FASCICOLO II - SETTEMBRE 1921
NOTIZIARIO
CRONACA DEI MONUMENTI.

Nel GARGANO il campanile della chiesa di San Mi-chele, opera notevole del sec. XIII, trasformata nei periodi successivi, è stato quasi distrutto da un fulmine. È ancora un ammonimento del Cielo perchè siano difesi sistematica-mente i nostri edifici monumentali con parafulmini ben impiantati e ben mantenuti, e più in generale perche l’opera delle Sovraintendenze ai monumenti sia volta anzitutto alla conservazione, e soltanto poi al lavori eleganti di ripristino e di completamento.
Ad ANCONA nella cattedrale di San Ciriaco sono ormai avanzati i lavori di riparazione dei danni del bom-bardamento subito il 24 maggio 1915; i quali danni sono stati gravi solo nella cappella del Sacramento, quasi distrutta. In alcuni punti quasi può dirsi che il santo patrono abbia vegliato sulla sua chiesa ed abbia dato un’intelligenza alle bombe distruttrici; così ad esempio nelle navatelle il tiro d’infilata ha distrutto le voltine in foglio, relativamente recenti, che nascondevano il tetto, ha rimesso in luce la parete e la copertura ed ha rivelato l’esistenza, interessan-tissima nella storia dell’architettura medioevale italiana, di quattro archi rampanti che, racchiusi sotto il tetto, riporta-vano sapientemente agli angoli della croce la spinta della cupola centrale.
Ora i lavori in corso consistono nella ripresa degli squarci fatti nelle pareti e nella copertura, nella nuova fodera in lastre di rame della cupola, nella ricostruzione del mirabile sepolcro del beato Giannelli, dovuto a Giovanni di Trau, che era nella cappella del Sacramento. Da tali restauri si è preso occasione per il ripristino delle pareti del braccio destro della croce che costituiva la cosidetta Cappella del Crocefisso e per uno studio di organico restauro generale della chiesa; ed intorno a tali questioni fervono discussioni vivaci ed appassionate. Esse tuttavia si rivolgono più che altro a quesiti secondari ed a spicciole modalità: ma ciò che invece deve trovare generale consenso di parte e di azione consiste in due voti essenziali: l’uno, che si provveda subito a difendere mediante scogliere il promontorio stesso su cui è S. Ciriaco, ove tendono a manifestarsi minacciose frane per azione delle onde marine; l’altro che si desiste definitivamente dal proposito, che ogni tanto si riallaccia, di completare all’esterno il restauro iniziato dal Sacconi - uno dei più malaugurati restauri degli ultimi trent’anni - per il quale si è osato sostituire alla autentica cornice di coronamento della chiesa una cornice nuova imitata da quella, e circa un metro più bassa!
Recenti voti della II sezione del Consiglio superiore per le Antichità e le Belle Arti hanno stabilito che sia inte-gralmente conservata la Porta maggiore in FANO e par-allelemente la Porta a Mantova in CARPI, ambedue minac-ciate da ampliamenti edilizi.
La chiesa di S. Andrea in VERCELLI ha in questi ultimi anni destato gravi preoccupazioni, poichè si è cre-duto di vedere un notevole aumento dello strapiombo della facciata, tipico in questa come in tante altre opere medioevali. Gli studi di una Commissione, di cui facevano parte il Prof. Giovannoni, l’Ing. Sertour, l’Ing. Bertea hanno dimo-strato trattarsi di un falso allarme, e dopo aver lungamente discusso proposte di ricostruzione della parte superiore della facciata (analogamente a quanto è stato fatto per la catte-drale di Como) hanno ritenuto più opportuno il sostituirvi una serie di piccoli provvedimenti dl rinforzo, come sosti-tuzione di alcuni elementi fatiscenti, l’apposizione di un razionale sistema di catene, ecc. Tale decisione quindi rien-tra nel comuni provvedimenti di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma appunto per la sua modestia assume im-portanza di una norma essenziale nella conservazione dei monumenti antichi: i quali non possono essere considerati - se non si vuole arbitrariamente distruggere l’autenticità costruttiva ed il carattere d’arte - con gli stessi criteri sta-tici che vigono per le fabbriche nuove. Nei vecchi edifici, come nel vecchi organismi umani, al costituiscono schemi di risorsa e di compenso pei quali le strutture troppo aggra-vate resistono indefinitamente: e come il rinnovare tutto rappresenta un grave danno artistico e finanziario, così anche l’alterare questi schemi può improvvidamente creare uno squilibrio non più riparabile. A proporre pertanto opere organiche di ripresa o di ricostruzione di un monumento ai dovrebbe giungere solo per un criterio sperimentale più che su di un criterio scientifico basato su ipotesi teoriche sulla resistenza del materiale. Osservare accuratamente le even-tuali perturbazioni statiche progressive e provvedere secondo l’osservazione sintomatica, progressivamente: questa dovreb-be essere la norma fondamentale in chi ha l’arduo compito della conservazione dei vecchi testimoni della civiltà e del-l’Arte.
REGGIO EMILIA — La facciata del palazzo Busetti. una delle più belle opere seicentesche dell’Emilia è stata recentemente deturpata dall’apertura di porte di bottega che sostituiscono goffamente due delle magnifiche finestre del piano terreno. E la Direzione generale per le Belle Arti ha avuto la non scusabile debolezza di consentire al deturpa-mento.
PAVIA — S. Eusebio, elegante chiesa barocca che si eleva sui resti di un’antica interessantissima cripta, forse del IX secolo, sta per essere sacrificata, poichè ha avuta la disgrazia di capitare nelle adiacente dell’area ove si costruisce un nuovo palazzo delle poste e dei telegrafi, del quale avrebbe nascosto la orribile facciata! Nessuna ragione di viabilità o d’igiene giustifica il sacrificio, e meno ancora una ragione finanziaria: poichè anzi il vasto ambiente della chiesa avrebbe potuto, con un grandissimo risparmio di spesa, essere utilizzato come sala del pubblico del palazzo. L’asinità e la barbarie non l’hanno permesso !
L’unica difesa che ancora si tenta è quella della cripta medioevale posta sotto l’area del presbiterio, che forse vena salvata col disporre nella piazza una specie di terrazzo rial-zato dal piano stradale.
RESTAURI DANTESCHI — Il centenario della morte dei sommo poeta è occasione di una serie di opere di ripri-stino di monumenti. E se pure per talune il legame e alquanto artificioso, devesi tuttavia esser lieti di queste ini-ziative, pio utili e durature certo delle cerimonie e dei discorsi.
Alcuni dei detti monumenti in corso di restauro sono edifici del tempo di Dante, altri si trovano in relazione con la sua vita, ovvero sono più o meno direttamente men-zionati nel poema sacro.
Così ad Anagni si sta ottimamente ripristinando il grande palazzo di Bonifazio VIII, magnifica e grandiosa costruzione che vide "in Alagna entrar lo fiordaliso". A Verona si intende ricomporre l’antico Arco dei Gavi, il quale tuttavia non potrà, per ovvie ragioni edilizie, ritornare sulla Via del Pallio ove Dante lo vide. A Ravenna risorge la cappella dei Polentani. A Firenze nel "bel San Giovanni" si sono iniziati i lavori per ricostruire l’antico fonte battesimale i cui plutei tuttavia verranno opportunamente collocati in forma provvisoria, non definitiva. Se Infatti la disposizione generale del fonte ci è nota pel disegno che ne fece il Buontalenti prima della demolizione, e se molti pezzi splendi-damente intagliati (secondo il tipo del battistero pisano) sono stati ritrovati in murature posticcie sulla vÔlta, egli è pur vero che moltissimi elementi mancano ancora e che gli scavi fatti hanno accumulato nuovi problemi pio che non li abbiano eliminati. Così, ad esempio, in nessun modo riu-sciamo a ritrovare la posizione ed il tipo dei pozzetti "fatti per luogo de’ battezzatori" nè a determinare precisamente le condizioni di accesso alla vasca; ed è ben giusto che fin-chè tali problemi non siano ben risolti, (nè i quesiti di restauro possono risolversi a data fissa), la ricomposizione degli elementi esistenti della chiusura ed il loro completa-mento in gesso nelle parti mancanti abbia carattere dimostrativo e non costituisca una sistemazione permanente.
TRENTO — Chi sia stato a Trento in questi ultimi tempi ha potuto vedere e saputo cose deplorevoli sulla sorte dei monumenti così caratteristici della Venezia Tridentina.
La locale Sovraintendenza non ha nè uomini nè mezzi per poter impedire le devastazioni e le rovine che quasi gior-nalmente avvengono. Le leggi italiane in materia di edifici monumentali e di oggetti d’arte non hanno avuto ancora applicazione. Anzi l’Avvocatura Erariale di Trento ha ufficialmente dichiarato che "il governo non ha mezzi per impe-dire la demolizione di monumenti posseduti da privati" il Comissariato Civile si fa compiacente partigiano di coloro che alle ragioni ideali antepongono la materialità degli affari.
Pur tacendo di quanto riguarda gli oggetti d’arte e gli scavi archeologici, i danni subiti dai monumenti del Tren-tino sono veramente incalcolabili
Esempio tipico la bella torre di Tenno, sullo sfondo del lago di Garda, famosa non foss’altro per l’episodio dei Gatta-melata narratoci dal Macchiavelli, la quale, malgrado gli sforzi di pochi volonterosi, fu veduta miseramente crollare.
Ma il caso più, grave e più significativo è certamente quello delle case Ranzi.
Caratteristica particolare della Città di Trento si è quella di non possedere una piazza veramente centrale, bensì di raccogliere la maggior parte del traffico urbano all’intorno di un quadrilatero di case circondate all’ingiro dalla Via Larga, dalla Via del Teatro, dalla Via Oriola e Piazza Macello Vecchio, e dalla Via di S. Pietro: quello che vol-garmente si chiama "il giro del Sasso". Questa, come è la più, frequentata, così è la parte più, tipica della città; e mentre vi abbondano importanti monumenti di ogni età e di ogni genere, è specialmente ai quattro angoli del qua-dritatero che si accentrano gli edifici di interesse più peculiare. L’angolo di Nord-est il cosidetto "Cantone" fu lar-gamente rimaneggiato, non senza critiche, pochi anni pri-ma della guerra; ora è la volta dell’angolo di sud-est.
La Congregazione di Carità, poco prima dello scoppio della guerra, vendette ad una ditta cittadina le quattro case che, prospettando in parte sulla Via S. Pietro, in parte sulla Piazza del Macello, costituiscono la cantonata e formano un insieme tutto "sui generis", in quanto che a due case di tipo trentino del rinascimento ai accoppia un’altra casetta settecentesca, mentre l’angolo vero e proprio consta di un edificio di varie epoche, caratterizzato da un grande sporto a bifore gotiche e movimentato da un piacevolissimo alter-narsi di pieni e di vuoti.
Già il governo austriaco si era opposto a qualsiasi manomissione di quel gruppo di case in cui riconosceva una spiccata fisionomia locale, che giovava ad ogni costo con-servare. E allorquando, avvenuta la liberazione, si parlò la prima volta di un abbattimento dell’intera cantonata, per dar posto ad un edificio moderno, l’Ufficio Belle Arti inter-venne prontamente col proprio veto a tutela del carattere eminentemente trentino di quel gruppo di case.
Le discussioni animate si protrassero poi per lunghi mesi. Che se fra i demolitori ad ogni costo non potevano man-care i famigerati paladini delle "esigenze moderne", e se a loro ebbero perfino ad unirsi gli scalmanati patriottardi, insofferenti di certi motivi architettonici di preteso gusto settentrionale, la Commissione regionale per le Belle Arti entrò decisamente in lizza a favore della conservazione dei monu-menti del lontano passato, a qualunque periodo storico od a qualunque eventuale corrente artistica essi possano appar-tenere, accogliendo il plauso: non solo del circolo degli artisti. ma di quanti altri cittadini sentono veramente quanto im-porti di conservare a Trento le impronte caratteristiche della secolare sua storia.
Così stavano le cose, allorquando, in occasione della assenza del direttore dell’Ufficio per le Belle Arti, inviato a Vienna, la ditta proprietaria riuscì ad ottenere dal Com-missariato Generale il permesso di procedere senz’altro all’abbattimento dell’intero gruppo di case; e, senza frapporre altri indugi, lavorando febbrilmente di notte, riuscì in breve tempo a demolire le parti più importanti dell’edificio d’an-golo, fracassando a furia ogni cosa....
Così il Trentino, che con tanto ardore aveva atteso il giorno della liberazione, vede oggi, a più di due anni dalla data memoranda, scomparire per colpa del governo italiano, quegli stessi gelosi documenti del suo passato che la tiran-nica dominazione austriaca non aveva osato di toccare.

CONCORSI.


CONCORSO PER UN NUOVO PONTE IN PIETRA SUL TEVERE IN ROMA.

Al Concorso per un nuovo Ponte sul Tevere in Roma presso il nuovo quartiere di Piazza d’Armi hanno parteci-pato molti architetti sia di Roma che di altre Città d’Italia.
Ancora una volta, chi ha compilato il programma, non ha creduto di seguire il criterio raccomandato ripetutamente dalle varie Associazioni di Architetti e di Artisti, e cioè che i Concorsi di Architettura non debbano essere limitati alla decorazione architettonica di un edificio ideato da altri, ma debbano invece lasciar libera all’autore la concezione strutturale e decorativa, che sempre devono essere indisso-lubilmente connesse.
Ad onta di ciò, i risultati sono stati ottimi sia perchè la linea costruttiva del ponte era equilibrata, sia perchè fra i concorrenti vi erano vari architetti di ben noto valore.
Dobbiamo rallegrarci per il sano indirizzo che ha trion-fato in questa gara. Infatti tutti e sei i progetti che più hanno richiamato l’attenzione del pubblico e della Commissione Giudicatrice (e dei quali riproduciamo qualche grafico) hanno dimostrato che gli autori si sono completamente libe-rati dai criteri artistici che imperavano nell’ultimo cinquantennio in Italia, ed ai quali dobbiamo tanti brutti ponti accanto a quelli semplici e meravigliosamente suggestivi dei secoli scorsi.
In Roma, facendo eccezione per il Ponte Margherita e per il Ponte Marmorata, il quale ultimo nella sua sempli-cità costruttiva, torna al senso della austerità antica, ave-vamo avuto una fioritura di ponti concepiti senza alcun criterio di ambiente nè di buon gusto: è quindi una sana reazione quella che si è ora affermata nella coscienza degli artisti e del pubblico contro quelle opere in cui la ricerca di una monumentalità non sentita, tanto pregiudica la bel-lezza panoramica della nostra Città.
I progetti premiati sono quelli dell’Arch. Augusto Anto-nelli, scelto per l’esecuzione, e quello dell’Arch. Felice Nori.
Gli altri progetti furono apprezzati dal pubblico e dalla Commissione, e noi li pubblichiamo sia perchè molto in-teressanti, sia perchè nel loro complesso caratterizzano tua giovane scuola che con rara genialità dimostra dl essere matura per affrontare i vari temi di architettura moderna e di ambiente.


CONCORSO PER IL NUOVO EDIFICIO DELL’ ISTITUTO NAZIONALE
PER L’ISTRUZIONE PROFESSIONALE IN ROMA.

Il nuovo palazzo dell’Istituto Professionale dovrà sorgere sul viale Conte Verde e riunirà in un’unica sede l’attuale Istituto Professionale, il Museo Artistico industriale ed altre scuole minori del genere. Oltre all’edificio delle scuole che occupa circa mq. tre mila vi saranno le officine per le eser-citazioni pratiche.
Il Concorso per l’edificio indetto dal Ministero dell’indu-stria e del Commercio è stato giudicato da una commissione composta dei professori Ferrari, Manfredi e Giovannoni e degli ing. Venezian e Andreoni.
Il primo premio è stato assegnato al progetto dell’archi-tetto Marcello Piacentini con la proposta dell’esecuzione dell’opera; il secondo premio è stato assegnato agli archi-tetti Leoni e Benigni. Un terzo premio è stato assegnato all’Arch. Canigia.
Dalla relazione della giuria togliamo queste frasi riguar-danti il progetto vincitore:

"Nella espressione architettonica delle facciate, raggiunta con grandissima sobrietà, senza cornici e senza ornati, è la rispondenza. che quasi può dirsi di sentimento generale, con la struttura in cemento armato, ben più efficace che non quella della spicciola e meschina ripetizione degli elementi di una nascosta intelaiatura e nell’aspetto d’insieme, sem-plice, severo, a larghe linee, vario nella unità, è la armonica concordanza con l’espressione insita nel tipo del fabbri-cato e nella sua destinazione, con le condizioni richieste dal-l’ambiente. Un istituto tecnico-artistico d’istruzione profes-sionale in Roma è veramente nella sua sede adatta in questo edificio,,.

La relazione chiude ben augurando per l’attuazione del-l’edificio che sorge come espressione di una nuova e pro-mettente tendenza nell’indirizzo didattico italiano e che certo dovrà riuscire degno dell’idea , che accoglie e della città in cui si eleva.


CONCORSO PER UN SERBATOIO D’ACQUA A VILLA UMBERTO I
IN ROMA.

È un concorso che fu bandito e giudicato da molto tempo. I lavori però saranno iniziati solo ora.
Riteniamo interessante pubblicare i due migliori pro-getti poichè riguardano un problema architettonico che forse si è presentato per la prima volta in tanto caratteristiche condizioni. Si tratta infatti di una costruzione moderna, quale un serbatoio di cemento armato, da collocare in quella sontuosa e caratteristica Villa seicentesca che Villa Um-berto I già Borghese. La proporzione antiestetica del ser-batoio, così come era stato concepito nella sua ossatura scheletrica, non ha impedito, sia all’Architetto Raffaele De Vico, vincitore del concorso, sia all’Architetto Gio Ven-turi (che ebbe il secondo premio), di ideare costruzioni bene proporzionate e ambientate pur conservando il carattere particolare della loro funzione.
Del progetto del De-Vlco riproduciamo un modello in gesso e un disegno d’insieme di quello del Venturi un prospetto e un dettaglio.


CONCORSO PER IL MONUMENTO COMMEMORATIVO DELLA INDIPENDENZA DEL BRASILE

Il Monumento Commemorativo della Indipendenza del Brasile, che si erigerà nella Città di San Paolo, sulla collina dell’ Ypiranga, è destinato a perpetuare la memoria della proclamazione della Indipendenza del Brasile, ed a rendere omaggio alle principali figure storiche che coope-rano al fausto evento del quale nel settembre 1922 si cele-brerà il primo centenario.
Il monumento sorgerà a mezza costa della collina del-l’Ypiranga: nella quale sbocca in linea retta un viale di 45 metri di larghezza. A causa del declivio del terreno una grande piana vi è sistemata su due piani con dislivello di circa quat-tro metri l’uno dall’altro. Il piano inferiore che ha la forma di losanga è collegato a quello superiore da grandi gradinate.
Sul piano superiore sorgerà il monumento propriamente detto che ha in alto il gruppo trionfale della repubblica: e sulla fronte della zona basamentale il grande altorilievo rappresentante la proclamazione della libertà al grido "ndi-pendenza o morte".
Al concorso internazionale hanno preso parte artisti spagnuoli argentini, americani del nord, svizzeri, francesi ed italiani.
Conseguì il primo premio e fu prescelto per l’esecuzione il progetto dello scultore Ettore Ximenes e dell’architetto Manfredo Manfredi; fu assegnato il secondo premio al pro-getto dello scultore Brizzolara, pure italiano, ed il terzo premio al progetto dell’architetto Etzel brasiliano in unione allo scultore Contratti italiano.
Il monumento dovrà inaugurarsi solennemente nel set-tembre 1922.
La parte scultoria sarà eseguita in bronzo: quella archi-tettonica in granito.
Siamo ben lieti pubblicare quest’opera insigne che di-mostra ancora una volta la perenne vitalità dell’arte italiana e il valore dei nostri illustri colleghi che godono tanta me-ritata considerazione in Italia e all’Estero.
A. FOSCHINI.


CONCORSO PER IL MONUMENTO AL FANTE

Come i lettori avranno già appreso dai quotidiani, il Concorso di II grado ha avuto esito negativo inquantochè la giuria (composta di Leonardo Bistolfi presidente, degli scultori Dazzi, Quadretti e Andreotti e degli architetti Moretti, Manfredi, Stacchini e Greppi) ha creduto che nessuno dei progetti presentati potesse aspirare all’onore d’essere co-struito. Notiamo da parte nostra che la relazione non pecca certo di eccessiva chiarezza rilevandovisi qua e là delle contraddizioni non del tutto formali ed apparenti. I giudici hanno poi proposto di assegnare un indennizzo di spese di lire ventimila ad ognuno dei cinque concorrenti, esprimendo il voto che si faccia un nuovo concorso nazionale.
La Rivista non entra in merito al verdetto della giuria, ma con il gentile permesso degli autori si limita ad offrire varie riproduzioni dei progetti stessi dolendosi soltanto che la ristrettezza dello spazio non abbia dato modo di ripro-durre maggiori particolari.
Formuliamo l’augurio che la terza prova (la quale rico-mincierà.... ab ovo) sia definitiva anche perchè il pub-blico d’oltralpe e d’oltremare sappia che le nostre capa-cità artistiche non sono affatto esaurite e tra sè "di noi non rida".


NOTIZIARIO D’ARTE MODERNA.


BANDI DI CONCORSO.

È bandito tra Concorso da parte del Governo egiziano per il progetto dell’Ospedale di Casr-e-Aini, con istallazioni per 1225 letti.
Il Concorso si farà in due prove: la prima sarà un con-corso preliminare aperto a tutti gli architetti, e la seconda un concorso finale limitato a dodici architetti, di cui sei desi-gnati dal giudice, fra coloro che avranno presentato i pro-getti migliori nel concorso preliminare e gli altri sei nomi-nati dal Governo egiziano su proposta del giudice, che sarà Mr John Smipson, Presidente dell’istituto Reale degli Archi-tetti Britannici, Membro Corrispondente dell’Istituto di Fran-cia, le cui decisioni saranno inappellabili.
Le richieste dei documenti relativi al concorso dovranno essere indirizzate a
S. E. il Ministro dei Lavori Pubblici

CAIRO (Egitto).



oppure
Al Sig. Segretario
dell’istituto Reale degli Architetti Britannici
9, Conduit Street LONDRA W. 1

Le dette richieste dovranno essere accompagnate dà un assegno di tre lire egiziane o di un equivalente valore in lire sterline, la quale somma sarà rimborsata a coloro che presenteranno un progetto coscienzioso, o che rinvieranno i documenti in buono stato nel termine di un mese a partire dalla data della loro domanda.
I progetti del concorso preliminare dovranno pervenire al Ministero Egiziano dei Lavori Pubblici entro il 3 ot-tobre 1921.
Questo concorso ci sembra bandito in forma alquanto strana. Un architetto inglese il quale potrà essere, anzi sarà certamente, uomo integerrimo e professionista competentis-sino, sceglierà di propria iniziativa 6 architetti di sua fidu-cia che dovranno concorrere unitamente ad altri 6 riusciti migliori nel concorso preliminare, aperto a tutti. Egli stesso poi sarà il giudice finale del Concorso. Questo giudice dun-que si sceglie da solo i concorrenti e il vincitore.
Questo sistema non offre alcuna garanzia dl serietà e di correttezza. Noi perciò segnaliamo il fatto, e invitiamo gli architetti italiani a non prender parte al concorso, non solo per non esporsi a sicura perdita di tempo e di energia, ma anche in segno di protesta contro tali sistemi.
- Dall’Università di Padova è bandito un concorso tra artisti italiani per un progetto di opera
che ricordi in modo degno i 198 studenti caduti per la Patria nell’ultima guerra.
L’opera deve consistere nell’esecuzione in bronzo della porta principale dell’Università. La porta è a due battenti che dovranno essere mantenuti nelle dimensioni attuali, senza stipite fisso. Essa è chiusa in alto da una mostra fissa orna-mentale a semicerchi che potrà essere sostituita con altra o variata o lasciata intatta a giudizio dell’artista concorrente purchè alla lunetta sia mantenuta una parte della sua luce, e non sia quindi totalmente riempita dalla scultura. Comiplessivamente la porta misura in altezza a 5.54 ed è larga a 3118. Sarà però opportuno che l’artista prenda le mi-sure sul posto essendovi qualche anomalia tanto nella parte rettangolare quanto in quella circolare.
La porta sta aperta durante i giorni di lezione e chiusa durante le vacanze. Deve portare in rilievo od incisi i nomi degli studenti caduti; l’artista deve dunque pensate che l’ono-ranza resa a questi appaia evidente sia a porta aperta sia a porta chiusa. La leggenda che dirà la grandezza del ricor-do potrà eventualmente trovar pasto sulla parte semicirco-lare del portone.
Ciascun artista concorrente dovrà presentare:
1. - Un bozzetto in rilievo nella scala di almeno un quarto di tutta la porta completa.
2. - Un particolare della porta, a scelta dei concor-rente, modellato io grandezza dl esecuzione.
3. - L’indicazione della somma che si richiederebbe per la completa esecuzione e posizione in opera della porta: limite massimo 80.000 lire, non compresa la fornitura della materia prima (bronzo).
La scelta dell’opera o delle opere sarà fatta da una com-missione di cinque membri, 3 prescelti dall’Università e 2 dai concorrenti.
I bozzetti dei concorrenti dovranno giungere alla Segre-teria della R. Università non più tardi delle ore 18 dei 15 dicembre 1921.
All’artista dichiarato vincitore dalla Commissione potrà essere affidata l’esecuzione dell’opera. Ove questa non gli sia concessa riceverà un premio di L. 5.000.
L’opera dell’artista vincitore non potrà mai esser com-messa per l’esecuzione ad altro artista.
Un secondo premio di L. 2.000 potrà esser conferito dall’Università, su proposta della Commissione, all’artista dichiarato migliore dopo il vincitore.
Per maggiori particolari, disegni o fotografie del portone universitario, i concorrenti potranno rivolgersi all’Ufficio di Segreteria.

- Il Comitato Cattolico Dantesco che promuove i restauri della chiesa di San Francesco in Ravenna, dove il divino Poeta ebbe i funerali e presso la quale riposa la sua spoglia mortale, bandisce un concorso per la decorazione pittorica a fresco nella chiesa medesima.
La decorazione deve inspirarsi al ricordo di Dante, ai suoi funerali e alle sue visioni
ultraterrena.
I progetti dovranno essere consegnati alla Segreteria del Comitato il giorno 8 settembre.
Ai tre migliori ritenuti degni di premio saranno asse-gnati un primo premio di L. 11.000,
un secondo di L. 5000, un terzo di L. 4000. Qualora non si potesse addivenire a cotale
distinzione di merito, la somma sarà ugualmente di-visa fra i cinque migliori progetti.



BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
ARTE ANTICA.

DUE RECENTI STUDI SULLA BASILICA SOTTERRANEA DELLA VIA PRENESTINA IN ROMA.

Fra le scoperte archeologiche che più hanno destato ru-more in questi ultimi tempi senza dubbio occupa il primo posto la basilica sotterranea rinvenuta presso la porta maggiore il 21 aprile 1917. La basilica si conserva tettonicamente intatta con il suo atrio quadrangolare, le sue tre na-vate distinte da pilastri, il suo abside, il suo lungo corri-doio di accesso a piano inclinato; inoltre essa conserva gran parte della sua decorazione in stucco e pittura di fine a accu-rata esecuzione.
La forma basilicale perfetta, la ricca decorazione scelta nel mondo mitologico e artistico greco-romano, la natura sotterranea del monumento, cui non è aliena una suffusa atmosfera di mistero, hanno spinto gli studiosi di ogni na-zione a ricercarne l’origine, le attribuzioni e il culto. Recentemente due nuovi studi sono apparsi che per la loro trattazione più ampia e razionale sono degni di essere ricor-dati: una conferenza del dott. G. Bendinelli tenuta nella Pontificia Accademia romana di Archeologia, di cui si legge un riassunto nell’ Osservatore Romano del 6 giugno 1921, e un articolo del prof. Giovannoni, pubblicato negli Atti dell’accademia stessa, serie II pp. 113-134 (Nuovi contri-buti allo stadio detta genesi della basilica cristiana).
Il Bendinelli ritiene che il monumento sia nè più nè meno che un sepolcro, pur ammettendo che ivi potessero adunarsi i cultori dei morti, ciò che non può negarsi a causa della grandezza della sala, della sua consacrazione con vit-time animali, della illuminazione accurata, dell’ampio corridoio di accesso ecc.
Ora è cosa nota che i Romani non si radunavano mai dove seppellivano e viceversa: infatti i sepolcri gentilizi erano composti quasi sempre di una cella ipogea per rac-cogliere i cadaveri e di una stanza al piano superiore per le cerimonie funerarie. E poichè è certo che nella basilica della via Prenestina i Romani, a qualunque setta apparte-nessero, si radunavano, così è certo che essa non contenne mai cadaveri, i quali d’altra parte non si saprebbe come collocare degnamente. Tuttavia non si può negare che tutto richiama al culto dei morti: i soggetti delle figurazioni in stucco, il sacrificio iniziale di un cagnolino e di un porcel-lino da latte, animali sacri agli del eterni, la posizione lungo una via consolare, e infine il concetto proprio dei Romani di dare alle loro organizzazioni culturali il carat-tere funerario; onde dobbiamo ritenere che la basilica fosse strettamente collegata con un sepolcro, che poteva sorgere o al di sopra, o nelle vicinanze lungo la via Prenestina. Si tratta cioè di una schola annessa ad un sepolcro, la quale per ragioni di culto si volle costruita sotto terra, e non sopra, magari lasciando il sepolcro sopra terra.
La forma basilicale dell’edificio ce ne dà la conferma. Nel suo studio chiaro e stringente il Giovannoni esamina le teorie antiche e nuove sull’origine della basilica cristiana e dimostra che nessuna risolve il problema perchè tutte lo hanno considerato unilateralmente cioè dal solo punto di vista dei raffronti planimetrici; ma egli risale ad una con-cezione generale, più pratica, più architettonica. Egli trova nella forma della basilica la necessità di ricorrere ad una siffatta costruzione ogni volta che per templi, per terme pri-vate, per tribunali, ecc., era necessario costruire una sala ampia e coperta: se la sala era di piccole proporzioni ba-stava una sola navata; se la sala era di proporzioni mag-giori si divideva lo spazio in tre navate per meglio sorreg-gere il tetto e per favorire mediante l’innalzamento della navata centrale l’illuminazione dell’ambiente. L’antichità della basilica di porta maggiore che risale al I sec, circa dall’impero, spinge il Giovannoni a concludere che questa forma era già "pienamente acquisita alla architettura ro-mana vari secoli prima della atta sistematica applicazione delle chiese del Cristianesimo".
Cadono quindi tutte le ipotesi che facevano derivare la basilica cristiana o dalla basilica forense, o dal tempio greco, o dal santuario domestico, o dai templi orientali e resta una forma logica e naturale, che si modifica secondo le varie circostanze, dandoci tutte quelle variazioni che vennero ingiustamente prese per manifestazioni separate, di cause anch’esse separate. E a proposito della basilica della via Prenestina abbiamo in essa l’esempio più antico e già archi-tettonicamente perfetto nella basilica propriamente detta, che una setta di Romani — di neo-pitagorici ha pensato lo studioso belga Cumont — al fece costruire per le cerimonie del culto, destinato, secondo il loro grande senso pratico, ad avere — vicino una sede più stabile e duratura che —visse loro di eterna dimora.
G. L.-


ARTE MEDIEVALE.

JOSEF STRZYGOVSKI - Urprung der ChristIichen Kirchenkhunst. Neue Tatsachen und Grundsätze der Kunst-forschung. Acht Vorträge - der Olaus Petri - Stiftung in Upsala - Leipzig - Hirwichs, 1920.
Mentre gli studi archeologici nei paesi alleati non hanno prodotto, salvo rare eccezioni, se non misere cose durante tutti gli anni di guerra, lavori polemici e nazionalistici quasi sempre privi di serietà scientifica e diretti solo a sostenere con qualsiasi mezzo la tesi dell’innata e perseverante bar-baria dei Germani, questi rispondono, almeno nel limitato campo che qui prendiamo a considerare l’archeologia, cioè dell’alto medioevo, con tre libri monumentali dovuti alla penna del grande maestro Giuseppe Strzygowski. Con l’opera Altai - Iran und Völkerwanderung (1) egli riprende in esame, con un apparato ricchissimo di nuovo materiale, tutta l’origine dell’arte decorativa così detta barbarica coi due volumi The Baukunst der Armenier und Europa (2) traccia in modo definitivo la storia di tutta una scuola architettonica quasi ignorata o mal nota nel mondo scien-tifico e ne studia le propaggini fino nel più lontano occidente mediterraneo; con l’ultimo, di cui qui intendiamo occuparci, riassume le sue teorie che trenta anni di studi indefessi gli hanno permesso di formulare intorno alle ori-gini dell’arte religiosa in Occidente.
Le teorie sull’origine dell’arte cristiana hanno molto mutato da quarant’anni ad oggi: Roma, che ne era ritenuta la culla, ha visto poco a poco questa preminenza sparire davanti a Bisanzio. Una miglior conoscenza del mondo elle-nistico e dell’arte delle sue grandi città Efeso, Antiochia ed Alessandria, — dell’hinterland mediterraneo (lo studio dello Straygowski su Amida e quello su Mschatta ritenuti come caposaldi), infine dell’arte propria all’Asia Minore, alla Cap-padocia, al Tur Abdin e della Persia Sassanide hanno con-dotto gli studiosi a cercare sempre più lontano in Oriente quel punto di partenza che sembrava volesse sempre alug-gire. Le ricerche sull’ Armenia e sulla Mesopotamia hanno contribuito a portare nuovi dementi sullo studio del pro-blema e le scoperte nella Tranxozaina, nel Turchestan e nell’Asia centrale hanno mostrato come l’emigrazione di forme proprie all’estremo Oriente abbia influenzato, l’am-biente mediterraneo. I rapporti commerciali e religiosi e le migrazioni del popoli hanno servito a creare nel mondo cristiano un’arte popolare in cui i motivi delle più diverse proveniente venivano a mescolarsi e sovrapposi in modo diverso secondo i luoghi ed i tempi. Di fianco a quest’arte popolare vi è un’arte aulica che culmina con la costruzione di Santa Sofia. Nel dilemma “Orient oder Rom”, è il primo termine che vince.
Che si formasse un’ambiente d’arte degli arii è la tesi dello Strzygowski: la storia delle forme costruttive e deco-rative sta a provarlo. La cupola su base quadrata, mostra i suoi primi esempi completi in territorio sananide. Firuzabad, Servistan e al battistero di S. Giacomo dl Nisibis (359): i raccordi angolari (rinnovando metodi etruschi che lo S. lo ricorda) sono l’evoluzione costruttiva del raccordo in legno -delle costruzioni arie realizzato in pietra nel Kaschmir e in Sudia. Tutte le forme planimetriche con nicchie o gallerie che hanno la loro risoluzione in elevazione con procedimenti diretti a contrastare la spinte della cupola centrale (planimetria quadrilobata o con nicchie d’angolo fino alla forma complessa del S. Vitale di Ravenna o del S. Lorenzo di Milano) hanno le loro prime manifestazioni nel territorio mesopotamico-armeno. I sistemi dl vôlte a botte si svilup-pano nella casa iranica e nel palazzo (Taq-i-Kisra) per dare origine al tipo della china mesopotamica (Tur-Abdin) con vôlte disposte terpendicolarmente all’asse dell’edificio, men-tre in Armenia ed in Cappadocia (Binbirkilisse) si evolve la forma che sarà comune più tardi in cadente. Ultimo sviluppo, la basilica a cupola e la chiesa crociforme a cupola centrale.
Ci è impossibile seguire dettagliatamente l’erudita espo-sizione dello S. sulle origini dell’arte romanica europea, il trasmettersi delle forme proprie alla costruzione in legno dell’oriente e la formazione dell’architettura medioevale dalle forme carolingiche alle gotiche: egli dà prevalente impor-tanza all’influsso delle crociate ed ai rapporti fra l’occidente ed il territorio nord-ario, e principalmente armeno. Certo è che l’Armenia ha realizzato prima che a l’Europa molte forme romanico-gotiche pilastri composti, vôlte a crociera, struttura generale delle chiese occidentali del secc. XII-XIII, con cupola sul transetto (tiburio). Nè minore è stato l’in-flusso dell’oriente nello svolgimento dell’arte decorativa orna-mentale a intrecci, priva di figurazioni. Arte barbaresca ed arte orientale sono due correnti, l’una settentrionale l’altra meridionale, di un fiume che ha una sola sorgente: nel loro diverso corso si sono arricchite di elementi disparati, si che è stata non lieve fatica il ritrovarne la fonte comune. In quest’ultimo periodo della ricerca lo Strzygowski ha allargato notevolmente la sua tesi: se in origine (e dobbiamo risalire verso il 1900) non è stata se non una reazione alla tendenza romanistica, si è venuta poi evolvendo in una profonda esegesi delle forme artistiche dell’alto medioevo. Già il ricondurre al suo giusto valore, l’arte bizantina, il vederne la forma localizzata e particolare ad un certo ambiente del movimento acustico fra il V ed il X secolo, è già stato un gran passo nel chiarificare il problema: l’isolamento di un’arte popolare di contro ad un’arte aulica, è stato il secondo stadio, che si è risolto nell’analisi di queste forme e nel loro concatenamento genealogico. Certo l’attitudine che tiene il maestro viennese e certi sviluppi un po’ para-dossali della tesi, prestano facilmente il fianco alla cri-tica: ma ben si sa come in una si vasta ricostruzione di quell’immenso movimento artistico a era possibile conservare sempre un olimpico equilibrio ed una perfezione irreprensibile in ogni dettaglio. Ma l’importante era d’impostare nelle sue masse il problema, a cui certo intiere gene-razioni dovranno lavorare perchè l’opera sia precisa in ogni suo punto.
Ciò che per noi ha somma importanza nella recente pro-duzione dello Strzygowski, è lo speciale aspetto che va assu-mendo la storia dell’arte italiana dalla caduta di Roma al sorgere del romanico, e la valutazione e la discriminazione degli elementi costitutivi di questo. La corrente asiana prende sul nostro suolo speciali aspetti che ancora non si possono afferrare precisamente. Malgrado le osservazioni dell’autore a me personalmente indirizzate, stento ancora a riconoscere una sicura derivazione del tipo di S. Lorenzo di Milano dalla cappella palatina di Zwarthnotz; la discussione rimane ancora aperta. Così non è chiaro come il tipo di costru-zione sassanide-mesopotamico arrivato fino in Dalmazia si sia atrofizzato in Italia dove a priori tutto si prestava ad un suo ricco fiorire e quando i rapporti artistici fra le due sponde dell’Adriatico erano estesissime. Meglio si delineano i vari influssi da cui è sorta l’architettura romanica e la sua evoluzione al gotico: ma anche qui solo l’idea generale e accennata e ne manca ancora la sua esemplificazione det-tagliata e la dimostrazione della sua storicità. Ma tutto questo deve esser opera degli studiosi italiani: è da loro che si deve, e speriamo anche al possa attendere il libro che sviscererà tale problema sulla base di tutto il materiale così abbondantemente raccolto.
E allo Strzygowski dovremo essere sempre riconoscenti non solo degli elementi che egli ci ha preparati, ma anche e più della copia di idee fertilizzanti che egli ha gettato a piene mani nel campo dei nostri studi.

UGO MONNERET-

(1) Lipzia-Hinrichs, 1917.
(2) Vienna-Schroll, 1918.



ARTE DEL RINASCIMENTO.


L. VON PASTOR — Die Stad Rom zu Ende der Renaissance - 1916, Freiburg, ed. Herder.
L’insigne autore della Storia dei papi ha voluto in questo volume dare una specie di estratto, ampiamente illustrato, di quella parte del VI torno della sua Storia che tratta delle vicende edilizie ed artistiche di Roma in quell’epoca mira-bile che va da Alessandro VI a Pio IV; ha voluto cioè tracciare, valendosi di tutte le testimonianze contemporanee documentarle o grafiche, tra quadro evidente della Roma all’inizio della seconda metà del Cinquecento, nel suo aspetto, nel suo carattere, nella sua vita.
Si succedono cori nella breve opera i capitoli che trat-tano della popolazione della città e della sua fisionomia edi-lizia, cime analizzano le fonti di studio e di documentazione (tra le quali ha grande interesse la relazione di viaggio del giurista Giovanni Fichard di Francoforte), che illustrano dapprima la città nel suo insieme, dichiarando il panorama dal Campidoglio che trovasi unito ai disegni d’Heemskerk conservati a Berlino, e poi studiano i singoli rioni nel loro carattere e nel loro monumenti, ed infine si occupano delle grandi funzioni religiose, dei pellegrinaggi, delle istituzioni di beneficenza fondate in Roma in quel vivace periodo, che non in soltanto di vita gaia e spensierata ma ebbe spesso un profondo contenuto di sentimento e di pensiero.
Le illustrazioni che abbelliscono il volume sono in parte riproduzioni fotografiche tratte dalla Roma attuale, in parte riportano disegni dl elementi scomparsi di recente (molli dei quali sono ripresi dall’Inventano dei Monumenti e dagli altri studi della nostra Associazione fra i Cultori d’Archi-tettura); altre infine sono tratte da disegni o da stampe del Cinquecento, specialmente dagli schizzi dell’Heemskerk e dalle incisioni del Du Perac.
È quasi superfluo l’esaltare qui le alte doti di chiarezza e di competenza che lo storico illustre pone a servizio del tema, in cui per un momento i suoi vasti studi ai sono sof-fermati. Evidentemente non è possibile richiedere che una profondità ad una genialità paragonabili a quelle che infor-mano la trattazione storica o topografica siano raggiunte nello studio architettonico, da cui dovrebbero risultare ben deter-minati i tipi di edifici e la loro rispondenza alla vita, li carattere decorativo e la evoluzione nel suo sviluppo, il vero valore delle influenze artistiche di persone o di scuole. Ma pur essendo questa parte necessariamente manchevole, non è dubbio che nel suo complesso il lavoro del Pastor sia il più organico di quanti siano stati pubblicati sulla Roma del Cinquecento e rappresenti un magnifico contributo alla sua cognizione; tanto più prezioso quanto più, come malin-conicamente nota l'A. nella prefazione, lo sviluppo edilizio nuovo dell’Urbe è venuto a distruggere o ad alterare monumenti e carattere ambientale di zone ancor superstiti da quel mirabile sviluppo edilizio ed a cancellare tante traccia di Arte e di Storia che ancora, fino a poco tempo fa, resistevano alle insidie del tempo e degli uomini e mantenevano alla città eterna il suo fascino di bellezza e di ricordi.
G. G.




ARTE MODERNA.

È stato pubblicato un interessante volume (1) su di un concorso bandito tra gli architetti tedeschi per un circolo tedesco-turco in Costantinopoli. Al Concorso hanno preso parte molti dei principali architetti germanici tra i quali: Peter Behrens, German Bestelmeyer, Paul Benatz, Hugo Eber-hardt, Martin Elsasser, August Endel, Theodor Fischer, Bruno Paul, Hans Poelzig, Richard Riemerschmid, Bruno Taut. - Vincitore del concorso è stato Teodoro Fiasher con un sapiente progetto di distribuzione di locali e con facciate gustosissime di Architettura moderna sanamente ispirata a caratteri etnici turchi.
M. P.

(1) Dea Bara de, ‘enndschafi in &nstanhnopd- M&nch,n. 5920 Bm,canunn A. G.

Nella nuova rivista francese "L’esprit nonueau" (29, Rue d’Astorg, Paris, VIII), riflesso dell’attività contemporanea nelle arti, lettere, scienze e sociologia, sono apparsi vari interessanti articoli d’arte modernissima. Nel N. 6, un articolo di JULIEN CARON illustra una nuova villa recen-temente costruita dall’Arch. Le Corbusier in Parigi, villa che, secondo l’articolista, assume l’aspetto di una vera opera d’arte rappresentativa della più nuove e originali tendenze.
La pianta del piano terreno, che qui mostriamo ai let-tori, è realmente disegnata con criteri sani e rispondenti alla vita privata d’oggi, così dissimile da quella di tutte le altre epoche.
I vari ambienti di soggiorno, o rappresentanza, non hanno qui una netta separazione e distinzione tra loro, ma formano tutti insieme come un unico grande ambiente, a più sezioni.
Una grande sala centrale, alla quale sono annessi il braccio per i pasti, quello per il gioco, il piccolo angolo per la lettura, etc.
Non più corridoi e gallerie, fredde e di passaggio, non più il salotto separato, da aprirsi solo in occasione delle visite: la vita si svolge intima e calda in questo ambiente unico, con soddisfazione di tutte le sua varie esigenze.
Nel piano superiore, la vita intima personale si svolge nelle singole camere da letto.
L’esterno dell’edificio è però meno peregrino e geniale di quanto vuol persuadercene il CARON: è una delle usuali manifestazioni del nazionalismo francese.
Interessanti sono invece le osservazioni di cui è intessuto l’articolo: e di cui riproduciamo qui qualche brano.
"Egli ha dimostrato, dice il Caron a proposito del Cor-busier, che il calcolo può condurci ad una grande architet-tura, che i mezzi di costruire attuali finanziari e tecnici offrono risorse più vaste di quelli delle epoche passate"
"Ogni architetto deve oggi possedere i mezzi dell’inge-gnere. Senza il pieno possesso delle qualità dell’ingegnere, l’architetto-artista non potrà far fruttificare utilmente la sua immaginazione creatrice. L’artista non può contentarsi d’es-sere il rettificatore dell’ingegnere. L’artista e l’uomo di scien-za, in un solo uomo, debbono operare in un solo momento ed è proprio questa l’immensa difficoltà dell’architettura.
La natura umana è così fatta che tali cervelli sono rari: con la sola ragione l’uomo è un ingegnere; con la sola sen-sibilità, rischia di non essere che un decoratore: nessuno di questi due uomini è un architetto. Quanti ve ne sono attual-mente di architetti?"
E più avanti:
"L’architettura è attualmente l’arte meno libera: tutte le epoche del passato pesano su di lei. Tra gente di me-stiere, quando si parla di gusto, non ci s’intende più.
In ogni altra professione, si diverrebbe pazzi!
Il pubblico è tranquillo soltanto quando una facciata è tutta inghirlandata ! Péladau, esclama l’articolista, reclamava una legge, sotto pena di prigione, interdicente l’impiego degli Stili".
E più giù: "Una casa è un oggetto importante che occupa posto, che ciascuno è obbligato a vedere, che costa caro e che può durare dei secoli. L’architetto è quasi sempre un criminale, perchè la sua opera importuna le società, mentre che il quadro di un cattivo pittore occupa un angolo di una stanza chiusa, e mentre che nessuno è obbligato a leggere il romanzo del più atroce scrittore.
L’architetto è una delle ruote della società egli parte-cipa più che non si creda alla felicità ed infelicità di questa società. Se Parigi è un soggiorno tanto desiderabile, ciò è dovuto agli architetti.., d’una volta: se Berlino distilla lo spteen e spinge gli abitanti alla conquista dell’Isola di Fran-cia, ciò è dovuto ai suoi architetti,,.
L’autore passa poi a teorizzare sull’estetica del cemento armato, e dice: "Certi architetti hanno cercato la. soluzione estetica del cemento armato in uno sforzo troppo precipitato, applicando teorie un po’ troppo fragili. Abbiamo così potuto vedere alcune costruzioni ricoperte di scaglie di ceramica e che sembrano delle zebre. In tutt’altro ordine estetico, abbiamo viste alcune case di forme vischiose, sotto pretesto che essendo il cemento armata una materia plastica, ed essendo il cemento colato, occorreva fare di un palazzo qualche cosa che rassomigliava ad un pezzo fuso. E le cose assunsero così un aspetto disperatamente triste nell’epider-mide grigia e sopratutto disperatamente falso, urlante l’errore!
"Il cemento armato è un procedimento liberatore in quanto autorizza le grandi portate e la soppressione del muri por-tanti. Di più il cemento armato procede essenzialmente dalla retta, dall’orizzontale, che prende quindi una importanza decisiva.
"Gli archi e le volte, salvo arte modalità caratteristiche, non hanno più a che fare con il cemento armato…
"Il cemento armato offre questa caratteristica della retta, che è una caratteristica degna del nostro tempo e degna di piacere agli uomini del nostro tempo. Ma è questa una inno-vazione che dispiace ancora agli architetti: lo stesso nazio-nalismo vi si mescola ed alcuni belli spiriti decretano che la retta è boche, (vedi il Paternova, i templi egiziani, e il palaz-zo Gabriel). La linea retta è uno dei diritti dell’uomo".
L’autore seguita ancora sullo stesso argomento, ripetendo spesso argomenti oramai ben noti, ma dimostrando sempre una perfetta conoscenza della materia, ed esprimendoci con imagini brillanti, smaglianti di convinzione.

ADAMO BOARI. — Studio per il piano regolatore del Colle Capitolino e dei Fori Imperiali. (Roma. E. Calzara, 1921).
Si tratta di uno studio sulla sistemazione del Colle Capi-tolino, delle adiacenze del Monumento a Vitt. Emanuele, e del collegamento di P.za Venezia con la Via Cavour e con il Teatro di Marcello: studio condotto con molta co-scienza e con grande amore per la Città.
Per il prolungamento di Via Cavour l’autore si tiene approssimativamente allo stesso tracciato proposto dalla Com-missione governativa nominata per lo studio della sistema-zione edilizia del Colle Capitolino, variandone però alcuni particolari e creando uno speciale ingresso monumentale al Foro Romano, visibile da Piazza Venezia.
Il versante verso Piazza Mentana e il Palatino sono risolti con la creazione dì un grande parco, formato dalla con-giunzione dei vecchi giardini di villa Capparelli dell’Ospe-dale Tedesco e della Rupe Tarpea.
"Questo parco di alberi annosi — dice l’autore — che si apre sui fori e sul paesaggio grandioso dell’Urbe morta, diventerà il ritrovo più eletto della Roma viva, che sta rigermogliando dopo la potatura della guerra.
Una Città moderna ideale avrà sempre un parco nel centro, Roma lo possederà mirabile, col suo parco capitolino,,.
Nell’ultimo limite del Colle verso il Teatro di Marcello, il Boari propone la costruzione di una serie di nuovi palazzi, che, per essere limitrofi a questo nuovo parco e nel centro della Città, avrebbero un valore commerciale grandissimo, concorrendo così a risolvere facilmente la soluzione del pro-blema finanziario della sistemazione generale del Colle.

G. B. MILANI. — L’ossatura murale. Parte I La Sta-bilità. (C. Crudo e C., Torino). È un sano libro, che tutti gli architetti dovrebbero conoscere e approfondire. Tutta la materia di questa prima parte è svolta in un testo di 122 pagine e di 61 tavole finemente incise. Si può definire in sostanza, come una storia ragionata e comparativa dell’Ar-chitettura, veduta attraverso le strutture e non attraverso le forme decorative. Una storia completa dell’Architettura manca. Vi sono le dotte monografie francesi della Bibliothèque dell'enseignement des beaux arts; v’è quella del-l’Hartmann, e da noi quella dell’Orecchiuti: vi sono le sto-rie generali dell’Arte, con i capitoli dedicati all’architettura. Ma in queste opere è trattato soltanto il lato estetico distri-butivo o l’ornamentale. I monumenti dell’antichità sono sem-pre esaminati in rapporto alle esigente di clima, agli usi derivanti dalle evoluzioni sociali o religiose, e in rapporto allo sviluppo estetico decorativo.
Il libro del Milani invece esamina i monumenti del pas-sato soltanto fondandosi sui suoi caratteri statici.

"Il lettore si accorgerà, scrive l’autore, nel corso del-l’opera come, rimanendo strettamente in tale ordine di idee, sia possibile arrivare ad un razionale e pratico proporzio-namento delle parti e dell’insieme di un edificio, scopo fon-damentale dello studio della composizione".
E in seguito: "Ho concentrato le indagini e gli studi più sull’organismo inteso soltanto come scheletro resistente, che sul particolare decorativo.
Un organismo sarà bello se sanamente concepito e robu-stamente costrutto un tale assioma non ha bisogno di mag-gior chiarimento.
Ho perciò volontariamente trascurato l’esame dl tutte quelle virtuosità estetiche e quelle superfetazioni decorative le quali interessano soltanto la epidermide esterna senza nessuna rispondenza con la compagine strutturale, non hanno un’influenza decisiva nè sul carattere nè sulla forma del-l’opera architettonica,,.
"Intesa l’arte dell’Architettura sotto un punto di vista così razionale è facile comprendere come un sano movi-mento indirizzato alla creazione di nuove forme e di nuove espressioni, debba necessariamente imperniarsi più su questi criteri, che sulla vuota e cervellotica ricerca di strambe for-me spesso grottesche, od accoppiamenti ibridi di colori oggi affannatamente tentati dalle moderne scuole, e la cui vita effimera dura fortunatamente quanto quella di una nuova moda. La preparazione sana per l’architetto moderno sta invece a mio modo di vedere, nella piena e precisa cono-scenza del materiali del quali può disporre e dei nuovi mezzi costruttivi che sono oggigiorno di pubblico dominio, e l’indirizzo dell’insegnamento deve con ogni sforzo tendere a questo scopo e non confondersi, come disgraziatamente succede, per ignoranza o per mala fede, con quello di una involuta e spesso esotica decorazione architettonica o di una mal digerita scenografia.
Giuste riflessioni e impeccabili parole. Soltanto mi consenta il Milani di osservare come non siano soltanto nè sempre le nuove mode in contrasto con questi sani inten-dimenti che anzi le più moderne tendenze universali con-cordano con essi: più spesso discordano invece le vecchie scuole, più spesso rinnega questa sacrosanta verità il tenace misoneismo che non vuol vedere la salute al di là delle for-mule stilistiche, oggi così estranee si nuovi sistemi costruttivi!
L’opera dunque ha un grandissimo interesse, per la nostra arte, tanto più che ha soltanto per scopo e fine quello di stadio puramente architettonico e non un vero e proprio trattato sulle costruzioni.
M. P.


COMMENTI E POLEMICHE.

CONSIDERAZIONI SUL CONCORSO PER IL MONUMENTO AL FANTE.

Il concorso per il Monumento al Fante è stato annul-lato. La Commissione giudicatrice non ha stimato nessuno del cinque lavori degno dell’esecuzione: nessuno degno cioè di rappresentare in un sintesi plastica il sacrificio del sol-dato italiano e la sua glorificazione.
Non entriamo in merito al verdetto, che vuol significare: in Italia si può fare di più: si ritenti la prova.
La stampa quasi unanime e la maggioranza del pubblico non sono stati dello stesso avviso, nè è detto che un secondo concorso, dato l’esito del primo, possa incoraggiare molti artisti all’ardua impresa.
Esaminiamo brevemente le cause dell’avvenimento.
Il senso dell’arte monumentale è oggi realmente assai lontano de noi. La nostra epoca è tutta intessuta di pro-blemi materiali, e l’architettura affannosamente e solamente cerca la forma della casa economica, della scuola igienica e del teatro comodo e spazioso.
Gli uomini pensano alla religione e alla filosofia, sol-tanto nei momenti d’ozio, o di riposo, sfogliando le riviste.
Noi quindi non possiamo pensare ai templi nè alle cat-tedrali: quando queste ci abbisognano, ricorriamo al pre-stito. Molto meno pensiamo ai monumenti privi dl scopo pratico. L’arte monumentale è oggi estranea a noi, come l’epica nella letteratura: oggi non si scrivono che romanzi e novelle e qualche lirica di poche strofe. Se dovessimo scrivere un poema, copieremmo più o meno bene l’Orlando Furioso.
In pittura non sentiamo ancora li quadro, il grande quadro dl composizione, dl significato: studi, schizzi, pen-sieri, e nulla più.
Il grande monumento da circa quaranta anni non ci ha più occupato la mente.
Gli altri argomenti architettonici, gli alberghi, i teatri, le scuole, le case hanno assorbito tutte le nostre forze e sol-tanto intorno ad essi abbiamo creato tutto un sistema di studi e di vedute. E questo fatto si è avverato in tutto il mondo, meno che in Germania. Qui si preparava, lenta-mente ma tenacemente, la guerra che voleva dare all’impero il dominio universale. La letteratura, l’arte, la mu-sica tutto tendeva alla formazione di quest’abito mentale dl conquista.
I guerrieri ferrati sorreggenti l’immensa spada, immanc-abili in ogni monumento, le pitture glorificanti l’eroe Sig-frido. i grandi affreschi dell’Herler e del Klinger tutto con correva all'esaltazione della razza, tutto concorreva a spronare gli uomini verso la guerra, verso la gloria.
Qui perciò nacque anche un’architettura monumentale, pesante e massiccia quanto lo spirito che la suggeriva: e il monumento di Lipsia, a noi ostico ed indigesto, rappre-senta indubbiamente la razza e rivela l'anima del popolo.
Da noi, ripeto, tutto ciò non è avvenuto: la guerra ci ha sorpresi in un periodo di tranquillità, e i problemi amari che hanno, seguito immediatamente la vittoria, hanno assai inceppato il volo del sogno e dalla fantasia.
Come dunque poteva nascere, in simili condizioni, un monumento superiore, tipico, perfetto, rispondente al fatto da commemorare e alla razza?
Ma, ci si dirà che il grande fatto storico obbliga un ri-cordo, e che questa necessità deve far nascere l’opera ge-niale. Ci si dirà che, come è stata profondamente sentita la guerra, così dovrà sentirsi la sua glorificazione.
Ed allora, anzichè contentarsi sarà giusto ritentare la prova. Gli ulteriori studi ci diranno se la Giuria ha avuto ragione.

Soltanto, a proposito di questo concorso, vogliamo richia-mare l’attenzione su di un fatto che troppo spesso tra noi si ripete, e che occorre finalmente chiarire. Alludo ai plagi dell’architettura tedesca.
Da noi insomma (consoliamoci che avviene pure in Francia, e su più larga scala!) succede questo: che appena ci allontaniamo da quell’architettura consueta e banale che allieta tutte le nostre città, appena tentiamo qualche cosa di diverso (e tanto più se questa qualche cosa è semplice, sobria, nuda), ci si grida che è plagio tedesco. Cosicchè per essere italiani, dovremmo per sempre fossilizzarci nelle sole ristampe.
Questa volta, per il Concorso al Fante, il fatto è stato ancor più singolare. Il progetto del Limongelli, sobrio, serio, sano, è stato proclamato italianissimo, serenamente latino. D’un tratto, da altri, è stato irreparabilmente condannato, perché tedesco. Come possibile concepire due così opposti giudici su di una estesa opera? Chiaramoci bene, dunque. Superficialmente appaiono vere tutte e due le definizioni; in sostanza sono tutte e due, se non fatte, per lo meno ine-satte o incomplete.
La verità è questa. I tedeschi (Kreis, Hartmann, Schmitz, Berndl) da circa 20 anni studiano il nostro classico, spe-cialmente l'arcaico, il repubblicano, analiticamente, e non soltanto nella sua veste esterna, ma ancora nella sua essenza strutturale, e perfino nei resti, nei ruderi. Ne è nata una architettura solida, ciclopica, chiusa, piranesiana, efficacis-sima nel monumento funerario. È dunque tedesca perchè i tedeschi l’hanno iniziata: ma è nostra, essenzialmente, in-discutibilmente nostra, perchè è fatta con la roba nostra.
La materia prima è italiana, la confezione tedesca. Do-vevamo far tutto noi, beninteso a modo nostro. Essi invece ci hanno preceduto, ci hanno pensato prima. E dobbiamo per questo. come dei bambini imbronciati, rinnegare la verità e chiudere gli occhi? Potremo dolercene: vorrei bene che l’Italia potesse vantassi di questo nuovo umanesimo.
Ma la verità è una sola, e deve venire fuori: è bene per tutti chiarirci una buona volta.
Si son doluti i Romani d’aver assimilato l’architettura greca, di rifare i templi come facevano i Greci?
Non se ne son doluti.
Invece di perdersi in inutili e sterili querimonie, hanno accettato l’arte più matura, l’hanno, col tempo, fatta loro, l’hanno trasformata, e ne hanno creata una nuova.
Lo stesso è avvenuto per il romanico e per il gotico scesi in Italia, lo stesso per la Rinascenza e Il Barocco risaliti d’Italia in tutta Europa.
Come è possibile immaginare (oggi meno che mai) che due o più civiltà si possano sviluppare contemporaneamente e vicine, indipendenti ed estranee una all’alba? Come non ammettere che flussi e riflussi debbano forzatamente stabi-lirsi tra loro? Come non comprendere che opporsi a ciò è indice di impotenza, è timore di annegassi completamente nelle acque altrui, senza la forza di prendere soltanto il buono degli altri, per iniettarlo nel proprio sangue?
So che oggi questo argomentatore è controcorrente. Que-st’anno s’è rimessa in valore Via Condotti e il Babuino, e ci si rifà italiani, non guardando molto indietro, non ritem-prandoci avanti a Piero della Francesca o ad Andrea del Castagno, ma, — dimentichi di tutte le conquiste di questi ultimi tempi — parafrasando Nino Costa o Francesco Jaco-vacci. — Ma passerà pure questa, e chissà dove andremo a sbattere!
Tornando a noi dunque, è puerile è ingenuo gridare al plagio. È buono il lavoro? Questo basti. Quanto più reste-remo impigliati in queste discussioni retoriche, tanto più tarderemo la formazione di una nostra arte.

MARCELLO PIACENTINI

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