FASCICOLO III - SETTEMBRE OTTOBRE 1921
CORNELIO BUDINIS: Ruggero Berlam (1854 - 1920), Parte I, con 16 illustrazioni
Una nobile esistenza d’artista, una vita tutta dedita al culto d’un alto ideale d’arte s’è chiusa recentemente. Ruggero Berlam fu uno di quei pochi architetti triestini che perseverarono durante l’intera loro vita nell’aspra lotta con le difficoltà che l’am-biente loro creava, per far si che anche nel campo delle arti Trieste si meritasse quel buon nome, che, per la straordinaria attività e per la rettitudine dei suoi citta-dini più intelligenti, si era procacciata nei commerci.
L’opera del Berlam per quanto svoltasi principalmente nella sua nativa Trieste, si esplicò anche fuori dei confini della Ve-nezia Giulia, in altre parti del Regno, e, come si vedrà da quanto verrò esponendo, e dalle figure che illustrano questo scritto egli va considerato quale uno dei migliori artisti d’Italia di questi ultimi quattro decenni. Per questo motivo un più diffuso accenno all’opera sua d’artista in questa nuova rivista italiana di architettura è doveroso e riescirà certamente gradito ai lettori. Incomincio subito coi dati biografici.
Ruggero Berlam, nacque a Trieste il 20 settembre 1854 dall’architetto Giovan-ni Berlam di Trieste e da Maria Cimbenaro di Capodistria. La famiglia sua proveniva dalla Svizzera francese (Gine-vra), ed il cognome della stessa consta esser stato originariamente Bartam, no-me che farebbe pensare ad una prove-nienza orientale (1). Il padre suo fu uno dei migliori architetti triestini dell’epoca sua. E di lui la ricostruzione della casa Gopcevich sul Canal Grande compiuta nel 1851, la casa Panfili in Piazza della Libertà e la casa Ruzzier in via Cesare Battisti, quest’ultima certamente il migliore dei suoi lavori, in puro stile lombardesco.
L’educazione e l’istruzione del giovine Ruggero furono dirette da suo padre in modo da sviluppare al massimo possibile le inclinazioni artistiche del fanciullo. Questi ebbe maestri di rettorica e di poesia ed ap-prese armonia e contrappunto. L’aridità dell’insegnamento scolastico non si confa-ceva però alla sua tempra d’artista. Egli si diede, ancor giovinetto, a dipingere dal vero e fece già allora dei grandi quadri di paesaggio del Carso triestino, molto lodati per la trasparenza e la buona pro-spettiva aerea.
Frequentò da prima la scuola del pae-saggio all’accademia di Venezia, poi quella di architettura all’accademia di belle arti di Milano, ove fu dal 1874 al 1877 allievo prediletto di Camillo Boito.
Dall’anno 1878 in poi, le notizie bio-grafiche su Ruggero Berlam sono stretta-mente connesse alla storia dello sviluppo edilizio di Trieste. Esaminiamo quindi an-zitutto le condizioni dell’ edilizia di Trieste negli ultimi decenni del secolo scorso.
Astraendo dagli scarsi avanzi di costruzioni più antiche che avessero qualche va-lore artistico, si può dire che l’unico stile che conferisce un carattere ben definito ad alcune parti della città sia lo stile Impero. Principali rappresentanti di esso sarebbero il palazzo Carciotti del Pertsch, il Teatro comunale del Selva e del Pertsch, l’edificio della Borsa del Molari e le due ville Necker e Murat (quest’ultima già demo-lita), rifugi pieni di poesia di Napoleonidi dispersi. Appartengono a quest’epoca molte altre case più modeste dagli ampi ed alti magazzini a pianoterra, con vaste scale a tre rampe, con scarsa, ma assai caratte-ristica ornamentazione specialmente nelle balaustrate dei poggioli. Segue un epoca di minore e meno spiccata attività edilizia, nella quale, astraendo da singoli esempi di opere monumentali, le costruzioni pri-vate, ispirate a gretta speculazione, sono prive di qualsiasi carattere artistico. Solo negli ultimi decenni del secolo, l’aumento considerevole della popolazione ebbe per naturale conseguenza un nuovo fervore di attività edilizia. Non fu però, in generale, l’amore per l’arte nostra sovrana, quello che diede la prima spinta a tale nuovo fervore. Quella corrente che, anche nei precedenti decenni aveva fatto, serpeggian-do, la sua comparsa nella vita cittadina, e, diciamolo a nostro conforto, che aveva funestamente influenzato anche altre grandi città, corrente che considerava la costru-zione edilizia puramente quale fonte di ignobile lucro, andava ora rinforzandosi ed irrobustendosi lentamente, ma con incesso sempre più sicuro e prepotente. Il capitale si rivolse ora con speciale accanimento al-l’acquisto di fondi e così anche Trieste divenne preda di quel cancro roditore della vita di molte città moderne, che è la spe-culazione sui terreni, e la costruzione di edifici, a scapito dell’estetica cittadina e del buon nome della città, fu ispirata esclu-sivamente a pura e gretta speculazione affaristica. E nemmeno i doviziosi più fortunati, che furono in grado di costruire, per proprio uso, case più grandi e più degne del loro grado sociale, vanno esenti dal rimprovero di essersi curati poco dell’estetica cittadina, perchè, salvo poche eccezioni, tra le quali va onorevolmente menzionato Filippo Artelli che si fece ar-chitettare da Giorgio Polli un palazzo che ricorda anche all’esterno le glorie di Ve-nezia, quasi tutti curarono esclusivamente ed anche egoisticamente soltanto gli interni delle loro case, mentre per l’esterno nessun sacrificio veniva fatto.
La povertà intellettuale dei progetti che venivano presentati all’autorità edile in quella funesta epoca di vitalità straordi-naria della corrente affaristica suddetta, risulta all’evidenza da un esame della ricca raccolta di disegni nell’archivio dell'Ufficio tecnico comunale di Trieste. Men-tre i disegni dei decenni precedenti a quelli in parola, tirati bensì ad alito represso e con pazienza da certosino, mostrano una certa sobrietà e sono sempre in armonia col ca-rattere pseudo-classico allora di moda, i progetti dei decenni seguenti, dell’epoca cioè della gretta speculazione, non nascondono nemmeno con un disegno più accurato la nullità del loro contenuto. Sorsero in quell’epoca degli edifici importanti, eretti con criteri di puro affarismo. Sorse, ad esem-pio, un vastissimo Teatro, del quale unico pregio è la capacità rilevante, mentre la disposizione in pianta è puerilmente pri-mitiva e la decorazione architettonica del-l’interno apparisce quale vera parodia della moderna architettura del ferro.
Come, per legge fisica, ogni azione ge-nera reazione, così una ribellione contro tale corrente doveva scoppiare, e qui com-parisce alla ribalta della vita intellettuale cittadina la figura di Ruggero Berlam, che a cotesta corrente di sozzo affarismo in due efficacissimi modi si oppose: anzitutto col-l’esempio dato colle sue opere e poi colla sua attività in seno alla Commissione alle pubbliche costruzioni. Dirò anzitutto delle opere da lui eseguite.

Uno dei suoi primi lavori, incominciato ancora nel 1878 si fu il disegno della casa Hermannstorfer (fig. 2) e dell’unito Teatro Fenice. Distrutto da improvviso incendio, la seta del 27maggio 1876, l’anfiteatro Mauro-ner, Ruggero Berlam ebbe l’incarico di pro-gettare il nuovo teatro, al quale, perché ri-sorto più bello di prima dalle ceneri, fu dato il nome di Fenice. Le robuste bugne della facciata della casa costruita dinanzi al Teatro, il forte effetto di chiaroscuro derivato dalle finestre profondamente incas-sate e più di tutto la sobria ed armonica composizione dell’intera facciata, mostra-rono già da questo primo lavoro fatto dal Berlam in collaborazione col padre, quanto Trieste poteva attendersi dall’arte sua. Dell’istessa epoca è il suo progetto della casa Renner all’acquedotto, nonchè la casa ex Eredi Berlam, al N. 24 di via Giosuè Carducci, che per il signorile decoro della sua facciata d’un Rinascimento ardi-tamente commisto a dei motivi boitiani mediovaleggianti, avrebbe potuto servir d’esempio ai nostri architetti del modo come andava affrontato il problema di decorare facciate prospettanti su principali strade cittadine. Dico avrebbe potuto perchè allora la sua era ancora quasi "vox cla-mantis in deserto", e ci vollero molti anni ancora ed una lunga serie di lavori suoi finchè, colla costruzione avvenuta nel 1887 della casa Leitenburg in via Cesare Battisti le case costruite dal Berlam a scopo di civile abitazione acquistarono un carattere tipico, e quel colorito personale che si riscontra in tutte le opere d’un vero artista. A molte opere attese il Berlam in questo primo de-cennio della sua attività ed accennerà bre-vemente al Castello di Spessa presso Cor-mons (1880-1911) al Politeama Ciscutti di Pola (1881), ai padiglioni dell’espo-sizione di Trieste, del 1882, a diversi villini a Trieste al riattamento del pa-lazzo del bar. Reinelt e delle case Della Torre e Micheluzzi nel 1884, al Sanatorio Villa Igea ed alla casa Nordis nel 1885. Ma soltanto con la costruzione della casa Leitenburg sopranominata, il Berlam co-minciò ad esercitare sugli artisti locali quella forza suggestiva che trascina seco le più giovani energie. Molte di queste case “cor-dialmente rosse nella nudità del laterizio”, come bene le descrive Silvio Benco (2) “e listate di bianco, o gaiamente multicolori per il ricorrere dei fregi di maiolica o dei finti graffiti sotto le gronde”, sorsero in stretta parentela colle sue a Trieste, e costituiscono uno dei tratti caratteristici dell’edilizia triestina di quegli anni.
Importanza speciale ha, tra i lavori del Berlam in quel decennio, il progetto da lui presentato al secondo Concorso (1884), per il monumento nazionale a Vittorio Ema-nuele II a Roma. Eravamo nell’epoca in cui I’ Italia ufficiale cercava di evitare ogni attrito con l’Austria. Per non incorrere in un veto governativo Ruggero Berlam fece presentare il suo progetto, spedendolo ano-nimo, da Milano. L’opera, custodita ora nel civico Museo di Storia d’Arte, era stata ideata in collaborazione intellettuale con Attilio Hortis, l’umanista insigne che onora Trieste al Senato del Regno, ed era riuscita bella e degna dell’alto argomento. Ma Agostino Depretis, allora presidente dei ministri, così mi racconta t’architetto Ar-duino, figlio di Ruggero Berlam, tanto fece, che riusci a sapere che il progetto era opera di un irredento e saputolo fece si che non fosse preso in considerazione.
Tra le molte costruzioni, alle quali attese il Berlam negli anni seguenti, troveremo un gruppo di opere fatte ad Udine ed altro gruppo di edifici costruiti a Parenzo. Ciò si spiega, oltre che colla sua fama di va-lente architetto, che si diffondeva sempre più, anche con la circostanza che una sua sorella si era maritata col dott. Silvio Sbisà, figlio del podestà di Parenzo, ma residente a Udine, quale esule politico, Udine divenne per il Berlam una seconda patria: molto vi oprò ed ebbe colà affezionati amici. Colà si trasferì quando l’Austria accese la fiac-cola della guerra mondiale, che il Berlam considerò subito quale guerra di redenzione.
Negli ultimi anni del secolo il Berlam attese alla costruzione di parecchi villini, che troppo lungo sarebbe enumerare, ed è dell’anno 1890 la sua grande villa Hag-giconsta eretta in belle e pure forme italiane sul promontorio di Sant’An-drea. Tra le opere da lui fatte a Parenzo in quell’epoca accennerà alla casa dome-nicale Sbisà, alla casa del cap. Corrado Danelon, alle case Polesini e Vascotto, nonchè ai Bagni di Parenzo, mentre a Trieste egli attese nel 1893 al ristauro radicale della villa Economo in via Ro-magna, nel 1895 alla costruzione dello studio del pittore Scomparini, ed a Gorizia nel 1899 al restauro del Teatro Sociale.

(Continua). CORNELIO BUDINIS.

(1) Osserverò qui che parecchie famiglie di buoni archi-tetti e costruttori triestini furono di origine svizzera, così oltre al Berlam le famiglie Nobile, Righetti. Scalmanini e Catolla.
(2) Silvio Brenco, Trieste - Trieste, 1910, p. 143.

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