di quelle cupole.
L’apertura centrale alle cupole del Tur-chistan è resa necessaria dal bisogno di illuminare l’interno dell’edificio: una simile struttura si trova anche nel Churasan (16), che tanti influssi subì dalle architetture del-l’Asia centrale, e le sue origini si possono trovare nelle cupole raffigurate dal celebre bassorilievo che il Layard scoprì nelle ro-vine del palazzo di Sennacherib a Ninive (705-681 a. C.), mentre un testo di Q. Curtius Rufus (19) ci mostra come il proce-dimento era diffusissimo in quei territori che costituiscono l’odierno Kaschmir. Scri-ve infatti lo storico d’Alessandro: “Tugu-ria latere ab imo struunt et, quia sterilis est terra materia [in] nudo etiam montis dorso, usque ad summum aedificiorum fa-stigium eodem laterculo utuntur. Ceterum structura latior ab imo paulatim incremento aperis in artius cogitur, ad ultimum in carinae maxime modum coit. Ibi foramine relicto superne lumen admittunt”. Noto che, il procedimento è passato anche nel-l’ambiente mediterraneo dove la tradizione locale offre sempre la cupola chiusa in chiave: hanno la grande apertura circolare invece le cupole del Pantheon, del così detto Tempio della Tosse in Tivoli, la sala termale disegnata dal Peruzzi (18), il così detto “Tempio di Siepe”, in campo Marzio di cui la struttura ci è nota attra-verso un disegno del Giovannoli (19) ed altri edifizi minori, tutti di epoca Adrianea o a questa posteriori (20), quando cioè gli influssi orientali cominciavano a farsi sentire forte-mente in Roma. Lo stesso procedimento si ritrova in alcuni edifici cristiani della Palestina (la chiesa dell’Ascensione e il primitivo S. Sepolcro), su una delle vie principali cioè per le quali le forme irani-che e centro-asiatiche sono arrivate al Me-diterraneo. La massima parte delle cupole romane sopra citate, che possiamo ben studiare inquantochè ancor oggi esistono, si vedono essere costruite con una sede di nervature disposte secondo i meridiani che vengono a collegarsi tutte ad un anello in chiave, anello che forma l’occhio cen-trale della cupola. Gli spazi fra le nerva-ture sono riempiti con materiale. Questa armatura di centine immerse nella massa è identica a quella che Ibn Giubair ci de-scrive per la cupola lignea di Damasco, e con un procedimento analogo era costi-tuita anche la cupola del Santo Sepolcro a Gerusalemme, in quanto che quella disegnata dallo Zuallardo nel suo “De-votissimo viaggio di Gerusalemme” del 1586 (21) non fa se non, riprodurne una più antica, mantenendone intatto il procedi-mento costruttivo. Ciò darebbe a pensare che il procedimento romano non sia se non la traduzione in laterizio di un modo di costruzione in legno abituale nella regione siro-palestinense, ma non nato lì, bensì evidentemente importato, dall’India. Non mi meraviglierei che il tramite fra la costru-zione lignea siro-palestinense e la struttura romana a nervature in laterizio, fosse stato l’architetto di Traiano, Apollodoro di Da-masco. Infatti, la prima cupola romana dove il procedimento appare è il Pantheon, elevato sotto Adriano. Il migliore studioso della tecnica costruttiva romana, Auguste Choisy, osserva a proposito di un’opera di Apollodoro, il ponte sul Danubio: “il ressemble de tout point aux fermes à trois arcs conservées dans les monuments de l’Inde: Apollodore, son architecte, était de Damas et Damas est sur la route de l’Inde; aurait-il eu quelque connaissance de ce type asiatique?”(22). Il dubbio dello Choisy può oggi, per molte ragioni, essere risolto in modo affermativo.
UGO MONNERET DE VILLARD.


(1) The History and Evolution of the Dome in Persia, in The Indian Antiquary, XLIV, 1915, pag. 133 segg.
(2) VAN BERCHEM. Notes d’archéologie arabe, in Journal asiatique, 1891, I, pagg. 420-423.
(3) Viaggi, ed, Schiapparelli, pag. 286 segg.
(4) Si confronti quanto dice Malala a proposito del ter-remoto del 520, ed Evagrio per quello del 587. Dai loro dati si desume che la cupola doveva estere di legno.
(5) Il dato ci è conservato da Arculfo.
(6) Visse dall’897 al 925. Si veda il testo in SAINT--MARTIN. Histoire d’Arménie par le patriarche Jean (VI) dit Jean Catholicos, Parigi, 1841, pag. 64.
(7) Per l’analisi tecnica di tale struttura cfr. CHOISY, Hist. de l’architecture, I, pagg. 155-159. Un altro confronto interessante ci è dato dalla struttura delle cupole buddiste intagliate nella roccia a Guntupalle; Cfr. SEWELL, in Jour-nal of the R. Asiatic Soc., 1887, pag. 510 e tav, II
(8) A. GRÜNWEDEL. Bericht über arch. Arbeiten in Idikutschari, pag. 111-113.
(9) Op. cit., pag. 155.
(10) A. GRÜNWEDEL. Altbuddhistische Kultstätten in Chinesisch-Thrkistan, pagg. 336-338. In questo schizzo le misure non debbono essere esattissime, ma ad ogni modo si limita all’ordine del centimetri.
(11) History of Indian Architecture, pagg. 150-151.
(12) Cfr. A. FOUCHER. L’art gréco-buddhique de Gandhara, I (1905), pag. 63.
(13) G. COMBAZ, Les temples impériaux de la Chine, in Annales de la Société Royale d’Archéologie de Bru-xelles, XXVI, 1912, figg. 34-40. Che lo stûpa vuoto inter-namente ed accessibile quindi da una porta, esistesse anche in India, è presumibile dalla rappresentazione di un tale mo-numento fra le sculture di Amaravati (fig. 8), del I sec. d. C. Cfr. BURGESS. The buddist stupas of Amaravati and Jaggayapata in the Krishna district. Arch. Survey of In-dia, Londra, 1887, e J. FERGUSSON. Tree and Serpent Worship, Londra, 1868-73. Già nel passaggio dall’India alla Bactriana, lo Stûpa aumenta sensibilmente nelle dimen-sioni della cella centrale cli. quelli di Kotpur, Bîmarán, Passani e Sultanpur editi da WILSON, Ariana Antiqua, pagg. 65, 69, 89 e 95 e tav. II - V L’edificio a cupola è il risultato dell’ampliamento ultimo di tale cella,
(14) CHARDIN J. Voyages en Perse, ed. Langlès, Pa-rigi, 1811, vol. III, pag, 228.
(15) STEPHEN C. Archaeology of Delhi, Calcutta 1876, pag. 215.
(16) HOMMAIRE DE HELL Voyage en Turquie et en Perse (1859), tav, 76. Fra l’India e il Churasan, al passo di Chärkotlai (Swât) si trova un vihâra ad oculo centrale nella vôlta. Cfr. FOUCHER, op. cit., fig. 39.
(17) Hist. Alexand, M., VII, 3, 8, ed, Vogel, pag. 157.
(18) Cfr., RIVOIRA. Le origini dell’Arch. lombarda, I. ed. fig. 113; II ed. fig. 81, e cfr., fig. 42.
(19) Vedute degli antichi vestigi di Roma, fol. 39.
(20) Cfr. il disegno del DURM. Die Baukunst der Etrusker und Römer, 1905, fig. 334, per la struttura applicata a Santa Costanza.
(21) Vedi le riproduzioni in RIVOIRA, Le origini, II ed., figg. 321 e 323.
(22) Histoire de l’architecture, I, pag. 533.

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