FASCICOLO I - MAGGIO GIUGNO 1921
G.Q. GIGLIOLI: Il Tempio dell'Italia Antichissima, con 19 illustrazioni
IL TEMPIO DELL'ITALIA ANTICHISSIMA.


Agli albori del VI secolo a. C. i popoli dell’Italia Centrale cominciarono a sentire il bisogno di onorare le divinità, da essi adorate, non più soltanto con are o con boschi, ma con veri templi. Il loro territorio era allora frazionato tra molti popoletti autonomi; ma su tutti, da Bologna a Capua, esercitava il dominio, spesso politico, sempre culturale, quello che primeggiava per cultura e potenza, l’Etrusco, misterioso tuttora di origini e di linguaggio, straordinariamente amante delle arti belle.
I modelli dei templi furono ellenici; perch'è già da tempo l’Italia Centrale era sotto l’influenza delle civiltà del Mediterraneo orientale, da dove provenivano gli avori e le oreficerie, i bronzi e le terracotte. La fondazione poi delle colonie greche dell’Italia meridionale e di Cuma specialmente, dal cui alfabeto derivarono tutti quelli dei popoli italici, attivò sempre più le relazioni tra Italia e Grecia. In breve in tutta l’Italia centrale sorsero dunque numerosi edifizi, che, come le regge ora sparite, come le ricche tombe, furono decorati di opere d’arte, per onorare il nume, per rallegrare i fedeli.
Ricerche erudite hanno permesso di studiare gli avanzi di questi templi, ricorderò specialmente gli scritti del Rizzo, del Della Seta e della signora Strong (1) che illustrarono quelli esistenti nel Museo Nazionale di Villa Giulia in Roma, del quale ho l’onore di avere fa direzione. Nel grande istituto romano infatti l’operosità del Barnabei, del Cozza, del Mengarelli, gli scavi eseguiti, al tempo della direzione Colini, a Signa e a Veio hanno riunito un insigne complesso di monumenti del genere, quale nessun altro museo può vantare. Ed è appunto l’aver constatato nel guidare architetti italiani e stranieri attraverso le sale dove le collezioni sono esposte, quanto poco siano note al gran pubblico, nel quale l’ammirazione profonda è spesso unita alla maraviglia per la novità dei motivi architettonici e ornamentali, che mi ha spinto a scrivere questo breve articolo, per lo scopo di dare ai lettori di questa rivista, destinata specialmente ad artisti fortunatamente nel pieno fiore della loro operosità creatrice, notizia di monumenti che possono essere fonte di ispirazione per loro, che possono mostrar loro come i nostri antenati di duemilacinquecento anni fa fossero dotati di squisitissimo senso estetico. Quindi nessuna dotta discussione sull’argomento mi occorrerebbe un volume e basta rimandare agli scritti citati, dove è segnata la precedente bibliografia; e neppure una trattazione di tutti gli avanzi notevoli; ma un rapido esame di due dei complessi più insigni del Museo, il tempio della Mater Matuta che sorgeva a Conca, presso Porto d’Anzio, nel sito dell’antica città volsca di Satricum, e uno di quelli della ricca Falerii, ora Civita Castellana, ai Sassi Caduti, dedicato probabilmente a Mercurio. Templi nei quali, come negli altri analoghi, greca e precisamente ionica è la pianta, ionici sono i motivi; ma deve alcune caratteristiche sono speciali, tanto da differenziarli dalle opere nate sul suolo ellenico, sia che artisti greci adattassero la loro arte ai gusti italici, sia come è assai più probabile, che artisti italici, allevati allo studio dell’arte ellenica, ne sapessero assimilare le forme, trasformandole però in modo di dar loro appunto una caratteristica nostra.
Una particolarità va subito rilevata: lo straordinario impiego della terracotta. Di pietra infatti erano la platea, o al più, le colonne e le pareti del santuario; ma la gabbia della trabeazione era di legno e tutta rivestita di lastre di terracotta dalla vivace policromia.
Da una nuova fotografia di un monumentino del Museo, illustrato dottamente dal Pizzo, ma finora mai riprodotto, un tempietto fittile trovato a Nemi che ben completa la famosa descrizione di Vitruvio (IV, 7, 1) la quale si riferisce probabilmente al tempio di Ceres, Liber o Libera, costruito a Roma ai principio del V sec. a. C. vi troviamo la caratteristica della trave maestra sporgente all’esterno (columen), adorna alla sua testata di un bassorilievo di terracotta, e le due travi laterali (matuli), posate sui capitelli delle colonne e pur esse decorate.
La gabbia, coperta di lastre fittili (antepagmenta) lasciava un incavo triangolare nel frontone, vuoto e decorato con un piccolo tetto con le ante fisse delle tegole terminali. Solo nel tipo ellenistico cominciano i gruppi di sculture frontonali.
È noto che questo tempio italico ebbe un’evoluzione e bene il Della Seta ne fissò tre fasi, una arcaica della metà del VI secolo, una seconda, immediatamente seguita alla prima negli ultimi decenni del VI e nella prima metà del V secolo e una infine posteriore, sorta dopo che, per più d’un secolo, per ragioni economiche e politiche, eran rimasti interrotti i rapporti tra l’arte greca e l’Italia centrale.
Questa terza fase, dagli ultimi decenni dal IV secolo al II, ha i caratteri quindi dell’arte greca del tempo.
Tali fasi poi si distinguono, oltre che per le forme estetiche e per differenza di tecnica e di policromia, anche per una varia scelta delle figure che adornano i fregi, i frontoni, le antefisse, sinchè col II secolo la pietra e il marmo cominciano a sostituirsi, nell’Italia arricchita dalle conquiste, al legno e alla terracotta e, mentre Roma e le grandi città si riempiono dei sontuosi edilizi di cui ammiriamo ancora le rovine, nelle campagne e nei santuari dei centri ormai agonizzanti rimangono i vecchi venerandi templi primitivi. I quali alla loro volta nella loro vita spesso secolare ebbero talvolta restauri, come quello dei Sassi Caduti a Faleri che ebbe la fase arcaica e quella ellenistica e quello di Conca che ebbe prima della fase arcaica ivi floridissima, una fase antichissima ionica.
Di questa fase primitiva, della quale la particolare caratteristica sono le zone adorne di bassorilievi, corse di cavalieri, banchetti o simili, espresse con grande arcaicità di forme, non è il caso di dare qui esempi. Ne presento invece alcuni della seconda fase, che, come ho detto, fiori dalla fine del VI alla metà del V sec. avanti Cristo.
Eccone uno inedito del tempio dei Sassi Caduti sono grandi lastre di rivestimento della trabeazione. In alto una baccellatura, poi tra essa e il toro, invece del bassorilievo della prima fase, un meandro, sotto, una serie di palmette rovesciate e di fiori. Queste lastre ripetute e fatte sulla stessa forma correvano lungo tutta la trabeazione, ad essa fissate con chiodi in modo di dare al legno della trave protezione e singolare ornamento. I vivaci colori della policromia, rosso, bianco e nero, ancora conservatissimi, spiccavano sul cielo.
Notevole la stilizzazione degli elementi vegetali, passati a formare un bellissimo ornato; solo nella tegola terminale, insigne e unico esemplare del genere, l’artista con due grandi volute, con un fiore espresso naturalisticamente, con vere foglie, ha creato un motivo caratteristico e assai originale.
Questa varietà nella stilizzazione degli elementi vegetali si pub osservare in un’altra lastra dello stesso tempio, riprodotta a pag. 6 che conserva due degli antichi chiodi originali e che alterna le palmette con bocciuoli, ma specialmente in tre lastre sinora non pubblicate del tempio della Mater Matuta di Conca, di cui riproduco solo la parte inferiore, mentre in alto presentano anche esse una baccellatura.
Ecco le palmette aprirsi vigorose come nei bei vasi attici a figure rosse e archetti unirle ad altre palmette e altre trasformarsi in ventagli, alternate da bocciuoli sormontati da fiori di loto e fiori di giglio, elementi tutti variamente riuniti con una fantasia, con un gusto, con un’armonia che si ritrova solo nei nostri più grandi artisti del Rinascimento.
E, tornando al tempio dei Sassi Caduti, ecco una lastra di una grande fascia (2) (pag. 8) dove i motivi sono gli stessi, ma la decorazione è ravvivata da elementi vegetali, liliacei, a fiori campanulati, lastra che si può datare ancora al V secolo; mentre certo ad essa si ispirò l’artista che nel III secolo avanzato restaurò il tempio. Il confronto è istruttivo e perciò la lastra più recente sinora medita è stata riprodotta vicino all’altra da essa imitata. Tutti gli elementi sono a rilievo, persino il meandro della fascia mediana e, mentre sostanzialmente identica è la fascia inferiore, la superiore alle palmette alterna piccole graziosissime teste femminili, e in basso e aggiunta una serie di roselline. Opera dunque meno vigorosa delle arcaiche, ma piena della grazia infinita del nostro barocco.
Altre parti della decorazione assai belle, finora non furono rese note al pubblico, così cornici terminali, traforate, di cui a pagina 11 e 10 presento un bell’esemplare arcaico di Conca e uno ellenistico che si può datare dal III al I secolo, di Falerii con una gorgone e palmette, e così pure l’originale rivestimento di trabeazione dello stesso edificio e dello stesso periodo, dove nella grande voluta sono comprese teste di Gorgone e di mostri maschili e dove sono ben riuniti l’elemento animale e il vegetale. Nella pag. 11 poi è dato un frammento della fase arcaica, con palmette, forse rivestimento di porta, come quello riprodotto alla fine dell’articolo, ambedue dello stesso tempio dei Sassi Caduti, di una porta del quale è certo la bella decorazione (pag. 12) costituita di piccole lastre rettangolari decorate di nastri a stella, e palmette agli angoli, frammento questo del restauro del III secolo.
L’economia del lavoro mi impedisce di parlare della pianta di questo tempio che spesso presentò le tre celle, per una triade divina, come quello Capitolino a Roma, terminerò quindi ricordando alcuni degli dementi dove appare la figura, pur riserbandomi altra volta di trattare delle sculture frontonali. Così del tempio di Conca (3) vicino alla elegantissima antefissa con una sola palmetta, ecco, anche esse del periodo arcaico, le belle antefisse con Sileni e Menadi, dove si canta il poema ingenuo dell’Amore agreste (4), mentre già più volte pubblicato è il grandioso acroterio centrale del tempio di Faleri (5), dove in una grande voluta, ora in parte mancante, è un gruppo vivacissimo di guerrieri combattenti.
Ho già ricordato la policromia di queste terrecotte, spesso mirabilmente conservata. Presento in tavola un eccellente acquarello del bravo pittore Odoardo Ferretti, del Museo di Villa Giulia, fedelissima riproduzione dell’acroterio centrale di un altro insigne santuario di Faleri, celebre pel frontone con Apollo, creazione di un grande artista della fine del IV secolo.(6) Le belle linee della palmetta, la sobria policromia, dànno una perfetta idea di quest’arte antichissima.
Così decoravano i loro santuari i nostri padri e noi sentiamo tutta la venerazione che per essi avevano gli spiriti magni di Roma e comprendiamo il dolore di Catene il Censore, quando le nuove forme più ricche, ma meno suggestive vennero a cacciare dal loro posto le ingenue opere di terracotta.
La scienza archeologica con infinito amore sta ridonando questi fragilissimi monumenti alla ammirazione del mondo. Possano i nostri artisti, nell’inesauribile vitalità della stirpe italica, riprendere alcuna delle vecchie forme per la gioia di noi viventi, decorandone le nostre case e i nostri pubblici edifizi.
G. Q. GIGLIOLI.

(1) G. E. RIZZO, Di un Tempietto fittile di Nemi e di altri monumenti inediti relativi al tempio italico-etrusco, nel Bollettino della Commissione Archeologica Com., di Roma, 1910, pp. 201-321; 1911, pp. 23-67; A. DELLA SETA, Museo di Villa Giulia, 1918, pp. 120 e segg.; Mrs. S. A. STRONG, The architectural decoration in terracotta from early latin temples in the Museo di Villa Giulia, in Journal of roman studies, IV, 1, pp. 157 e segg.
(2) DELLA SETA, op. cit., pag. 171, tav. XXXVI.
(3) RIZZO, scr, cit., la Bali. Com. 1911, p. 30; STRONG, p. 179.
(4) DELLA SETA, op. cit., pp. 264-65, tav. L, LI.
(5) RIZZO, scr. cit., tav. XIII; DELLA SETA, op. cit., p. 168, tav. XXXIV.
(6) DELLA SETA, op. cit., p.197; disegni assai insufficienti e schematici furono pubblicati dal COZZA in Not. Scavi, 1888, p. 419, Fig. 2 e in TAYLOR-BRADSHAW, Architectural terracottas from two Temples al Falerii Veteres, in Papers of the British School at Rome, 1916, tav. II. Il disegno in DURM, Die Baukust der Etrusker und Römer, tav, a p. 75, s. travisa del tutto l’originale.

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