FASCICOLO III - SETTEMBRE OTTOBRE 1921
NOTIZIARIO
CRONACA DEI MONUMENTI.

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI.


Eccellenza,

A nome dell’Associazione artistica fra i Cultori d’Archi-tettura io mi rivolgo all’E. V. per esprimere una domanda che parte dal nostro animo di artisti e di italiani poichè interessa le sorti del glorioso patrimonio artistico nazionale; la domanda cioè che sui fondi che dal Governo si
stanno assegnando a pubblici lavori allo scopo, sia di lenire la disoccupazione attuale, sia di promuover opere di feconda utilità nella vita del nostro paese, una somma cospicua venga data per la conservazione, per la salvezza di monumenti che in ogni parte d’Italia trovansi in gravissime condizioni di deperimento e vedono avvicinarsi l’ultima rovina.
In questo voto noi sappiamo fervidamente concordi il Ministro della Istruzione ed il Sottosegretario per le Belle Arti. Ma poichè la questione ora è di una organica distribuzione, nell’economia generale del bilanci statali, di mezzi finanziari per le finalità più urgenti e più vere, a noi è sembrato non inopportuno che, accanto alle richieste uffi-ciali, la nostra libera voce si levasse per rappresentare all’E. V. la gravità di una esigenza essenziale, per richiamare l’attenzione di un’alta mente, che intende certo le ragioni spirituali e positive insite nella nostra tradizione d’Arte, su di un problema nazionale che è mal noto, o almeno non inteso nella sua vera entità.
E di vero il triste stato in cui, in complesso, versano i monumenti italiani non è quasi affatto avvertito dal pubblico, il quale più che altro s’interessa ad alcune opere più in vista, brillantemente restaurate; nè è sufficientemente messo in luce dagli uffici competenti, in cui troppo spesso la consuetudine burocratica fa considerare quasi con fata-lismo questo decadere e questo scomparire di una parte così essenziale del patrimonio artistico. Ma appunto per questo è nostro dovere di studiosi, di artisti e di tecnici gettare un alto, un disperato grido d’allarme su questo avviamento alla distruzione di tante opere architettoniche e decorative, le quali non solo hanno una funzione storica di ricordo glorioso, ma ne presentano un’altra più viva di suggestione e di bellezza nelle nostre città o nel paesaggi italiani.
Occorre dunque che si sappia che centinaia e centinaia di monumenti Italiani, o grandiosi od umili, si trovano in condizioni assolutamente precarie, che vanno dai deperimenti dovuti ad una manutenzione negativa, alla fatiscenaa pros-sima alla distruzione, e talvolta anche allo stato ormai di rudero smozzicato, a cui la mancanza del "punto a tempo" necessario per la conservazione fa di anno in anno scomparire ogni carattere d’arte e di costruzione. Per talune serie di monumenti può dirsi che si abbia ora in Italia una vera scadenza di stabilità analoga a quella che nella metà del secolo scorso si produsse in Francia (e la Francia provvide) per le cattedrali gotiche del XII e del XIII secolo; sono ad es. tra queste una grandissima parte delle opere medioevali di fortificazione, castelli, torri, mura; sono, in un campo ben diverso, gli affreschi murali nelle chiese, che ovunque si distaccano cogli intonachi, o al ricoprono di muffe e si cancellano.
Ho ritenuto opportuno allegare a questa lettera una nota di esempi concreti rilevati sulla base di dirette informa-zioni; e la nota pur essendo lunghissima, è ben lungi dal-l’esser completa e dal rappresentare in minima parte l’en-tità grandiosa del triste fenomeno. Essa ha la portata soltanto di precisare le idee col fornire, sia pure sporadicamente od inorganicamente, una serie di esempi. Alcuni di questi si riferiscono a monumenti davvero insigni, quali San Galgano presso Siena, o il duomo di Pienza, o San Andrea di Ver-celli, o il castello di Nepi, o il palazzo ducale di Gubbio, o il palazzo di Ludovico il Moro a Ferrara, o il castello di Celano, o la palladiana villa della Malcontenta, o la basilica di Vicenza, o gli affreschi di Donna Regina a Napoli; altri riguardano invece opere che possono dirsi secondarie, ma non per questo meno significative e meno degne dl conservazione.
A fronteggiare la situazione ora così riassunta, i mezzi a disposizione degli Uffici adatti, cioè delle Sovraintendenze ai Monumenti, sono non solo insufficienti, ma nulli. Gli stanziamenti relativi del bilancio della P. Istruzione riman-gono ancora all’incirca gli antichi pur di fronte al sestu-plicarsi delle spese pei lavori; e purtroppo questi fondi così scarsi quasi sempre non vengono spesi nel modo più ade-guato perchè vanno per opere di ripristino e di completa-mento, utili e nobilissime (quando siano bene ideate ed ese-guite), ma non improrogabili, ma non da anteporsi alle esigenze primordiali della conservazione.
Occorre dunque subito che seguendo un piano organico che determini una graduatoria in base alla urgenza nelle condizioni di stabilità e dl manutenzione (graduatoria che in pratica dovrà esser composta con l’altra relativa alla disoccupazione nelle varie regioni), una somma adeguata tratta dai fondi straordinari suddetti, ora del Governo as-segnati per opere pubbliche, sia volta a questo scopo di salvataggio. Ed i lavori siano condotti in economia dagli Uffici competenti, che si valgano eventualmente di privati professionisti; e le pratiche siano semplificate si massimo grado. E rimangano pure in seconda linea le opere di ripri-stino, di completamento e di abbellimento, come anche gli scavi archeologici, che in questo momento rappresenterebbero l’arredamento elegante dl una casa il cui tetto è sman-tellato...
Nell’esporre all’E. V. queste considerazioni e questi voti, in son ben sicuro del Suo fervido interessamento per tali questioni, che forse nessuno ha sinora prospettato nella lor cruda e grandiosa e triste realtà. Son ben sicuro che l’E. V. vorrà considerare come opere pubbliche d’importanza e di utilità non minori di quelle di un impianto di telefoni o di una bonifica idraulica, i provvedimenti volti a fermare la distruzione dei monumenti che rappresentano l’Italia nella sua espressione più tipica e più gloriosa, ad evitare la ver-gogna che ci cadrebbe sul capo se li lasciassimo perire per ignavia e per incoscienza, a ricostituire, dal gretto punto di vista finanziario, un capitale che, pei forestieri che richiama nel nostro paese, ha un rendimento nella economia nazio-nale maggiore forse di qualunque nostra industria.
Nell’inviarLe il deferente saluto dei consoci e mio, m’è grato dirmi

Dell’E. V. devotissimo
Il Presidente dei Cultori d’Archittettura
G. GIOVANNONI

Roma, Settembre 1921.




ELENCO DI ALCUNI MONUMENTI ITALIANI CHE RICHIEDONO IMMEDIATI PROVVEDIMENTI DI CONSERVAZIONE.

LAZIO. — Affreschi del "Titulum Equitii" presso San Martino ai Monti in Roma; affreschi di S. Maria an-tiqua; Tempietto vlgnolesco di Sant’Andrea sulla via Flaminia, id.; Tombe recentemente scavate ed abbandonate presso San Sebastiano, id.; Cortile e soffitti pinturicchieschi nel palazzo dei Penitenzieri, id.; Facciata in graffito al vicolo Cellini ed altre, id.; Acquedotti e ruderi di ville nella campagna romana; Mura di Roma e resti dell’ag-gere serviano; Chiostro di San Salvatore in Lauro a Ro-ma; Cortile della casa di Sisto V., id.; Castelli di Piom-binara, di Borghetto, dell’Acqua raminga, e torri isolate nell’Agro romano: Castello di San Gennaro a Lanuvio; Tombe della Via Appia; ruderi della Villa Adriana; Scala del palazzo Ginnetti in Velletri; Costruzione del tempio di Giove Anxur in Terracina; Monumenti romani presso il duomo di Tivoli, Palazzo di Alati, Castello di Tuscania; Rocca di Montefiascone; Palazzo farnesiano a Gradoli e sue pitture; Chiesa di Orcla; Tombe etrusche, id.; Ponte etrusco a Bieda; Chiesa al Vicus Ma-trini presso Barbarano; Santa Maria di Faleri e mura di Faleria; Castello di Nepi: Castello di San Polo; rovine di Ninfa e resti di pitture, id; casa a graffiti in Piperno.

TOSCANA. — Cattedrale di Arezzo (consolidamento); San Galgano presso Siena; Duomo di Pienza (consolida-mento dell’abside); Badia Fiorentina: San Felice, in piazza a Firenze (consolidamento facciata); Torri, mura, Pieve di San Cassiano in Padule a Vicchio ed altri monumenti deva-stati nella regione del terremoto del 1919 od in quella del 1920; Pieve di Gropina in Loro Ciuffenna; Affreschi nella pre-positura di Santa Maria, id; Castello di Romena; Santa Maria dell’Antella in Bagno a Ripoli; Santa Maria al Pianetto a Galeata; l’Umiltà a Pistoia; Pieve di Santa Maria a Chianni in Gambassi; Campanile e chiostro della cattedrale di Prato; chiostro di San Francesco, id.; Pieve di San Piero a Cascia a Regello; Mura dell’Antica Ansi-donia; Fortificazioni di Port’Ercole; Rocca di Montalcino; San Giovanni a Ponte allo Spillo presso Siena; Campa-nile del Duomo di Massa Marittima; San Rocco a Samprugnano; San Giusto a Balli; Ruderi della Rocca della Cerbaia in Val di Bisenzio.

EMILIA e ROMAGNA. — Campanile di San Fran-cesco in Bologna; Antiche porte. id.; Statue nella facciata di Santa Caterina, id; Edicola di Giulio II ad Imola; Chiesa in Castel San Pietro; Chiesa di Sala Bolognese: San Pietro in Modena (copertura); Chiesa di Rubbiano a Montefìorino (consolidamento abside); Torre del Comune a Nonantola; Castello delle Rocche a Finale; Chiesa di Riolunato; Cam-panile del Duomo di Parma (cuspide); Battistero di Serravalle a Varano Melegari; Santuario di Careno e Pelle-grino; Pieve di Sasso a Meviario Arduini (consolidamento facciata); Battistero di Vigolo Marchese; Sant’Antonino in Piacenza (consolidamento torre); San Liborio in Colorno; Torre rotonda di Felina in Castelnuovo dei Monti; resti del palazzo Gonzaga in Luzzara; Palazzo dei Principi in Correggio: San Girolamo in Reggio Emilia; Cupola di San Pietro, id.; Campanile dl San Prospero, id.: San Francesco in Correggio; Palazzo di Ludovico il Moro a Ferrara; Santa Maria in Vado, id.; Palazzo della Ragione in Pomposa; Rocca Malatestiana a Rimini.

MARCHE. — Castello dl Montefiore; San Ciriaco d’Ancona (restauri portale e scogliera a difesa del promon-torio); porta del Lazzaretto, id.; Santa Maria di Portonovo presso Ancona (difesa dal mare); ponte medioevale a Genga; Chiesa Matrice a Serra San Quirico (coperture); San Ur-bano in Apiro; Campanile della cattedrale di Fermo; Mura, id.; Affreschi in S.S. Vincenzo e Anastasio di Ascoli; Affreschi in Santa Vittoria in Matenano; Santa Maria del-l’Olmo in Moresco; Santa Maria delle Vergini a Mace-rata; Affreschi in Santa Maria della Pieve a San Severino; Campanile di San Lorenzo in Doliolo, id,; Abbazia di Rambona a Pollenza; Ruderi dell’antica Helvia Ricina; Duomo vecchio a San Severino al Monte; Rocca di Ga-gliole; Sant’Agostino in Recanati; Tempio di Macereto presso Visso; Santa Maria del Riscatto a Urbania; Ponte di Diocleziano a Fossombrone; Portico del Brefotrofio a Fano: Sant’Agostino, id. ; Cappella Nolfi nella Cattedrale id.; Porta maggiore, id.

UMBRIA. — Badia di Montelabate in Perugia; San Francesco d’Assisi (condizioni statiche delle pareti laterali); Affreschi in San Francesco d’Assisi; palazzo ducale a Gubbio; palazzo del Bargello, id; Castello in Assisi; S.S. Severo e Martirio presso Orvieto; Chiesa di Fianello in Sabina; Cam-panile di Santa Chiara in Assisi.

LIGURIA. — Abbazia dei Doria in San Fruttuoso presso Portofino; San Bartolomeo del Fossato a Sampier-darena; Mura e forte di Genova; Castelli di Savagnone e Crocefieschi; Loggia dei Da Passano a Levanto; Chiostro di San Matteo in Genova; Santa Maria di Valle Christi a Rapallo; Arco di trionfo a Finalmarina; Ponte sull’Olba a Tiglieto.

PIEMONTE. — Sant’Andrea di Vercelli: Arco romano a Donnaz; San Remigio a Pallanza; Torre di Roburent di Mondovì; Castello d’Issogne; Campanile di Montanaro; Porta Palatina in Torino: Mole Antonelliana, id.: Duomo di Asti; Cappella di San Giacomo a Scarmagno; San Michele in Oleggio; Abbazia di Santa Maria di Rivalta a Tortona.

LOMBARDIA. — Cripta di San Eusebio a Pavia; Torre del Broletto a Como: Fortificazioni e case medioe-vali in Castiglione Olona; Affreschi nell’Abbazia presso il Musocco a Milano.

VENETO. — Basilica di Vicenza; San Lorenzo, id. (completamento del restauro); Teatro Olimpico, id; Porta San Bortolo, id,; Palazzo Angaran, id.; Castelvecchio di Verona; San Francesco della Vigna a Venezia; Ponte for-tificato di Valeggio sul Mincio; Castello di Villafranca; Castello superiore di Marostica; Portale del duomo di Bas-sano; Musaici al duomo di Torcello; Villa della Malcon-tenta del Palladio; Sala dei Giganti in Padova ; Santa Maria della Fratta in Udine; Chiesa del Castello, id.; San Fran-cesco in Treviso; Mura di Venzone, di Cittadella, di Mon-tagnana; Danni nei luoghi della guerra (località del Piave e del Friuli, specie "Tempietto longobardo" in Cividale).

TRENTINO. — Castello del Buon Consiglio a Trento; Basilica dl San Lorenzo, id.; San Ilario a Strapparolo a Rovereto; Castello di Avio; Chiesa e campanile di Mori; Oratorio di San Biagio, id,; Casa del giudice a Vigo di Fassa; Santa Margherita a Castelnuovo: Castello di Tenno; Chiese di Comasine, Frassilongo, Pomarolo.

VENEZIA GIULIA. — Santa Maria delle Grazie a Grado; Castelli di Gorizia, Duino, Rubbia, Sistiana, Mon-corona, Prem, presso Postumia; Castello Grimani in San Vincenti; Porta di San Daniele sul Carso; Loggia a San Vincenti; Villa Attemps a Podgora; Palazzo Torriani a Gradisca; Casa Pirri a Gorizia; Palazzo Jesi in Malborghetto; Chiesa di Castagnavizza a Gorizia; Duomo, porta San Mi-chele, Chiesa di San Donato a Zara.

ABRUZZO. — Castello di Celano; Castel Sant’Angelo presso Antrodoco; San Clemente a Casauria; San Pietro ad Oratorium a Capestrano; Castello di Pacentro: Castello di Carsoli; Castello di Popoli; Taverna ducale, id.; Affreschi in Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna; San Liberatore a Maiella; Casa Cavacchioli a Teramo; San Giovanni in Venere; San Clemente al Vomano a Notaresco; San Pietro ad Alba Fucense.

NAPOLI, TERRA DI LAVORO, BASILICATA, MOLISE. — Affreschi di Santa Maria D. Regina a Na-poli; patti del monastero di Santa Chiara, id.; Castello d’Ischia; Campanile di Santa Maria a Piazza a Napoli; S.S. Severino e Sossio, id; Castelnuovo, id; Piscina mira-bile in Bacoli; San Salvatore maggiore a Capua; Castello e palazzo baronale in Fondi; Chiesa di Vescovio a Ventaroli presso Carinola; Tombe sulle Via Appia; Sepolcro detto di Cicerone; Affreschi in Santa Maria del Piano in Ausonia; Mura antiche in Formia; Teatro e Porta di Min-turno antica; Mosaici nel duomo di Salerno; Basilica del-l’Annunziata a Prata Avellino; Chiesa di Monte San Biagio; Santa Maria Annunziata in Teano; Abbazia di Montecas-sino: Trinità di Venosa; Affreschi nella cripta di Scala.

PUGLIE. — Duomo di Conversano; Torre Sveva a Termoli; Campanile di Noicattaro; Duomo di Bovino; Santa Marta della Strada a Matrice; Soffitto della chiesa dei Mi-racoli ad Andria; Affreschi in Santa Caterina di Galatina, San Stefano di Soleto, Santa Maria del Casale a Brindisi; San Giovanni al Sepolcro a Brindisi; Castel del Monte; Campanile al Monte Gargano.

CALABRIE. — Santa Maria della Roccelletta; Chiostro di San Francesco a Cosenza.

SICILIA. — La Cuba a Palermo; Mosaici ed elementi decorativi nella Zisa, id., a Menani e Maredolce; Cuspidi della Cattedrale di Palermo; San Salvatore, id.; Stucchi nella chiesa di Casa professa, id; Chiesa dei Catalani, Duomo, Porte della Cittadella, Monasteri ecc. di Messina; Teatro di Taormina; Palazzo Corvaia, id.; Santa Maria dei Mira-coli a Siracusa; Castello di Montelepre; Santa Maria del Bosco a Contessa Entellina; Chiesa Madre a San Stefano di Briga; Templi di Girgenti; Campanile del Carmine a Castrogiovanni; Reati dell’arx di Cefalù.

SARDEGNA. — Chiostro dl San Domenico in Cagliari; Castello di San Michele, id.; San Francesco d’Iglesias; Torri e mura, id,; Castello Serravalle a Bosa; San Pantaleo a Dolianova; Chiesa di Santa Giusta; Castello del Goceano a Burgos; Chiesa e Monastero di Santa Maria di Saccargia a Codrogianus.


LA CAPPELLA DEI POLENTANI NELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO IN RAVENNA.

Nella chiesa di San Francesco in Ravenna che si è andata ritrovando e restaurando a spese dell’apposito e lodevolissimo Comitato, speciale affetto, se non maggiore cura tra le opere di restauri "danteschi", affidati alle mie cure, io posi alla Cappella dei Polentani.
Quando, (sul Bollettino "Felix Ravenna", del 1920) ebbi a ricercare nel Tempietto di Dante qual parte fosse opera del Lombardi e dimostrai non potersi attribuire a lui la sculta effige del Poeta, espressi la speranza che meno scarsa luce fosse per illuminare con le vicende prime della tomba di Dante, la cappella degli ospiti suoi. Giacchè, in quel momento, parevami bella ed elegante l’ipotesi, fra altre nate e cresciute allora, di supporre il poeta ospite è dè Po-lentani, anche nella spoglia mortale; e, fosse pure per poco tempo. Veramente, i documenti, non molti, né quali è cenno alla sepoltura del poeta, al potevano spiegare con tale ipotesi in plausibile concordanza. Tale il codice Lau-renziano, del secolo XIV, giusta il quale la tomba di Dante dovrebbe trovarsi "in introitu, ecclesie beati Fran-cisci, a sinistra parte parve porte ipsius ecclesie,,; e la cappella Polentana è per l’appunto a sinistra, entrando, della "parva porta". Tale l’istrumento notarile scovato dall’archivista Silvio Bernicoli, del 1385, fatto "in S. Petri maioris sub porticu ecclesie dicti S. Petri ex opposito domoru de Scharabigoli apud arcam, dan-tis,,, essendo la Chiesa di S.Francesco detta già di S. Pier Maggiore; tale infine la nota novella CXXI del Sacchetti: questi narra che al tempo di Bernardino da Polenta (1346-l353), Antonio di Ferrara, dopo aver perduto al giuoco delle tara, entra in S. Francesco, e avendo trovato gran copia di candele accese presso un vecchio crocifisso affumicato, le tra-sporta sulla tomba di Dante. E s’e pensato alla Crocifis-sione dipinta in fondo alla navata; ma meglio e più da vicino, avrebbe potuto Antonio di Ferrara trasportare i ceri dalla Crocifissione frescata sulla parete di questa cappella alla sottostante urna del poeta.
Se non che il prof. S. Muratori ha posto fine alle ipotesi con un fatto concreto. Nello scrivere recentissima-mente "Per la Storia del Sepolcro di Dante" (nel bel volume di Ravenna Medioevale, curato ed edito dalla Cassa dl Risparmio di quella città), egli rende conto delle ricer-che a lui affidate, in consapevole fiducioso accordo dal Comune dl Ravenna e dalla Sopraintendenza ai monumenti, attorno appunto alla prima Tomba di Dante.
In sostanza, l’urna di Dante dovette essere stata collo-cata, pur con orientazione diversa, nella località dove oggi è.
Comunque, la Cappella de’ Polentani è di per sè stessa importante come monumento, e dice da sì le sua storia; anche te di essa soltanto sappiamo di preciso che fu ven-ditta nel 1455 dal Frati minori a Flavlo Biondo, e che li,, per conseguenza, di poi, trasmutata.
Lungo il muro della navata sinistra della chiesa, pres-sochè in rispondenza della sesta, settima ed ottava colonna ne erano apparse dapprima le traccie in fondazione a m. 1,10 sotto il pavimento attuale, al livello cioè del pavimento originario.
Verso l’esterno poi fu scoperta, nel febbraio del 1920, la suggestiva esistenza di due archi a centro ribassato, e non e dubbio, ora che sono stati per intero rimessi in valore, pensarti ricoprenti due urne sepolcrali. Sono di mattoni accuratamente connessi con pochissimo filo di malta, lisciati nella faccia tinta di rosso, e portano nella superficie interna sicure traccie di decorazione geometrica policroma. Raffi-natezze e cure architettoniche, che formano grave contrasto con la ingenuità o disinvoltura costruttiva del supporto che li regge nel mezzo, alla lor comune imposta: una tavola di pietra di Verona sostenuta da un esile fusto di colonna marmorea. Varie circostante farebbero supporre che il fusto di colonna fosse stato messo come anima di un pilastro o non peranco costruito o forse di poi distrutto.
Molto, troppo ridotta nello sviluppo, chiara però nel-l’espressione dell’organismo architettonico, fu la traccia del motivo di mensolone reggente le due imposte estreme degli archi: ne ritrovai l’inizio, al piede, tinto di rosso e lo inte-grai con la struttura architettonica sinceramente suggerita dal frammento: quando lo si voglia essa pronta per il completamento anche decorativo.
Proseguendo nella indagine si scopersero, in alto, due snelle finestre archiacute. Coronava il tutto, seguendo la mite pendenza del frontispizio, una cornice laterizia ad ar-chetti: la ritrovammo per mezzo di ottimi avanzi, e fu rimessa in luce e restaurata; ed è, nel concetto, analoga a quelle che inghirlandano al sommo altre costruzioni trecen-tesche ravennati: la cappellina di San Giovanni Evange-lista, e Santa Chiara, e, anche, San Nicolò.
Questa fronte della cappella Polentana era evidentemente destinata ad essere veduta ed aver risalto per sè all’esterno del fianco della chiesa, il quale, almeno per il tratto costituito da essa, doveva essere privo di porti-cato: a parte la ragione architettonica affermata dalla cappella, certo i che sul suo muro esterno non ne tro-vammo segni.
Le due finestre archiacute si mostrarono nell’interno decorate con l’eleganza policroma e geometrica del Trecento. E apparve finalmente nel breve spazio tra muro (ori-ginario) e muro (posteriore), verso la chiesa, una ana-loga fascia rigirante il grande sesto acuto di chiusura della cappella.
Riconosciuta la corrispondenza fra l’apertura dell’arcata e le traccie de’ due pilastri ritrovati in fondazione, al pro-cedette ad integrarli per potere infine abbattere il muro pio recente, che nel frattempo reggeva la compagine strut-turale del fianco della chiesa. I lavori di rinsaldo furono compiuti per la fine di agosto: e’ ai primi di settembre del 1920, potemmo abbattere la cortina muraria che ne toglie-va alla vista la parete interna della cappella, rivelando a tutti, nel fascino della loro arte e del loro interesse storico, le traccie di quei dipinti che gli fin dall’aprile in pochi, insinuandoci nel ristretto spazio fra i due muri, ave-vamo intravisto.
La lunetta è per intero dedicata all’episodio di Abramo ospite dei tre Angeli; e ai potranno determinare le foglie fra il dipinto ed il musaico di affine storia nel san Vitale; e si potrà ricercare perchè mai ricorresse nella figurazione religiosa ravennate tale episodio, oppure se il dipintore del ‘Trecento, nel riprodurlo, rispondesse ad un preciso desiderio dei committenti.
Nel mezzo del dipinto, che ornava la parete oggi ro-vinata dalle costruzioni posteriori, spicca, quasi per pro-digio conservata, la testa del Cristo Crocifisso; miranda veramente per potenza d’espressione. Se vogliamo credere (e lo si può bene) al Vasari, dovrebbe essere di Giotto, al quale Dante "fece fare in San Francesco per i Si-gnori da Polenta alcune storie a fresco intorno alla chiesa che sono ragionevoli",,.
Comunque sia, egli è certo che la scoperta di questo magnifico viene ad accrescere il numero ed il valore delle pittore giottescbe: e sia che cosi dicendo si voglia in-tendere propriamente ‘di Giotto, oppure d’altri del suo tempo, che, al pari di Giotto, e similmente al modo suo, dipinsero e s’immortalarono.
ARCH. ARCH. AMBROGIO ANNONI
R. Sopraint. ai Monumenti della Romagna.



LA MOSTRA DI ARCHITETTURA ALLA I BIENNALE ROMANA.

Organizzare una Mostra di Architettura che attragga ed interessi sia gli architetti che il pubblico cosa praticamente difficilissima.
Per il pubblico occorre eliminare tutti i grafici tecnici, le piante, gli spaccati, i prospetti geometrici, poichè gene-ralmente esso di tutto ciò comprende poco o nulla e limitare il materiale da esporre alle vedute prospettiche, agli acquarelli e alle fotografie di opere eseguite. Per gli architetti questo materiale è solo parzialmente interessante. Più utile per essi è la comprensione e lo studio integrale di un’opera, che si ottiene soltanto attraverso i freddi disegni lineari, attraverso i particolari diffusi.
Le grandi prospettive poi, le grandi tavole a colore, specialmente come vengono condotte in questi ultimi anni, non sol o non esprimono la esatta visione della realtà, ma quasi sempre la svisano, la alterano scientemente, trasfor-mandola in fantastica scenografia.
La Mostra d’Architettura del 1914 in Milano rimane esempio tipico di questa tendenza: quadri ad olio colossali, edifici riprodotti con tutte le impalcature di servizio, e con gli operai in atteggiamento di lavoro, dove tutta l’impor-tanza del quadro era pittorica soltanto: foreste folte e cieli infiniti, tramonti sanguigni e luci lunari: di architettura nulla o quasi nulla.
Quale scopo può avere una Esposizione di questo genere?
Oltre a ciò, le mostre generali di Architettura riflettono gli stessi errori delle altre mostre d’arte, e sopratutto quel senso faticoso e tedioso che incutono gli avvicinamenti di tendenze e di argomenti più disparati, la confusione caotica di mille stili, di mille maniere grafiche, di mille misure differenti.
Nella nostra Mostra i commissari ordinatori, Adamo Boari, Gustavo Giovannoni ed Edgardo Negri hanno cer-cato di raggruppare il disparato materiale in modo da atte-nuare quanto possibile questi inconvenienti: ma do non e bastato perchè le modeste chiesette rustiche, per esempio, e le villette campestri nude e linde pur nella loro espressione, dei giovani Muzio, Lancia, Ponti, Alpago e Cabiati, non si sentissero a disagio e perdessero accanto alle moli vaste e complesse dei monumenti ai Fante dell’Angelini e del Del Debbio, accanto ai grandi bozzetti (mezzo di espressione evidentissimo e quindi efficacissimo, sebbene perico-loso, in quanto rivela inesorabilmente tutti i difetti dell’opera, nascondendone spesso i pregi, sia di finezza che di gran-diosità) dei Ministeri romani del Manfredi, del Magni, di Pio Piacentini, del Passerini, del Burba.
Dove è stato possibile isolare tutte le opere di un solo artista, e farne apprezzare il valore in senso assoluto, lo si è fatto: e la mostra di Cesare Bazzani infatti, con i bozzetti io gesso, con le numerose e preziose tavole disegnate a car-bone, ben disposte in una saletta appartata, costituisce un esempio di come potrebbe essere intesa una buona Mostra d’Architettura, per quanto i disegni elegantissimi, chiari. strutturali e non chimerici, adeguati all’arte del Bazzani, alcun forse troppo prevalentemente prospettici, e per quanto man-chino le fotografie dal vero, che possano testimoniare dei risultati delle opere.
Io penso che una Mostra ideale di Architettura dovrebbe organizzarsi come il Museo della Fabbrica del Duomo a Firenze.
Qui un unico argomento: il Duomo, nelle sue varie parti: il tamburo, la cupola, la lanterna, la facciata. Disegni ori-ginali degli autori, disegni fatti sinceramente, non per essere esposti, ma che, liberi di ogni virtuosità scenografica, rive-lano la mente di chi li tracciava unicamente preoccupata dell’effetto che certe masse e certe modanature avrebbero potuto fare al vero, e non sulla carta: disegni saporiti, consistenti, veramente architettonici, come quelli di Miche-langelo esposti nella sua casa di via Ghibellina. Accanto a questi, i grandi disegni geometrici per dar risalto al colore. e poi i modelli in legno, grandi, rifiniti, perfetti.
Nelle altre sale i particolari di scultura, di pittura, di ammobiliamento, di addobbo, tolti dal Duomo, o serviti per esso.
In questo Museo la mente si ambienta perfettamente in un tema unico e organico, ed apprezza tutto il valore del-l’opera d’arte in maniera facile e completa.
Scendendo a esempi molto più modesti, le due recenti esposizioni dei Cultori di Architettura (casette economiche e monumenti funebri), hanno destato tanto interesse presso gli intenditori e presso il pubblico, pure e sopratutto per quel loro vincoli di organizzazione.
Ma, anche senza arrivare a questa estrema limitatezza, io credo che un’esposizione di architettura, data l’immensa varietà di indirizzi, di scuole e di maniere che oggi si intrecciano da noi, dovrebbe o essere imbastita su di un tema unico o su di un insieme di temi simili, od essere organiz-zata da un gruppo di artisti aventi affinità di vedute e di indirizzo, anche nella espressione grafica dei disegni, e do-vrebbe finalmente essere costituita principalmente di disegni sinceri, non scenografici, fotografie grandi dal vero, da bozzetti in legno o gesso, e da qualche bel particolare de-corativo, o di mobilie o di addobbo.

Oltre ai lavori incidentalmente citati, figurano in questa nostra Mostra alcuni lavori di Vincenzo Fasolo e di Ar-mando Titta, il Tempio votivo di Lido di Giuseppe Torres, altri lavori di Duilio Torres, di Raimondo D’Aronco e del Rigotti. Vi sono esposti gli ultimi progetti di Francesco Fi-chera per Catania, gli edifici di Ruggero Berlam, del Pi-strucci, del Boari, e del Negri, e le gallerie, recentemente inaugurate, del Nuovo Palazzo del Parlamento. Vi sono ancora molti particolari delle Chiese di Mario Ceradini e del Galizzi.
Sono mancati all’appello i più noti nomi Milanesi, sono mancati molti Torinesi e Romani, e quasi tutti i Toscani. I due premi per referendum sono stati assegnati a Cesare Bazzani e ad Enrico Del Debbio.

M. P.


LA PRIMA MOSTRA D’ARCHITETTURA PROMOSSA DALLA FAMIGLIA ARTISTICA DI MILANO.

La piccola Mostra d’Architettura che la Famiglia Ar-tistica ha aperto nelle proprie sale vuol essere considerata non tanto in ragione del valore intrinseco delle opere esposte, quanto per quello che significa e che vuoi essere: la prima cioè di una serie periodica di esposizioni aventi uno scopo pratico e un indirizzo ben definito. Gli iniziatori sono un gruppo di giovani, giustamente preoccupati delle sorti della nostra architettura odierna: molta genialità, ar-dore individuale di ricerca dl tentativo, bella virtuosità di segno nei grafici; ma nessuna disciplina, senza la quale non è possibile che le forme divengano stile, espressione efficace dell’età presente. Così avviene che se nei grandi concorsi internazionali quasi ogni volta i nostri artisti sin-golarmente si distinguono, si affermano, un’architettura Italiana non si afferma, non è riconosciuta perchè non esiste. Gli sforzi singoli, non coordinati, si dissolvono, le energie si disperdono per mille rivoli. Che è rimasto per esempio del tentativo Sommaruga, che pareva avere in sè tanta vitalità e offriva spunti di indubbia originalità?
È certo che chi percorra le sale di una delle solite nostre esposizioni di architettura ne esce con un senso di scoraggiante disorientamento ripetizioni accademiche o me-dioevaleggianti, fronzoli orientali o reminiscenze di riviste straniere: cento disegni, cento indirizzi, cento lingue diverse: quid veritas? Se lo studioso rimane disorientato, il pubblico si secca e abbandona le sale alle coppie in cerca di solitu-dine: e non ha torto.
Di questo non lieto stato di cose si è ben reso conto il volonteroso gruppo d’architetti del sodalizio milanese, che, dice il programma, colla propria iniziativa si è proposto non solo di avvicinare il pubblico all’architettura, favoren-done la conoscenza e il gusto, ma sopratutto di facilitare la mutua conoscenza e l’ideale collaborazione fra gli artisti cultori d’architettura, la quale oggi manca di direttive e risponde a criteri eccessivamente individualistici o regionali.
Di fronte a propositi così nobilmente e modestamente espressi non bisogna essere troppo severi se le opere rac-colte risentono del disorientamento che è oggi nel campo dell’architettura: se in essere ancora, fra tanti ondeggiamenti, non si trova li segno di quello che dovrà essere, che sarà l’arte nazionale. Per affiatarsi e poi procedere affi-ancati, gli artisti avevano bisogno anzitutto di conoscersi, di porre in comune i frutti delle proprie ricerche, i risultati del loro ultimi tentativi: questo è appunto quel che vole-vano e che hanno cercato di fare.
È del resto già sintomatica fra questi la tendenza, che forse per la prima volta si palesa chiaramente, a riunirsi in gruppi aventi direttive comuni e risoluti a cercare insieme una via; tendenza che risponde a quello stato d’animo, che ha dato origine alla Mostra e ne ha dettato il programma.
Ecco, per esempio, un fascio d’architetti, che in Milano, nella vecchia via Sant’Orsola, si dà ritrovo in uno studio comune, che è un vero e proprio cenacolo d’arte (De Fi-netti, Fiocchi, Lancia, Muzio, Ponti), che sembra orientato verso un ritorno al ritmo e all’equilibrio dei classici. Altri gruppi di giovani, perseguenti insieme uno stesso ideale d’arte sono dati da Alpago Novello, Cabiati e Perrazza, da Crosa e Rovelli e mi sia lecito infine ricordare pure la collaborazione dello scrivente coi fratelli Griffini.
Raccolte negli studii col sussidio del mutuo consiglio e poi riunite senza formalità di giurie di accettazione, le opere si presentano di vario valore e diversa natura; c’è un po’ di tutto acquerelli, qualche plastico, disegni geome-trici, acqueforti e disegni ad olio: vi sono persino, del Greppi, bozzetti per scenografia: tutto quanto insomma è produzione recente dell’attività artistica dei colleghi archi-tetti. Cosi com’è, la Mostra è riuscita varia ed attraente e dà una subita impressione di vivacità e di freschezza, talchè ha certamente raggiunto il primo scopo: l'interessamento del pubblico. Buon augurio per l’avvenire. Le prime mostre pe-riodiche, che i promotori vorrebbero specializzate a deter-minati soggetti (chiese, monumenti, teatri, alberghi, ville, palazzi, case economiche, interni, giardino od altro), pro-veranno se dalla mutua conoscenza delle loro opere e dei loro intendimenti gli architetti avranno tratto i frutti sperati.

P. MEZZANOTTE.


CONCORSO DI PICCOLI MONUMENTI FUNERARII.

Ha ottenuto notevole successo. Molti giovani si sono presentati al fuoco... della critica con lavori veramente stu-diati e sentiti che rivelano ottimi temperamenti d’artisti. Scopo del concorso era dimostrare che anche le forme più semplici dell’architettura cemeteriale possano esser tradotte in opere di buon gusto senza che la spesa si elevi a tan-genti solo raggiungibili dalle borse ben fornite. Gli scalpellini, i fabbricanti in ferro e ghisa riproducono, ahimè! troppo spesso le melanconiche, scialbe, trite, croci, lapidi, cippi, edicole che da oltre cinquant’anni affollano i nostri camposanti divenuti per questo non i santi luoghi ove l’anima usa talvolta raccogliersi per alimentare la dolcezza dei ricordi, ma lande piene di squallore e che quasi ispi-rano sensi di repulsione.
Il concorso voleva giovare agli umili artefici, mettendo sotto i loro occhi facili modelli da riprodurre. Dire che si sia raggiunto del tutto lo scopo sarebbe una insincerità. La smania di complicare, di rendere più imponente, ha portato alcuni un po’ fuori di strada. Pur tuttavia sarebbe ingiustizia asserire che il fine del concorso sia mancato. E la Commissione ha perciò decretato per molti concorrenti i premi che qui sotto si elencano:

I. Tema. PROGETTO PER UNA CROCE. Medaglia di primo grado ai soci Consiglio Vittorio e Wittinch Giuseppe: idem, di secondo grado ai soci Gregoretti Vincenzo e Vetriani Costantino: Diploma d’onore al socio Ginesi Mariano.

II. Tema. PROGETTO DI UNA TOMBA INDIVIDUALE SU AREA Di MQ. 2,50. Medaglia di secondo grado ai soci Ginesi Mariano, Gregoretti Vincenzo, Iacobucci Giovanni, Loreti Mario.

III. Tema. TOMBA PER PIÙ SALME SU AREA Di MQ. 4,00, CON MONUMENTO IN ELEVAZIONE. Medaglia di primo grado ai soci Gregoretti Vincenzo, Bacobucci Gio-vanni; idem, di secondo grado al socio Loreti Mario; Di-ploma d’onore ai soci Ginesi Mariano, Marino Roberto, Consiglio Vittorio.

IV. Tema. TOMBA PER PIÙ SALME SU AREA DI MQ. 6.00 CON EDICOLA IN ELEVAZIONE. Medaglia di primo grado al socio Vetriani Costantino; idem, di secondo grado ai soci Consiglio Vittorio, Gregoretti Vincenzo, Ta-cobucci Giovanni, Marino Roberto; Diploma d’onore ai soci Ginesi Mariano, Wittinch Giuseppe, Chiesa Antonio.

La Commissione giudicatrice era composta degli archi-tetti O. Giovannoni, P. Aschieri, O. Venturi.
CINZIO.


NOTIZIARIO D’ARTE MODERNA.

VOTO IN MERITO ALLE SCUOLE SUPERIORI DI ARCHITETTURA.

L’Associazione Artistica fra i cultori d’Architettura,

riaffermando l’assoluta improrogabile necessità che l’in-segnamento superiore dell’Architettura abbia alfine in Italia il suo definitivo assetto, e ricordando i voti concordi espressi in proposito dalle Associazioni artistiche e tecniche Italiane:
esprime il voto affinchè il decreto legge del 31 ottobre 1919 che istituiva la Scuola Superiore d’Architettura in Roma sia senza ulteriori indugi presentato dal Governo al Parla-mento per esser tradotto in legge dello Stato, ed affinchè si tragga esperienza dai risultati del primo anno di funzionamento della scuola per introdurre al provvedimento quelle modificazioni che saranno dimostrate opportune, per munire la Scuola di ordinamenti e di mezzi adeguati, senza i quali ogni fervore di insegnanti e di studenti non potrà evitare una vita stentata ed insufficiente alla nuove Istituzione: la quale come affermazione ormai concreta di un concetto essen-ziale per la nostra Arte, come grande esperimento di tutto un ordine nuovo di studi, non può e non deve fallire, se non si vuole che sia perpetuata la vergogna per la quale l’Italia, unica tra le nazioni civili, ha mancato finora di un vero adeguato insegnamento architettonico.


BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.

ARTE ANTICA.

ALFONSO BARTOLI. Il tempio di Antonino e Faustina nei "Monumenti Antichi" dell’Accad. dei Lincei, Volu-me XXIII, 1916.
Prosegue il Bartoli con questo lavoro sull’insigne tempio romano il metodo così chiaramente seguito in altri suoi studi; quello cioè di valersi sistematicamente per la resti-tuzione di monumenti antichi dei rilievi che ce ne lasciarono gli Architetti del Rinascimento, interpretando tali rilievi ed innestando i risultati alle vestigia che ancora di quei monu-menti ci restano integrando tali elementi, ne son riusciti determinati in modo certo - delineati nelle tavole per opera dell’Arch. Bianchi - la pianta, l’architettura e la decorazione all’esterno del tempio: il timpano, le antefisse, il bugnato, la disposizione di una cornice intermedia, lo schema del podio e della scalea son tornati sicuramente al loro posto. E non è piccolo risultato, mentre fioriscono le cervellotiche ricostruzioni, che falsano le nostre conoscenze nella Archi-tettura antica e sostituiscono arbitrariamente una torpida Accademia moderna ad una vita di Arte e di costruzione.
g. g.


GUIDO CALZA. Pola, con lettera di Corrado Ricci. -Milano, Alfieri e Lacroix.

È un altro simpatico volumetto della collezione del Piccolo Cicerone moderno, che il solerte editore porta avanti con lodevole entusiasmo in mezzo alle attuali difficoltà.
Per la prima volta, dopo parecchio tempo trascorso dal dì della occupazione Italiana ci si offre una guida di Pola, la quale, — soddisfa alle esigenze scientifiche e segue un sistema veramente pratico nella segnalazione di tutte le cose degne di nota nell’ambito della importante piazzaforte ed anche fuori, giacchè vi si fa cenno degli scavi di Nesazio e delle pittoresche Isole Brioni con le colonne dei loro templi ro-mani erette di fronte al cielo ed all’Adriatico. Dopo un cenno storico preliminare si discorre di tutti gli edifici romani (meravigliosi per conservazione!) come l’arco dei Sergi, il Tempio di Roma e dl Augusto il Teatro e l’Anfiteatro, corona trionfale protesa verso il mare nostrum. Indi si passa alle basiliche cristiane e notiamo gli ottimi cenni su Santa Maria di Canneto, sul Duomo, sul Battistero, su San Mi-cheli in Monte. Poi si illustrano rapidamente le collezioni antiquarie. In questo capitolo avremmo desiderato che l’au-tore si fosse maggiormente diffuso. Egli parla del cofanetto di Samagher, ma non fa cenno delle sculture alto medievali che si trovano nel museo e sono assai degne di nota. Vero è che le collezioni sono un po’ troppo disordinate ed aspet-tano una mano sapiente che le sistemi secondo moderni criteri. In una nuova edizione sarà bene che il solerte edi-tore di concerto con il chiaro autore provveda anche ad aumentare il numero delle tavole che in questa prima stampa sono, a dire il vero, pochine e non sempre ben scelte.

ARTE MEDIOEVALE.

GIUSEPPE GEROLA in N. Bollettino d’Arc. Cristiana XXV, 1920 descrive la Cripta di Sant’Apollinare nuovo in Ravenna di cui fino al 1917 non si conosceva l'esistenza. Essa presenta il tipo anulare delle cripte romane e può perciò appartenere al IX secolo.

Der Thron des KhosrÔ di ERNST HERZEFELD in "Jahrbuch der Preuszischen Kunstsammlungen" — Ber-lin, 1920 (41 vol., I e II fasc.). Sono interessantissimi studi comparativi, che l’autore, molto competente in materia di archeologia orientale, fa su alcuni motivi sviluppatisi del-l’arte persiana antica. Vi si discorre precipuamente di quel trono-carro con leoni alati e con un re sopra, che vediamo riprodotto molte volte nell’arte medievale. In Italia il più noto esempio è quella interessante scultura decorativa dalla Basilica di San Marco che si vuol mettere tra i primi esempi figurati di veicoli-aerei.
Segnaliamo gli interessanti “Studien uber Denkmäter Romanischer Plastik am Oberrhein”, che G. WEISE fa sulla rivista: “Monatshefte für Kunstwissenschaft, di aprile 1920 (XIII annata - vol I). Oggetto di tali studi sono principalmente: “Das Tympanon zu St. Morand im oberen Elsass, eim Schulwerk der Basler Galluspforte. - Ein Werk des Meisters von St. Ursanne im Freiburger Münster (II). - Das Portal zu Egiheim im oberem Elsass. - Das West-portal der ehemaligen Abteikirche zu Petershausen bei Konstaz - Eine Darstellung aus der deutschen Heldensage am Westhau der Klosterkirche zu Andlau”.

A. KINGSLEY PORTER nella "Gazette des beaux arts" (agosto-sett. 1920) studia “La Sculpture du XII Siècle en Bourgogne”, e rimarca le sue influenze sull’arte del mez-zogiorno d’Italia.

Pure uscendo un po’ dal nostro campo di studi ci piace riportare un’interessante raffronto istituito da G. WILPERT in un articolo dell’ “ARTE” (luglio-ottobre 1920) fra la nota “Coppa di Costantino” del British Museum e una minia-tura dell’Exultet di Mirabella Eclano (Benevento) pubblicata dal Berteaux. La coppa del Museo Inglese creduta originale da molti orientalisti, fra cui (un po’ con riserve) lo Strzy-gowski, si manifesta una volgare falsificazione graffita in base a una stampa lineare dell’Exultet. Non sono state ag-giunti altro che i due medaglioni con profili di Costantino e di Fausta. L’iscrizione è malamente dettata in grosso latino. In conseguenza di ciò rimane inalterata la datazione di un frammento di sarcofago berlinesi (V sec, metà del VI) ove è un Cristo col nimbo crucigero, giacchè non si può più far risalire all’epoca di Costantino la coppa in cui v’era un Cristo consimile.

PIETRO EGIDI. - Carlo I d’Angiò e l’Abbazia di Santa Maria della Vittoria presso Scurcola. - Napoli, tip. Pierro, 1910.

Tarda è la recensione ma non inutile, se valga a segna-lare qualche nozione, utile per gli studi architettonici e sper-duta nel materiale storico, ed a fissare qualche criterio sul metodo nella storia dell’architettura medioevale. La chiesa e l’abbazia che Carlo d’Angiò eresse “sopra Tagliacozzo”, nel luogo dalla decisiva vittoria riportata sulla potenza sveva non è più che un cumulo di rovine, da cui appena è pos-sibile trarre la nozione dello schema planimetrico; ma dai documenti numerosissimi esumati dall’A. nei registri an-globi, tutta la storia costruttiva si disnoda passo, passo, e ci permette di assistere alle vicende della organizzazione tecnica ed economica di una così importante fabbrica nel periodo tra 1274 ed il 1285: nel complesso meccanismo burocratico, ispirato a tardità e diffidenza, nel modo di dire-zione e di amministrazione, in quello di collaborazione delle singole maestranze, nell’entità finanziaria dei compensi per le varie categorie di opere. Quanto mai è più utile questa cognizione positiva che ci viene dalla sicura testimonianza dei documenti che non le tante disquisizioni estetiche di cui è tuttora intessuta la fragile storia della nostra Architettura! Quanto sarebbe opportuno che analoghe indagini ci fornissero pei principali monumenti d’Italia altrettanti capisaldi ben certi, centri stabili nel lavorio induttivo, solidi nodi a cui legare i raffronti stilistici!

g. g.

ALESSANDRO DEL VITA. - Castiglion Fiorentino nella storia e nell’arte. - Milano, Alfieri e Lacroix.
E’ veramente un bel volumetto. Tutto quello che in suc-cinto si poteva dire conciliando la maggior precisione scien-tifica con la piana abilità narrativa lo ha fatto il chiaro autore in questa monografia del pittoresco paese toscano.
Precedono interessanti cenni geografici e storici che non tralasciano alcun particolare degno di nota. Sono 27 pagine di fitta scrittura con rapidi, ma sicuri accenni dl fonti che si leggono d’un fiato. Segue la guida topografica molto mi-nuziosa in cui notiamo accurate descrizioni di case della rinascenza (Oh! quanto è ancora da fare la storia dell’edi-ficio privato in ltalia!). Completa è la descrizione del Ca-stello (il Cassero), delle mura, delle chiese. Vediamo con piacere un accenno ai castelli della terra, vale a dire Mon-tecchio, Manni, Montanina ed altri minori. In ultimo com-pie il libro un’interessante bibliografia. Anche a quelli che non si proporranno mai di visitare Castiglion Fiorentino raccomandiamo il bel volume di Del Vita che dà notizia su tanti capolavori artististici ed offre tanti particolari sto-rici ignorati. Molte e buone tavole in fondo alla elegante brochure.


ARTE DEL RINASCIMENTO - VARIE

Qual’è l’opera del Lombardi nel sepolcro di Dante? È ciò che si domanda l’Arch. AMBROGIO ANNONI in un articolo del periodico Feliz Ravenna, 1920.
Sottilizzando su talune parti della parete di fondo nel sacello dantesco, l’articolista cerca di dimostrare che il Lom-bardi non è autore del noto ritratto del poeta ma che, aven-dolo già trovato a quel posto, vi fece attorno l’elegante partito architettonico. Ci si permetta di dire che l’argomentazione del chiaro studioso non convince interamente. Ma, pure annettendo che il ritratto sia anteriore all’opera del Lombardi, esso ha tutti i caratteri dei XV secolo e poco valore possiede nei riguardi dell’iconografia dantesca. Atten-diamo dal Sovraintendente dei Monumenti di Ravenna altri studi su importanti problemi artistici di quella città.
La monografia è illustrata da un ricco materiale grafico, nel quale notiamo per la prima volta riprodotti i graziosi ornamenti che lo stesso Lombardi scolpì (1483) sui gradini delle colonne di Piazza Maggiore.

Raffaello: numero unico per il IV centenario della sua morte (a cura del circolo marchigiano di Roma). - Roma. 1921.

Segnaliamo con piacere questa pubblicazione che si dif-ferenzia notevolmente dalla farragine di opuscoli che atten-dono i centenari per avere il coraggio di uscire.
Notiamo infatti la mirabile conferenza di Corrado Ricci, alcune succose note di Serra, Spadoni, Cascioli, Scatassa, Lanciani, Cantalamessa. Il prof. Quirino Angeletti riassume le notizie conosciute e le controversie sull’attività architet-tonica di Raffaello, corredandole di bei rilievi.


GIACOMO RAVAZZINI. - Dizionario di Architettura. - Milano, Hoepli, 1921.

In questo volumetto l’autore riunisce, tutti i termini (circa 1500) attinenti all’architettura ed alle arti ad essa col-legate, percorrendo sia il campo strettamente tecnico del-l’arte del costruire, che quello vasto della lessicografia classica.
Le concise definizioni sono illustrate da numerosi, intui-tivi disegni, nel quali però desidereremmo (pur nella loro necessariamente sommaria fattura) una maggiore accuratezza.
L’autore ha fatto tuttavia opera assai utile che tende a riempire una lacuna veramente sentita. Vogliamo con ciò sperare che una seconda edizione riuscirà più completa.


COMMENTI E POLEMICHE.

UN ESEMPIO DA DOVERSI IMITARE.

La piazzetta centrale di Bergamo alta — uno dei pochi ambienti italiani rimasti sacri ai sogni dell’arte e della storia — è delimitata a Nord dal superbo Palazzo incompiuto dello Scamozzi, ad est e ad ovest da caratteristici palazzetti del 7 ed 800, adorni di balconi bassissimi, con ringhiere ricche e originali in ferro battuto, e a sud dalla famosa biblioteca, dalla torre comunale e dallo scalone esterno. Attraverso il vasto porticato della Biblioteca si intravedono, nella seguente piazzetta, due meraviglie: Santa Maria Mag-giore e la Cappella Colleoni.
Nel mezzo di questo ricco e splendido quadro fu innal-zato nel 1885 un indegno monumento a Garibaldi, uno dei mille delitti compiuti in tutte le città d’italia. La bella piazza ne rimase orribilmente deturpata.
Quest’anno, con un’Amninistrazione liberale, il Sindaco, l’illustre avv. Zilioli, con coraggioso e illuniminato gesto, ha fatto asportare il monumento nel centro di una nuova Piazza, la principale di un bellissimo quartiere moderno, e ha fatto ricollocare nell’antica piazzetta di Città alta la fontana set-tecentesca nel luogo stesso dove era stata fino all’85.
Il lavoro è stato diretto ammirevolmente dall’Ing. Luigi De-Grossi, Direttore dell’Ufficio Tecnico.
Non v’è bisogno di insistete sull’insegnamento che può dare un simile esempio.
Quante città, Ferrara sopra tutte, dovrebbero imitare Bergamo !

M. P.

AD ASSISI si vuole erigere nella zona alta della città, sulla piazza nuova, un immenso edificio di un collegio, che dovrà accogliere gli alloggi, le aule d’insegnamento, i numerosi locali annessi per oltre trecento alunni. E la iniziativa è in sè felice, in quanto permetterà di sgombrate il convento di S. Francesco e ridarle ai monaci. Intorno alla basilica tornerà così di nuovo il silenzio claustrale.
Ma il tema architettonico è terribilmente arduo, non tanto nelle condizioni intrinseche, quanto in quelle dell’am-biente e del paesaggio. Sia che si elevi un unico enorme ca-sermone o che, più opportunamente e più modernamente, si frazioni in tante unità, si avrà sempre nell’aggruppamento edilizie di Assisi un nuovo centro invadente in concorrenza col principali gruppi monumentali, molto probabilmente in contrasto con tutto il carattere raccolto e tranquillo della città più suggestiva d’Italia.
Il pericolo dunque è grave, e non sembra di troppo suo-nate a stormo le nostre campane. Ed una proposta logica evidente si affaccia subito; porre a concorso pubblico il pro-getto architettonico, chiamare a contributo, per un’opera di tale interesse artistico e ditale importanza economica (circa 5 milioni di costo, parte dati dallo Stato, parte dalle Comu-nità francescane) tutte le competenze nel campo dell’Archi-tettura. Se v’è un caso in cui il bel sistema italiano delle pubbliche gare appaia come l’unica via maestra è proprio questo in cui si tratta di spendere bene o male una senna cospicua che viene dal pubblico, e si tratta di sviluppare o di deturpare forse irreparabilmente la bellezza di Assisi!

G. G.

A SPALATO si annunziano nuove alterazioni dell’insie-me monumentale del meraviglioso palazzo di Diocleziano: Una casa si sta ora costruendo sulla marina a chiudere una delle torri avanzate. E noi vediamo con infinita tristezza una delle opere architettoniche più grandiose e significative della romanità decadere e rovinarsi inevitabilmente nelle mani dei barbari schiavoni.

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