FASCICOLO II - LUGLIO AGOSTO 1921
CARLO ALBERTO PETRUCCI: I camini di Roma, con 9 illustrazioni
Guardateli al sole, contro il cielo, quando Bernini modella nell’azzurro i grandi cu-muli bianchi; guardateli quando l’uragano imminente ne intaglia la sagoma nera sul-l’orizzonte ancora sgombro, e le cornacchie vi accorrono intorno a pettegolare: Roma è bella anche in loro.
Aggruppati con incomparabile grazia ai plnnacoli, alle banderuole, ai castelli delle campane; avvolti nel volo febbrile delle rondini, essi hanno tanta parte nel fascino dei tramonti romani, attenuando l’asprezza dei profili troppo orizzontali, legando i toni bassi dei tetti alle luminosità estreme del cielo.
Ed ora toglieteli dagli aggruppamenti suggestivi, e considerateli da vicino, nei pochi schizzi schematici in cui ho cercato di fissare i più rappresentativi: i camini di Roma vi appariranno in complesso molto semplici, austeri piuttosto, consapevoli certo dell’umiltà del foro compito, ma fieri di assolverlo nella più bella delle città.
Essi non hanno la ricchezza fantasiosa nè l'orgoglio dei loro fratelli di Venezia. Anche perchè nati assai più tardi, dopo che l’ombra di Vitruvio era risorta d’im-provviso a riaffermare il dominio di Roma, e sgomentando le fantasie aveva piegato le menti ad una ricerca rigorosa delle ragioni profonde della bellezza. Sembra infatti, stan-do ad un cronista dell’epoca, il Gataro, che l’uso dei camini sia venuto in Roma verso la fine del 1300, importatovi da un freddoloso Signore di Padova che ne fece costruire per suo uso un paio sull’Albergo della Luna; naturalmente al costume del suo paese. E, per quel che oggi è dato giudicare, i camini più antichi hanno il carattere dei veneti, specialmente l’altezza che impensieriva tanto il Serlio "per cagio-ne delli Venti", e "per lo smisurato peso sopra le muraglie". Talchè il Serlio stesso nel disegnarne alcuni che ci ha lasciati nei suoi trattati, ci avverte che ha voluto "tenere un certo modo di mediocrità et simplicità gratiosa". Esponente del più puro classicismo, subordinando gli abbellimenti alle esigenze architettoniche, egli natural-mente non ammetteva altre forme di deco-razione all’infuori di quelle dell’antichità romana.
Degli altri trattatisti, nè il Palladio nè il Vignola si occuparono di comignoli. Tro-viamo invece nello Scamozzi notizie assai interessanti sull’argomento; e vale la pena di riassumerle, in tanta scarsezza. Dice che tra tutte le forme dei vasi che si sogliono fare per dove esce il fumo dei camini sopra i tetti, non è alcuna che riesca meglio del-l’obelisco posato sopra un piedestallo, il fianco del quale sia alto almeno "un quadro perfetto de duoi piedi e mezzo et al più tre, con qualche fascia a piedi et Cimacia di sopra". Gli Obelischi non debbono essere alti meno di quattro volte della loro lar-ghezza alla base, nè più di cinque; e deb-bono estremarsi di sopra due terzi o tre quarti di quello che sono da piedi; e deb-bono esser leggeri e vuoti di dentro accioc-chè non aggravino i coperti; e posino su dadi o palle e per quello spazio n’esca il fumo. E ancora: “si possono fare alcune forme di Vasi svelti et belli, i quali s’in-nalzino dal Tetto in su con molta grafia, ma fatti in modo, che i loro spiramenti per dove esce il fumo siano coperti da un mantello all’intorno, o con altra cosa arti-ficiata, acciocchè il fumo non sia rintuz-zato da’ Venti, e massime da’ Boreali molto gagliardi e continovi, e da quelli da mezzo di, che feriscono molto allo ingiù, così cacciano il fumo a basso alle stanze,,.
Consiglia pure di far canne assai ristret-te, che riescono molto bene, poichè il calore del fumo fa empito e forza come l’acqua all’uscire dai luoghi molto ristretti.
Riassume così tutto quello che si cono-sceva in materia, e i suoi allievi che lavo-rarono in Roma non mancarono di met-tere in pratica i suoi consigli.
Nessuno pensò mai, però, di trar par-tito da un tipo molto umile, ma veramente locale qui in Roma, nato dalla tegola roma-na. Ne ho segnato le forme più comuni (1 a 14) costruite dai muratori cogli stessi elementi del tetto, del quale sono la più logica delle fioriture. Richiamano alla mente quelle costruzioni con le carte da giuoco in cui si esercita la pazienza infantile. Il tipo è rimasto qual’era; le ricerche erano rivolte altrove.
Altre forme, pure semplici, risultavano dalla sovrapposizione di mattoni a pilastrino più o meno anello, o a cilindro, senza into-naco con qualche taglio di modanatura; terminate da cuspidi o da calotte, o da sfere. Qualche tipo fra i più salienti è illustrato dal 15 in poi. Non ne manca qualcuno emblematico: il 33 (palazzo Borghese) il 34 (Via degli Astalli). Comuni sono le forme a dado (38 e segg.) sostenuto da mensoline di varia forma, mascheranti altret-tante prese d’aria. Il dado è orlato per lo più da una fascetta; spesso è merlato; è vuoto; oppure contiene una piramide, o serve di base ad un finale più o meno elabo-rato; si apre talvolta come al 40, che prepara il graziosissimo 74 (Palazzetto degli Anguil-lara); o si chiude come al 50. Tutti questi tipi, divenuti tradizionali, furono corrente-mente ripetuti; e non è raro vederne anche su costruzioni importanti, come ad esempio il Palazzo Borghese, un vero campionario.
La necessità di garantire un regolare tiraggio sotto qualunque vento, aveva por-tato ad introdurre delle prese d’aria acces-so, che utilizzate con franchezza come elemento decorativo, vennero a creare un tipo di comignolo comunissimo a Roma sotto varianti numerose. Ne accenno alcune fra le più tipiche al 68 e seguenti. E dif-ficile dire chi lo trovò. Ce ne esempio a Valle Giulia (Vignola) alla Farnesina (Pe-ruzzi, 77) ai Palazzi Spada a Capodiferro (75, 78) al Palazzo Barberini (Bernini o Borromini?) alla Consulta, al Museo di Villa Borghese, al Vicariato, a Piazza S. Ignazio (81) e in altri moltissimi luo-ghi. L’originale 72 è del Palazzo Falconieri.
Se volete ora dei magnifici esemplari di barocco eccovi gli 82, 83, 84, 85. Sono sul Palazzo Madama, li creò il Cigoli nel 1616 quando ebbe da Cosimo II de’ Medici l’incarico di ampliare e decorare il palazzo. Non ne ho visti di più amorosamente cer-cati, nè di meglio intonati alla sottostante decorazione. Volendo essere severi si po-trebbe dire che se non fosse per la ubicazione, difficilmente se ne capirebbe l’uso. Abitudine del secolo.
Avrei voluto illustrare qui anche il più conosciuto del comignoli del mondo: quello della Sistina, Destinato a disperdere il fumo delle schede per la elezione pontificale, quante migliaia di nasi ha veduto solle-varsi verso di lui nella paziente attesa della "fumata". Però, malgrado l’eccezionale importanza del suo ufficio, è il più bor-ghese di tutti i comignoli; e non ne vale la pena.
Chiuderò invece con questa parodia ba-rocca di maschere tragiche. È in un palazzo di Via Ripetta. Non è vero ch’è una genialissima "trovata"?

CARLO A. PETRUCCI.

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