OPERE MINORI DI GIUSEPPE SACCONI.
La figura di Giuseppe Sacconi ha per tradizionale sfondo la mole che
ideò in onore del primo Re d’Italia, poichè il ricordo
dei grandi artisti è sì legato a quello delle loro opere
più note e comunemente celebrate da far cadere in oblio le produzioni
minori. Il che avviene con grave scapito della retta comprensione delle
maggiori, le quali si può dire assommino tutte le manifestazioni
della loro psiche multipla.
Molto si è parlato in pro e contro la mole vittoriana, nè
qui è il caso di rinvangare le vecchie osservazioni dei critici
d’arte o di rimettere a nuovo le notizie che già riunì
il prof. Primo Acciaresi nella sua monografia su “Giuseppe Sacconi
e l’opera sua massima” Sarà più utile invece
esaminare qualcuna fra le meno conosciute opere del maestro, le quali
possono fornire al futuro storico dell’arte preziosi elementi
per l’indagine della sua personalità.
Accenniamo appena alla nota chiesa di Force (Ascoli Piceno) che rappresenta
un lavoro giovanile ordinato da Mons. Aronne, vescovo di Montalto, al
Sacconi quando ancora studiava presso l’istituto di Belle Arti
di Roma. Il prospetto dell’edificio è tutto materiato di
laterizio e del laterizio pure ci si vale per congegnare cornici e decorazioni.
L’uso del mattone dev’essere stato suggerito al Sacconi
dallo studio delle chiese romaniche e della rinascenza in cui spesso
con semplici mezzi si raggiungono considerevoli effetti. L’interno
è ad una sola navata con cappelle laterali aperta da volte a
crociera i cui peducci basano sopra le colonne, seguendo il partito
architettonico che si ritrova in S. Maria degli Angeli di Roma.
Appena vinto il concorso del monumento a V. Emanuele, il Sacconi ebbe
incarico da un ambasciatore portoghese di erigere la tomba al Verano
in memoria della defunta consorte. Il monumentino sepolcrale che l’artista
creò, spicca tuttora fra la banalità e la meschinità
delle costruzioni che purtroppo si continuano ad innalzare sul cosiddetto
“Pincetto”. E costituito da un sarcofago racchiuso da una
elegante transenna traforata ed avente su di sè una croce; nel
fondo c’è un arco alla cui imposta due colonnine sorreggono
un timpano. In mezzo all’arco appare lo scudo gentilizio. La cura
del minimo dettaglio, lo sfoggio dei particolari decorativi si rivela
qui in notevole grado ed attesta tutta una serie di esperienze su monumenti
medievali di cui d’altra parte sappiamo che il Sacconi fu intelligente
rilevatore.
Circa l’anno 1895 il Sacconi ebbe incarico dai canonici di Ascoli
Piceno di fare lo studio del nuovo ingresso alla Cripta del Duomo e
di costruire l’altare papale. L’altare, grandioso nella
sua semplicità, fu studiato, in armonia con l’architettura
interna della chiesa, a forma di ampio ciborio con tabernacoli e statue
ritte negli angoli, statue sedute sulle cornici delle quattro facce,
tamburo ottagono coperto di piramide contornata da lanternino. Il nuovo
ingresso alla cripta invece lo volle in piena armonia con la parte centrale
di essa, fedele al concetto dell’architetto ascolano Giosaffatte
che la trasformò nell’anno 1718.
Sacconi deve essersi accinto con grande ardore allo studio di quest’opera
per la sua diletta Ascoli a giudicare dalla varietà dei disegni
che ne ha lasciato. Un primo e secondo studio li fece con carattere
diverso da quello poi eseguito, pur mantenendosi nello stile della chiesa.
Ma dove ebbe campo di emergere per la varietà delle forme che
rispondono alla versatilità del suo ingegno, fu nei lavori della
Basilica Lauretana. Lungo sarebbe rifare la storia della trasformazione
della chiesa: Giuseppe Sacconi ideò ed intraprese i restauri
informandosi al concetto di ripristinare il tempio nel suo essenziale
carattere, rimettendo in onore la grande arte veneziana che fu tanto
intesa nella regione.
Per la parte decorativa ideò ed intraprese i restauri delle tre
cappelle principali, quella di 5. Giuseppe degli Spagnoli, quella del
coro dei Tedeschi e quella del Rosario dei Francesi. Nella cappella
di S, Giuseppe pensò di ornare le pareti con edicole in rilievo,
nelle quali la pittura doveva poi svolgere la storia del Santo, seguendo
il principio eclettico di accentuare una nota saliente e brillante per
interrompere la monotonia dei piani interamente dipinti.
La cappella è chiusa da un’artistica cancellata di ferro
battuto eseguita anche su disegno di Sacconi; in fondo, addossato al
muro, si eleva l’altare di stile gotico veneziano, ispirato al
celebre portale della chiesa di S. Francesco in Ancona. E uno sfoggio
di particolari decorativi, comprendenti statue, colonne, pinnacoli,
cuspidi, archetti trilobati e foglie rampicanti. Il ciborio in bronzo
è rappresentato da un padiglione i cui lembi esterni son tenuti
aperti da angeli sorreggenti ciascuno un candelabro.
La cappella del coro appartenente alle congregazioni tedesche, dovendo
in basso essere rivestita da un coro in legno a due ordini di seggi
intagliati ed intarsiati, questo fu dal Sacconi disegnato e composto,
seguendo la maniera della scuola veneziana del secolo XV.
La piccola cappella degli Slavi dedicata ai Santi Cirillo e Metodio
fu chiusa da una cancellata in ferro battuto eseguita anche su disegno
di Sacconi ed è una geniale composizione integrata da una perfetta
esecuzione, dovuta al fabbro Eugenio Matacotta di Fermo.
Nell’interno della S. Casa ornò la figura della Vergine
con un trittico in metallo a sbalzo e colonnine di vetro opera veramente
leggiadra, di cui si deve proprio in questi giorni lamentare la distruzione.
Anche nelle opere provvisorie come addobbi per cerimonie civili e religiose,
mostro il Sacconi la sua valentia, e qui mi piace ricordare quello che
fece sul Campidoglio per la posa della prima pietra del Monumento a
V. E. avvenuta nel 1885. Altro addobbo fece nella chiesa di Santa Maria
degli Angeli alle Terme quando si celebrò il matrimonio di S.
M. Vittorio Emanuele III. Riuscì di tanto gradimento che S. M.
stabili di concorrere con un congruo sussidio per tradurre in realtà
ciò che era stato fatto per l’occasione.
L’artista immaginò una sistemazione di tutto il prospetto
della chiesa nella parte che guarda la via Nazionale ricoprendo il rudero
delle terme con un’elegante esedra barocca.
L’idea del Sacconi non fu poi attuata e forse è stato bene
non mutare il rude carattere di quest’emiciclo diocleziano, sia
pure sovrapponendovi una fronte nobilmente ideata. Ma nessuno può
disconoscere che questa multiforme attività del Sacconi (ove,
se non il vero architetto, ossia il dominatore delle masse immobili,
si rivela il talento del decoratore che fu in lui spiccatissimo) lo
ravvicina ai grandi artisti del rinascimento i quali ora applicavano
l’intelletto alla erezione di superbi edifici, ora non disdegnavano
di rivolgerlo alle opere di carattere temporaneo che durante le festività
illeggiadrivano e rendevano più solenne e più gradito
il percorso ai potenti del tempo.
LUIGI MOROSINI.