FASCICOLO II - LUGLIO AGOSTO 1921
ALBERTO TERENZIO: Restauri di edifici dell'antica Genova, con 20 illustrazioni
I progetti che qui si illustrano riguar-dano alcuni importanti nuclei architettonici di Genova: nuclei che appassionano l’in-dagatore delle nostre memorie, anche se ordinariamente sfuggono a un visitatore af-frettato della città. La loro importanza si riannoda a quella di alcuni problemi edilizi ed estetici nella sistemazione di Genova, talchè i progetti di sistemazione e di re-stauro di quei nuclei avviano alla logica risoluzione di quei più generali problemi.
Il primo progetto riguarda il ripristino del Palazzo del Podestà.
Con gesto signorile la Camera di Com-mercio Genovese acquistando per una co-spicua somma un immobile dei Marchesi Piuma nel cuore dell’antica città, in Piazza di Soziglia, stabiliva, che tale palazzo do-vesse divenire nuova sede dell’alta rappre-sentanza commerciale di Genova.
Chi ora si reca a vedere il Palazzo ri-mane deluso, poichè si trova di fronte ad un nucleo compatto di fabbricati dall’aspetto disadorno, tra i quali solo un indagatore della sottoposta struttura ha potuto identi-ficare i resti dell’antica dimora dei Podestà.
Se, come ora abbiamo diritto di confi-dare, l’antica veste di tale edificio verrà scoperta, il mondo artistico potrà stupire davanti alla visione di uno dei più insigni monumenti medioevali.
Tale è infatti nella struttura e nella de-corazione del nostro migliore Duecento il fabbricato destinato a risorgere per la ge-niale iniziativa della Camera di Commer-cio. E non si potrebbe iniziarne il restauro se non pensando di dare così un degno compagno a quel Palazzo di San Giorgio, che sembrava destinato ad essere solo do-cumento di quella magnificenza edilizia genovese che entusiasmava il Pe-trarca.
Nel centro più angusto e compatto di Genova il Palazzo del Po-destà presenta una superba facciata di quaranta metri con una serie ter-rena d’ampie arcate a sesto acuto, larghe sei ed alte metri sette e mez-zo: le arcate cioè della loggia terrena aperta al pubblico, "l’astrico" citato nei documenti, come era in tutti i vecchi Broletti ed in tuffi i palazzi dei Podestà delle città italiane. E so-pra all’astrico un duplice piano d’a-riose quadrifore e trifore del più schietto ed elegante sapore duecen-tesco, larghe quattro e cinque metri, ed alte oltre sei nel piano inferiore, quasi quattro nel superiore. Un com-plesso di maschia e severa bellez-za, d’un’altezza di quasi venticinque metri dal suolo, sotto il fastigio guer-riero dei merli, simile ad un uomo d’arme che ha sempre pronta la sua celata per la difesa e per la lotta.
Sotto il punto di vista della storia del-l’architettura civile genovese, tale palazzo offre un esempio eloquente di quella pre-cocità artistica in edifici di tal genere; cui corrispondono degnamente il Palazzo del Capitano del Popolo, quello cioè di San Giorgio, e quello del Comune. Ma sotto molti riguardi questo del Podestà li pre-cede, fino a permetterci di supporre che i quattro edifici siano opera di un medesimo gruppo di costruttori o corrispondano ad un medesimo indirizzo artistico. Se si con-sidera per esempio quanto oggi possiamo meglio ravvisare in virtù dei recenti re-stauri che, reintegrando il primitivo aspetto facevano rifiorire il Palazzo di San Giorgio, è facile ravvisare la somiglianza nella strut-tura e nell’ornamentazione fra l’opera genialmente maschia di frate Oliviero ed il Palazzo dei Podestà in Soziglia. Rassomi-glianza che certo sarebbe più palese se le colonne del portico di San Giorgio non fos-sero state sostituite nel quattrocento.
Tuttavia anche il Palazzo di Soziglia non sembra sia stato fatto d’un getto. Par-ticolarmente nella disposizione e nelle pro-porzioni delle arcate e delle finestre, si ri-vela l’opera dei due periodi poco distanti, ma diversi. E da presumere infatti che la città fosse anche allora in un momento di cosi rapida espansione, da far si che fosse necessario di raddoppiare una fabbrica non ancora compiuta.
I periodi della costruzione e del succes-sivo ampliamento potrebbero assegnarsi al 1239 ed al 1257; e, visto che del 1261 sarebbe invece quello del Capitano del Po-polo, l’ipotesi d’una stretta colleganza ar-tistica, se non di derivazione, tra le due costruzioni troverebbe, anche dalla cronologia, ragionevole conferma.
E ciò sia detto con Io scopo di riassumere intanto quel poco che si sa e si può a buon diritto congetturare intorno allo storico edifi-cio, il primo fra f Palazzi pubblici di Genova.
Converrebbe ora aggiungere l’illustra-zione del progetto di reintegrazione e di adattamento di tale Palazzo e dell’annesso edificio seicentesco, per costituirvi in modo degno la sede signorile del potente Istituto che ha con grande accorgimento fissato la propria attenzione sullo storico nucleo. E converrebbe anche ricordare come tale pro-getto si sia nettamente basato sopra le ri-sultanze di nuovi attenti rilievi.
I disegni illustrano appunto la ricostru-zione del. grandioso edificio medioevale, reintegrato nella sua parte esterna, e ri-costituito ed adattato nell’interno, per il nuovo compito, secondo i più schietti esempi della decorazione nostra del Duecento. Il tutto incorporato, come per un più signorile sfondo e risalto; accanto ad un edificio che nella sobria ed originaria struttura e nella geniale policromia della facciata frescata, testimonia il sano buon gusto delle nostre dimore patrizie del seicento. La fusione e l’intonazione di due caratteristiche epoche dell’arte genovese, come nella duplice compagine del Palazzo San Giorgio.

Accanto a tale progetto merita di essere segnalato nella serie delle restitu-zioni medioevali genovesi il piano di restauro del-l’antica Piazza dei D'Oria, ora Piazza San Matteo.
A pochi passi soltanto della Piazza De-Ferrari, dal più animato e mo-derno centro di Genova, è una piazzetta angusta dove la vita antica pal-pita ancora con quella forza che solo hanno le cose destinate a vivere eternamente.
In quest’angolo romito e suggestivo della antica Genova ogni edi-ficio, ogni pietra, ripete ininterrottamente episodi di gloria e di grandezza di una delle più importanti famiglie genovesi, delta Famiglia dei D' Oria. E questo ri-chiamo continuo di tante gloriose me-morie di guerre, di lotte e di vittorie, e la bellezza delle costruzioni che quivi furono adunate in vari secoli prosperosi, fanno dimenticare la vita reale e traspor-tano verso immagini di grandiosa bel-lezza.
La piazza di San Matteo fu creata nella sua planimetria attuale nel 1278 allorquan-do la Famiglia dei D’Oria già potente e nu-merosa, volle formare nel cuore della Domo-cultura e davanti la sua Chiesa un più ampio piazzale che meglio contenesse le riunioni dei suoi famigliari e dei cittadini suoi partigiani.
Fu demolita perciò l’antica Chiesa di San Matteo fondata da Martino D’Oria nel 1125 e ne fu costruita un’altra, l’attuale più ar-retrata e più grande della precedente.
La facciata di questa chiesa risale quindi al 1278 circa. Essa è tutta istoriata con trofei di guerra e con iscrizioni che ricor-dano la vittoria di Oberto d’Oria sui Pisani alla Meloria nel 1284, la vittoria di Lamba D’Oria sui Veneziani nel 1298, le vittorie sugli stessi di Pagano D’Oria nel 1352 e nel 1354 e di Luciano D’Oria nel 1379, la vittoria sugli spagnuoli di Filip-pino D’Oria nel 1528 e la grandezza di Andrea D’Oria.
L’interno della Chiesa di San Matteo fu tutto trasformato per opera del Montorsoli intorno al 1534 e sotto il coro della Chiesa è la tomba del grande Andrea.
Dal fianco destro del tempio si entra nel piccolo bellissimo chiostro costruito nella forma attuale a cominciare dal 1308 da un certo Marco Veneto, secondo quanto si legge in due iscrizioni del chiostro stesso.
Il chiostro oggi, oltre a numerose lapidi che riguardano la gente dei D’Oria, con-tiene i resti delle due grandi statue di An-drea e di Gian Andrea D’Oria che furono abbattute dalla furia del popolo nel 1797.
Sul lato opposto alla Chiesa è la Casa che il Comune riconoscente decretò in dono a Lamba D’Oria dopo la vittoria di Cur-zola. La veste medioevale di questo mae-stoso edificio (ora Palazzo Cappellini) ècompletamente palese in tutti i minimi particolari malgrado le deturpazioni barocche.
A destra della casa di Lamba è la casa donata dal Senato ad Andrea, Padre detta Patria, quale testimonianza di gratitudine pubblica.
E' evidente come questa casa non fosse costruita apposta ma risultasse dal rifaci-mento di una vecchia casa dei D'Oria, rivestita per l’occasione di nuove ed artistiche forme; un vero gioiello di costruzione che tutti desidererebbero di veder tornare alla luce.
A destra della Chiesa è la casa (ora Pa-lazzo Sacchi - Nemours) che appartenne a Branca D’Oria, inviso a tutti per la sua prepotenza e per la sua rapacità. E accanto a questa è la casa (ora Durazzo-Pallavi-cini) che alcuni ritengono fosse del Capi-tano Domenicaccio.
Ambedue queste case mostrano chiara-mente la loro origine medioevale.
I disegni vogliono dimostrare quale sa-rebbe la bellezza della Piazza di San Matteo qualora venissero logicamente, coscienzio-samente ed accuratamente restaurate le case che la circondano.
Il progetto riguarda solo quegli edifici nei quali il carattere primitivo è completa-mente conosciuto in tutti i suoi particolari: e lascia invariati nella loro essenza quelli che hanno perduto irrimediabilmente la loro veste originale.
Il palazzo (ora Quartara) mantiene il carattere cinquecentesco che ha acquistato.
Il palazzo di salita di San Matteo 9, acquisterebbe invece un carattere pittorico che meglio si armonizza con le altre vicine costruzioni.
Quanto spaziosa diventerebbe la piazza se le loggie che la circondano venissero riaperte, risulta chiaramente dalla planime-tria. Solo in tal modo si comprende come qui i D’Oria potessero radunare l’enorme folla dei partigiani durante le lotte civili, e come il popolo potesse qui acclamare i vincitori della Meloria e di Curzola.

Accanto alla ricostituzione di questi due storici nuclei dell’antica vita civile genovese il gruppo dei progetti comprende la ricosti-tuzione di due insigni testimonianze della ricca fioritura d’edifici religiosi medioevali della città: Sant’Agostino e di Giovanni di Prè, coll’annesso edificio dell’insigne Com-menda.
Sant’Agostino è una chiesa tuttora ve-neranda nelle nobili forme archiacute del-l’estremo Duecento, nonostante il deplore-vole stato di squallore e di deperimento in cui è caduta da che è stata sconsacrata e quasi abbandonata. In questo progetto viene restituito integralmente il primitivo aspetto, rassettati il portale, le finestre e l’ampio occhio rotondo della facciata e reintegrato lo squisito campanile, a testimonianza della necessità di ridare il primitivo splendore a questo squisito esemplare dell’architettura religiosa genovese. E si confida che in epo-che non lontane (in grazia a felici tratta-tive ora in corso) il progetto avrà pratica esecuzione.
Per San Giovanni di Prè, caratteristico e pittoresco gruppo d’edifici che vanno dalla vetusta Basilica di San Sepolcro, oggi cripta, al severo fabbricato quattrocentesco a loggiati della Commenda dei Cavalieri Giro-solimitani di San Giovanni, qualcosa s’è fatto a cura della Sopraintendenza ai Mo-numenti della Liguria, riassettando e feli-cemente restaurando la squisita torre cam-panaria romanica. Il progetto completo com-prende ora l’intero gruppo monumentale; lo libera da tutte le brutture con cui gli uomini hanno cercato di offuscarne l’antico splendore, e tende a consacrare definitiva-mente nell’originario aspetto uno dei più caratteristici ambienti sacri all’arte e della storia genovese.

ALBERTO TERENZIO.

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